GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera) –
11 luglio 1982 … il giorno di Italia-Germania
La Finale di Espana 82, quello che per me, a distanza di 37 anni e 9 edizioni, rimane il mondiale con il più alto tasso di valori tecnici presenti che io abbia visto.
Sono, per me appena 13enne, giornate di “fioretto” per la spiaggia (p.s., sono di Ischia e quindi il mare è fuori al mio portone) e di limonate (una fontanella dove attingere l’acqua e sciacquare gli unici due bicchieri, limoni trafugati al mio futuro suocero e una brocca, tutto qui l’occorrente per aprire una azienda da tredicenni) ai turisti.
l’11 luglio 1982, il “fioretto” resiste però le limonate saltano.
A chi cavolo vuoi venderle, dopotutto, se le vie sono già vuote nel primo pomeriggio?
Già, perché c’è qualcosa di magico nell’aria, oltre alla calura.
Che sembra insopportabile come l’attesa.
O forse lo è per via dell’attesa.
Dal pomeriggio c’è un innaturale silenzio per un’isola che vive di turismo, come se a mezzogiorno fosse stato chiamato un coprifuoco.
La sensazione, quell’aria sospesa, che stia per accadere qualcosa di eccezionalmente epico o tremendamente tragico.
I turisti, la maggior parte tedeschi per l’appunto, rimangono rintanati negli alberghi.
Nel corso degli anni, lavorando nel settore turistico, ho sempre provato a immaginare quella sorte di rivoluzione del popolo, accaduta a sua insaputa, di quel giorno.
Il plebeo cameriere italico (perché allora di Salvini non c’era bisogno) e ischitano trova nel calcio la sua rivincita contro lo spocchioso turista alemanno.
Al fischio finale sai quanti “Vafammocc a mammeta” (Vai a fare in bocca a tua madre [letteralmente vaffanculo]) saranno volati in quelle sale, cucine, portinerie e piani?
E l’indomani ti servo, ma da Campione del Mondo mentre tu consumi la tua omelette a testa bassa.
Vafammocc a mammeta n’ata vota”!
La classe operaia va in paradiso, lassù in cielo, dove su un aereo Pertini sta giocando a carte con Bearzot, Dino e il Barone, con quella Coppa sul tavolo così meravigliosa che pare non vera se Martellini non te l’avesse detto tre volte.
Torniamo alle strade vuote e ai preliminari di quel rito scaramantico.
Gli isolani, quelli che non lavorano, fatto un veloce tuffo a mare, pronti a casa manco fosse una curva del Bernabeu, con sedia, poltrona, gelato e birra in frigo, assicurandosi che quella scatola magica, dalla quale abbiamo assistito alla cavalcata degli Azzurri, funzioni perfettamente, che la manopola (eh sì, perché allora molti di noi avevano ancora il tv con il cambio canale con un pulsantino da “sintonizzare”) sia al punto giusto.
A casa mia, per quella magica sera, si ritrovano zii e cugini.
Non fosse altro perché abbiamo la tv a colori.
Un gentile omaggio di mia zia Giuseppina, sorella di mio padre, che a marzo era andata in pensione dalla fu SIP, e con i soldi della liquidazione ci regalò quell’apparecchio che da magico divenne reale.
Che bello vedere Jonathan “Jon” Baker e Francis Llewellyn “Ponch” Poncharello, i miei eroi della serie tv “CHIPS” a colori.
E vuoi mettere i colori delle magliette delle nazionali?
E, diciamocela tutta, la Carmen Russo era bona anche in bianco e nero, ma a colori beh…
Torniamo a quell’11 luglio, a quella tv a colori in quella cucina che non è, per una volta, regno delle donne.
C’è un tavolo al quale sono seduti i nostri genitori, sul quale pesche nel vino, birre, ceneriera, sigarette e accendini sono in bellicosa mostra.
Io ho la mia sedia a sdraio in tela, sulla quale ho assistito a tutte le partite.
I miei cugini al mio fianco.
Inizia la finale, la Partita.
Non c’è Antognoni, infortunato, al suo posto Beppe Bergomi con i suoi 18 anni e quei baffi che lo fanno sembrare più grande.
Tanto grande che Kalle Rumenigge, anche per via di una condizione fisica precaria, ne avrà timore e non toccherà palla.
E c’è Oriali che in quella partita le prende (risulterà alla fine della partita come il giocatore che ha subito più falli) e le dà senza sosta: una vita da mediano.
Dopo pochi minuti va fuori spalla anche Ciccio Graziani, dentro Spillo Altobelli.
Le imprecazioni già bucano la coltre di fumo che aleggia nella cucina di casa nostra.
Ma c’è, come in una storia magica, un folletto che imperversa sulle fasce.
E, come in una storia magica, c’è un orco cattivo che vuole fermarlo.
È il 23° minuto.
Lancio di Altobelli, il folletto Conti entra in aerea, l’orco cattivo Briegel lo atterra.
È rigore!
Urla di gioia, imprecazioni contro quell’armadio a due ante di tedesco, il timore che il nostro miglior giocatore non possa riprendere, l’attesa per capire chi calcia il penalty.
Tutti validi motivi, per i nostri genitori, per accendersi una sigaretta.
La coltre di fumo aumenta, tu temi che possa offuscare la vista a Cabrini che è deputato a batterlo, il rigore.
E, infatti, il bell’Antonio lo sbaglia.
Schumacher è spiazzato ma anche la palla che si avvia mesta sul fondo.
Urla di gioia, imprecazioni contro “stu strunz juventin”, la paura che un magico sortilegio si sia spezzato.
Tutti motivi, per i nostri genitori, di spegnere con rabbia la sigaretta che hanno fra le dita.
Per poi riaccenderne subito un’altra.
Si va al riposo, i giocatori scendono negli spogliatoi; noi giusto il tempo, per chi ne ha bisogno, di urinare e poi ognuno al suo posto.
Ricomincia la partita.
E con essa speranze e paure.
Non sai che si è appena messa in moto, come in una storia magica, la regola del 12° minuto.
Appena 12 minuti infatti, il 57° per l’esattezza, e capisci che le uniche paure sono di morire, tra venti o trent’anni, di cancro al polmone per quella nebbia di tabacco, come effettivamente sarà per un mio zio presente quella sera.
Cross di Gentile (anche lui con i baffi che lo fanno cattivo, ma lo è davvero, chiedere alle magliette di Zico e Maradona) in area crucca, non ci sono tante telecamere come oggi e non riesci a capire se la palla entra dentro perché colpita da Rossi, Cabrini o un’autorete.
Ma che ti frega!
Comunque è Pablito, e chi se non altri?
Duplice effetto, Italia in vantaggio e sospensione di sigarette.
Si brinda a birra.
Il tempo di scolarla, ancora 12 minuti, e Rossi ruba palla fuori all’area azzurra, la porge a Scirea che avanza e la smista a Conti, ora di fronte all’area crucca.
Marazico irride un avversario, la porge a Pablito che la smista a Scirea sul lato corto dell’area tedesca.
Tacco per Bergomi, di nuovo a Scirea che la passa, velo di Bergomi, dietro a Tardelli.
Che sbaglia lo stop.
Ma nemmeno il tempo di imprecare hai che staffila Schumacher!
È un’azione da calcio totale.
Palla rubata da un tuo attaccante nella tua metà campo, rifinita da due tuoi difensori nell’aerea avversaria, conclusa da un centrocampista tuo!
Un delirio totale.
È il 69° minuto.
La regola del 12° minuto, ancora una volta.
E all’urlo di Tardelli, diventato per una notte (o forse per sempre) più famoso di quello di Munch, si associano le nostre di urla.
La brocca con le pesche nel vino saltella sul tavolo come Pertini sulle tribune del Bernabeu, alla faccia dell’ aplomb istituzionale.
Pesche e presidente, entrambi barcollano ma non crollano.
Fa caldo, vuoi per il tempo, vuoi per quella cucina diventata troppo piccola e troppo affumicata, vuoi per le emozioni e per la gioia.
Aspettiamo che si compia il rito del 12° minuto.
Puntuale.
81° minuto, l’orco Briegel cade come in catalessi nella nostra area invocando chissà che cosa (“Aizat, sciem!”), Gentile la recupera e la passa a Conti che si invola sulla fascia.
Alza la testa e vede Spillo Altobelli.
Il resto è gioia, gioia, gioia, solo benedetta gioia, parafrasando avrebbe cantato Franco Califano.
Si grida, ci si abbraccia, in quella cucina ognuno di noi ha un altro padre e ogni padre ha un altro figlio e siamo tutti fratelli.
E Pertini, che fa cenno di no sorridente sulle tribune, è il nonno di tutti noi.
Nemmeno il goal del maoista Breitner, offerto come “cadeau” alla nostra infinita felicità per gentile concessione, può oramai preoccuparci.
Si contano i minuti, con gli azzurri che si permettono il torello in faccia ai cattivissimi tedeschi, con Stielike sull’orlo di una crisi di nervi.
C’è il tempo per la passerella in campo del Barone Causio e per sapere che, con la vittoria del Mondiale 1982, “zio” Bergomi, a 18 anni, è il più giovane calciatore italiano ad aver vinto la rassegna iridata, nonché il secondo più giovane in assoluto dopo un certo Pelè.
‘Sti cazzi!
Poi ci pensano i tre fischi di Coelho e, soprattutto, il triplice grido di Martellini “Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo” a farci capire che no, quello non è un sogno.
E, magari, se non fossimo presi dalla gioia collettiva in quella piccola cucina, avremmo potuto ascoltare dagli alberghi, ristoranti e bar della nostra isola, levarsi il triplice grido “Vafammocc a mammeta, Vafammocc a mammeta, Vafammocc a mammeta”.
Assalto finale alle pesche, le ultime birre che scompaiono, il gelato in frigo per noi piccoli e poi via.
Ora ci aspettano i caroselli in auto, una notte di follia e gioia che non vorremmo finisse mai, una ubriacatura collettiva di lacrime.
Di gioia, per una volta.