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Dino Canestri, una vita per la Lazio!

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SSLAZIOFANS.IT (Stefano Greco) – Pensando al calcio di oggi, ricco ma sempre più povero di senso di appartenenza, di bandiere e di passione, personaggi come Dino Canestri sembrano quasi irreali, partoriti dalla fantasia di qualche inguaribile romantico. Pensare a qualcuno che spende la propria vita al servizio di una sola società, per più di 50 anni, ricoprendo qualsiasi ruolo e mettendo il bene della Lazio prima di qualsiasi cosa, è quasi utopia. Invece, quel calcio e certi personaggi sono realmente esistiti e a questo serve la storia: a ricordare, a rendere immortale chi la storia l’ha scritta con le sue imprese.

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Una storia speciale che merita di essere raccontata, perché specie la prima parte legata alla sua carriera da calciatore è la conferma del fatto che, spesso e volentieri, il destino sportivo di un atleta sia legato al fato, ad un episodio più o meno fortunato, oppure all’intuizione di un osservatore o di un allenatore.

Nato a Prato il 22 settembre del 1907, Dino Canestri a 14 anni muove i primi passi nelle giovanili della squadra della sua città come centravanti ma, a causa di un fisico non proprio da granatiere, fatica a imporsi sui difensori dell’epoca e a liberarsi dalla marcatura asfissiante. Nonostante tutto, però, l’anno successivo riesce ad approdare in prima squadra. E qui, il destino di Canestri cambia. Da centravanti viene trasformato in terzino, da calciatore qualunque, diventa un campione. L’uomo del destino di Dino Canestri si chiama Desiderio Koszegi, futuro allenatore della Lazio. Con la sua mania di cambiare ruolo ai giocatori (nella Lazio prova addirittura a trasformare Sclavi da portiere in centravanti), il tecnico ungherese sposta il ragazzo in difesa, sulla fascia. In questo nuovo ruolo, Canestri si trasforma. Conquista un posto fisso in prima squadra e entra a far parte della rappresentativa Interregionale, con cui conquista nel 1924 il Torneo riservato alle rappresentative di tutta Italia. E qui, il destino recita nuovamente un ruolo fondamentale. Compiuti i 18 anni, Dino Canestri viene chiamato per il servizio di leva. Trasferito a Roma nel 1° Reggimento Granatieri, nelle libere uscite continua a giocare a calcio con chi capita. Indossa la maglia dell’Alba, della Fortitudo e dell’Audace, ma quando Desiderio Koszegi viene chiamato dal cavalier Ercoli ad allenare la Lazio, parlando con Cesare Mariani (giocatore della Lazio dell’epoca, futuro giornalista ma soprattutto grande amico di Canestri) il vecchio maestro si ricorda di quel centravanti trasformato in terzino e lo porta in biancoceleste.
Quando riceve la proposta della Lazio, Dino Canestri accetta, ma pone solo una condizione: “Dovete convincere mia madre – dice al cavalier Ercoli – se lei accetta vengo di corsa”.

Sembra quasi un primo caso di familiare-procuratore, fatto sta che un emissario della Lazio parte alla volta di Prato per convincere la mamma di Canestri. La trattativa dura qualche giorno, ma alla fine arriva il tanto sospirato sì, il ragazzo viene tesserato per la Lazio e fa il suo esordio in prima squadra il 2 ottobre del 1927 allo stadio della Rondinella contro il Padova.

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La squadra non è più forte come in passato, ma soprattutto non è attrezzata per affrontare il nuovo torneo a due gironi allestito dalla Federazione, in vista della nascita imminente del Campionato a Girone Unico di Serie A. Separata dalla Roma, inserita nel Girone B, la Lazio si ritrova a dover giocare contro Genoa, Pro Vercelli, Alessandria, Torino e Padova, formazioni all’epoca più ricche e sicuramente meglio attrezzate. La stagione è quasi disastrosa, la Lazio finisce al penultimo posto (la Roma, quartultima, non fa molto meglio nell’altro girone), ma l’esordiente Canestri si impone subito all’attenzione generale.

Negli anni seguenti, la Lazio cresce e Canestri insieme a Ezio Sclavi e Renato Bottaccini forma un reparto difensivo straordinario. Ma il destino è ancora in agguato, dietro l’angolo. Se in passato la sorte aveva riservato solo sorprese positive a Dino Canestri, nel 1933 la sorte si riprende tutto e con gli interessi. Il 24 maggio del 1933, durante un Triestina-Lazio, un gravissimo infortunio al ginocchio mette fine alla carriera di Dino Canestri che, ad appena 27 anni è costretto ad appendere le scarpe bullonate al chiodo. Per il calciatore, il trauma è enorme, ma la famiglia-Lazio si stringe intorno a lui e i dirigenti gli offrono subito un posto da allenatore delle giovanili. Detto fatto. Canestri affianca Sturmer alla guida dei pulcini biancocelesti e l’11 giugno del 1933 assiste dalla panchina all’impresa dei ragazzi della Lazio che al Prater di Vienna fermano sull’1-1 i padroni di casa del Wacker, un’impresa leggendaria riportata a caratteri cubitali da tutti i giornali dell’epoca. Come allenatore delle giovanili, forma e lancia in prima squadra giocatori come Giubilo, Lombardini, Vettraino (uno dei piccoli eroi del Prater), Longhi e Capponi. Nel 1941, il presidente Zenobi lo chiama per salvare la squadra dopo la fallimentare esperienza di Kertesz e Molnar sulla panchina biancoceleste. Canestri non delude le attese: a 13 giornate dal termine prende una squadra staccata di 5 punti dal Novara che è penultimo (allora retrocedevano solo 2 squadre) e guida la Lazio alla conquista della salvezza, soprattutto grazie ai 3 punti conquistati nelle ultime due giornate contro la Fiorentina e il Bologna che vince lo scudetto.

Durante la Seconda guerra mondiale, Canestri vince il Campionato romano di guerra del 1944 sia con la prima squadra che con i Ragazzi e il Campionato assoluto Ragazzi nella stagione 1947-1948. Resta alla guida delle giovanili fino alla stagione ’57-’58, quando viene chiamato dal presidente Leonardo Siliato a indossare nuovamente i panni di uomo della provvidenza come direttore tecnico, con Alfredo Monza in panchina, in sostituzione dell’esonerato Ćirić. Assolve ancora una volta il suo compito, conquistando la salvezza per differenza reti, grazie al 4-0 rifilato al Verona all’Olimpico all’ultima giornata di campionato.

Salvata ancora una volta la Lazio, torna nuovamente dietro le quinte consegnando nelle mani di Fulvio “Fuffo” Bernardini la squadra che pochi mesi dopo quella stentata salvezza conquista il primo trofeo della storia, battendo per 1-0 all’Olimpico nella finale di Coppa Italia la Fiorentina vice-Campione d’Italia. Lascia la Lazio e alla guida della Nazionale Dilettanti sfiora la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Roma, sconfitto per 2-1 dall’Ungheria, ma lancia giocatori come Sandro Salvadore, Giovanni Trapattoni, Gianni Rivera, Giacomo Bulgarelli e Tarcisio Burgnich che negli anni a venire diventeranno dei punti fermi della Nazionale Campione d’Europa del 1968 e vice-Campione del Mondo del 1970. Chiusa l’esperienza azzurra, torna in biancoceleste come osservatore. Dino Canestri è morto il 2 novembre del 1981, dopo una vita passata al servizio della Lazio. E oggi riposa per sempre a Prima Porta vicino a Bob Lovati, in quel Cimitero Flaminio  dove sono seppelliti anche Tommaso e Maurizio Maestrelli, insieme a Giorgio Chinaglia.

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