La "storiaccia" del compagno Montesi... - Gli Eroi del Calcio
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La Penna degli Altri

La “storiaccia” del compagno Montesi…

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WWW.SSLAZIOFANS.IT (Stefano Greco) – Quella di Maurizio Montesi, per dirla alla romana è una “storiaccia”, ovvero una storia scomoda, una di quelle che creano un certo imbarazzo e che anche a distanza di quasi 40 anni tutti cercano di nascondere o di dimenticare, perché la storia comunque non si può cancellare. Il nome del “compagno” Montesi, infatti, è quasi tabù nel mondo Lazio. E quel termine  “compagno”  è a 360 gradi, perché la sua presenza nella Lazio risale al periodo degli anni di piombo, quello in cui essere “compagni” non significava solo giocare nella stessa squadra e che ho raccontato in “Faccetta biancoceleste”

Perché in quegli anni di piombo essere “compagni” non significa solo giocare nella stessa squadra. Significa appartenenza politica, significa essere di sinistra. O, come dicono a Roma in senso dispregiativo quelli di destra parlando di quelli di sinistra, significa essere una “zecca”. E con quei baffi neri, i capelli lunghi e perennemente scompigliati, anche senza l’Eskimo addosso e “Lotta Continua” in tasca Montesi somiglia più ad un terrorista che ad un giocatore di calcio.

Maurizio Montesi è uno dei tanti prodotti del settore giovanile della Lazio, di quella scuola che negli anni Settanta ha consentito alla società di sopravvivere nel grande calcio pur non avendo i mezzi economici per competere con le altre. Non c’erano soldi per comprare giocatori veri, importanti, quindi la Lazio se li creava in casa: Giordano, Manfredonia, Agostinelli e Tassotti sono i primi nomi che vengo in mente perché sono quelli che hanno avuto la carriera luminosa, ma insieme a loro dal settore giovanile della Lazio in quegli anni sono usciti altri giocatori che hanno esordito in Serie A con la maglia biancoceleste e che hanno fatto una discreta carriera tra i professionisti. Tra questi, c’era anche Maurizio Montesi. Silenzioso e dal carattere da sempre chiuso e difficile, Maurizio Montesi è sempre stato un po’ ai margini del mondo Lazio, poco amato sia dai compagni di squadra che dai tifosi. Era una Lazio considerata di destra quella e la presenza di un ragazzo che sembrava un brigatista rosso con la maglia da calcio addosso, quasi stonava in quel contesto. E questo distacco Montesi lo ha sempre percepito, fin da quando è approdato dalla Primavera della Lazio Campione d’Italia nella stagione 1975-1976 alla prima squadra, promosso da Bob Lovati.

Maurizio faceva il centrocampista ma non aveva il fisico gladiatorio di un Re Cecconi o dei mediani dell’epoca, gente che lottava con il coltello tra i denti e randellava chiunque osasse passare dalle loro parti. Era piccolo, 170 centimetri d’altezza per 67 chili, ma aveva due polmoni che gli consentivano di correre per 90 minuti senza accusare mai il peso della fatica. E Lovati stravedeva per lui. E’ Bob a convincere i dirigenti a mandare Montesi in prestito all’Avellino in Serie B e con Maurizio in squadra gli irpini vincono il campionato e salgono per la prima volta nella loro storia in Serie A. In quella stagione, gioca 20 partite su 30 e contribuisce alla salvezza, ma ad Avellino non lo ama nessuno. Maurizio non ha mai negato le sue simpatie per la sinistra e i suoi legami con gruppi extraparlamentari di estrema sinistra, ma nel 1978 rilascia un’intervista a “Lotta continua”che ha lo stesso effetto di una bomba. In quell’articolo, accusa i dirigenti dell’Avellino di utilizzare il calcio a fini clientelari e di essere in qualche modo collusi con la malavita locale, ma anche i tifosi di accettare passivamente questa situazione. E’ la fine del suo rapporto con l’Avellino e il ritorno obbligato alla Lazio, dove Bob Lovati che ha ereditato la squadra da Vinicio lo accoglie a braccia aperte. Ma il 12 novembre del 1979, in un’intervista a “Panorama” rilasciata ad Angelo Maria Pellino dal titolo “Fermate quel pallone”, Montesi si scaglia contro l’intero mondo del calcio, accusando le società di sostenere i gruppi ultras con ingressi gratuiti allo stadio, pullman per le trasferte e finanziamenti di vario genere. Poi rincara la dose attaccando l’intera classe politica che secondo lui non ha alcun interesse a fermare l’escalation della violenza che circonda il mondo del calcio e tantomeno a spazzare via i gruppi organizzati di tifosi, perché avrebbe paura di inimicarsi quell’enorme serbatoio elettorale rappresentato dai tifosi e anche i magnati del calcio che stavano trasformando quello sport popolare in una macchina per far soldi. L’intervista, arriva dopo la morte di Vincenzo Paparelli, in un momento particolare in cui il paese è alle prese con una sorta di guerra civile interna e in cui il calcio smette di essere quella sorta di isola felice in cui rifugiarsi la domenica per dimenticare la crisi economica, gli attentati, il terrorismo. A sinistra, tutti applaudono il “compagno Montesi” che ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto, ma quell’intervista lo fa diventare una sorta di emarginato all’interno del gruppo-Lazio, perché né i tifosi né i compagni gradiscono. E poche settimane dopo, arriva il fattaccio.

Il 6 gennaio, la Lazio gioca a San Siro contro il Milan. La Lazio è terza in classifica, il Milan Campione d’Italia è secondo ed insegue l’Inter. Quel giorno, tutti danno Montesi tra i titolari, ma all’improvviso il nome di Maurizio esce dalla lista a causa di un misterioso infortunio. Ma una settimana dopo Montesi gioca contro l’Avellino, come se nulla fosse successo. In realtà, era successo qualcosa di grave, di molto grave. Un qualcosa che la Lazio avrebbe pagato a carissimo prezzo. Il 24 febbraio del 1980, a Cagliari, in un uno scontro durissimo con Bellini, Montesi si frattura la tibia della gamba destra. Viene operato, ma in ospedale non si vede praticamente nessuno né della società né dei compagni di squadra. In ospedale, invece, il 3 marzo del 1980 si presenta un giovane giornalista di “La Repubblica”, Oliviero Beha, che trasforma uno sfogo in un’intervista che ha lo stesso effetto di una bomba. Da settimane si sussurra di taciti accordi, di partite truccate, di scommesse, ma nessuno trova conferme. A confermare tutto è proprio Maurizio Montesi, che in quel colloquio con Oliviero Beha denuncia le malefatte del suo ambiente e il giro di soldi che le scommesse clandestine fanno arrivare a tutti i livelli del sistema calcio. Il 23 marzo, esplode lo Scandalo Scommesse, il primo di una lunga serie. E scattano le manette per 27 giocatori, tra cui Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson, quest’ultimo additato da Montesi come il capo di tutto.

Interrogato dai magistrati dopo l’arresto dei suoi compagni di squadra, Montesi conferma tutto. “Il sabato prima di Milan-Lazio fu Wilson ad avvicinarmi in albergo. Mi fece delle proposte, mi parlò di un assegno: rifiutai sdegnato, ma tant’è il giorno dopo non scesi in campo”. Il magistrato chiede a Montesi perché ora confermava tutto quello che aveva smentito in precedenza e che era racchiuso in quell’articolo confessione scritto da Oliviero Beha e perché non aveva denunciato tutto all’Ufficio Inchieste della Federcalcio e Montesi risponde: “Perché non credevo nella Giustizia Sportiva. Tra l’altro, non avendo denunciato subito la cosa avrei potuto passare dei guai, potevo cioè essere squalificato per omessa denuncia. Lo dico ora perché ho visto che lo scandalo ha assunto ben altre proporzioni e soprattutto perché la Giustizia Ordinaria ha saputo muoversi bene. Tra l’altro, quella etichetta di superteste che volevano affibbiarmi a tutti i costi mi dava fastidio: accusare un compagno di squadra, in qualsiasi caso, non è mai piacevole”.

Il processo penale finisce con un nulla di fatto. Quello sportivo, invece, anche per la confessione di Montesi, provoca la retrocessione della Lazio in Serie B e la squalifica di Wilson, Cacciatori, Giordano e Manfredonia. Anche Montesi viene squalificato, per 4 mesi per omessa denuncia. Quella confessione, segna la fine del rapporto tra Montesi e la Lazio. Maurizio riceve continue minacce, gira scortato dai “compagni” del quartiere e da qualche amico che lo proteggono quando gira in città, ma quando scende in campo per gli allenamenti a Tor di Quinto dalle tribune gli piove addosso di tutto. Nella stagione 1980-1981, Montesi non mette mai piede in campo. Nelle due successiva colleziona solo 11 spezzoni di partita, poi si infortuna sempre alla gamba destra e quell’incidente mette la parola fine al suo matrimonio con la Lazio e alla sua carriera, perché nessuno gli fa un contratto.

Per anni, di Maurizio Montesi si perde ogni traccia, fino a quando all’inizio degli anni novanta il suo nome torna alla ribalta delle cronache. Ma non di quelle sportive. Viene arrestato per un traffico di hashish e il 2 febbraio del 1994 viene condannato a quattro anni di reclusione per violazione della legge sugli stupefacenti, insieme al suo complice Giuseppe Biancucci, il cui nome venne accostato durante gli Anni di Piombo alla colonna romana delle Brigate rosse e che nel 1979 era stato arrestato per associazione sovversiva e banda armata. La vicenda che porta Montesi a quella condanna e al carcere risale al 27 giugno del 1992, quando in un’imbarcazione affondata al largo di Fiumicino vennero scoperte oltre tre tonnellate e mezzo di hashish, per un valore di quaranta miliardi di lire (circa 21 milioni di euro). Lo stupefacente, proveniente dal Nord Africa, era contenuto in involucri di plastica sigillati e depositati all’ interno del relitto, che si trovava a circa 20 metri di profondità.

Scontata la pena, Maurizio Montesi esce dal carcere e di lui si perde ogni traccia. L’unica cosa certa è che ha lasciato l’Italia, secondo molti per trasferirsi in Francia e da lì in oriente. Oggi, Maurizio Montesi, nato a Roma il 26 luglio del 1957, compie 61 anni…

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