Sulle orme di Eugenio Danese. Il figlio Giampietro: “Vi racconto mio padre e come ha coniato la "Zona Cesarini" - Gli Eroi del Calcio
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Sulle orme di Eugenio Danese. Il figlio Giampietro: “Vi racconto mio padre e come ha coniato la “Zona Cesarini”

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GLIEROIDELCALCIO.COM – “Non è un calciatore ma della Roma ha sempre parlato col cuore sulle labbra”. Così l’Istituto Luce in un servizio del 1967 presenta Eugenio Danese, illustre giornalista sportivo, in occasione della festa dei quarant’anni dell’AS Roma al Palazzetto dello Sport. Tra calciatori, ex presidenti, ragazzi delle giovanili e personaggi della politica (Andreotti), c’è anche lui: l’unico giornalista presente presentato come se appartenesse a quell’entità giallorossa che nel 1967 festeggiava quarant’anni di vita. Nato a Verona nel 1904, si trasferì prima a Lugo per poi iniziare la carriera di giornalista sportivo a Roma. Ne abbiamo parlato con Giampietro Danese, suo figlio nonché memoria storica della sua lunga carriera.

Giornalista e romanista. Veronese, come Masetti e Carpi

Amava scherzare dicendo che era romanista solo per utilità e motivi economici. Perché se vinceva la Roma, il Tifone vendeva di più e incassava maggiormente. Ma secondo me era una bugia: era romanista davvero, nel profondo. E non c’è un vero e proprio perché, nessuno ragiona su che squadra tifare. Come quando vai allo stadio per la prima volta, ascolti ‘Roma, Roma, Roma’ e ti innamori. E non poteva essere altrimenti.

Spiegaci meglio

Mio padre e mia madre si sono conosciuti e innamorati in Via Uffici del Vicario, un luogo importante per la Roma. Inoltre conosceva molti giocatori: il suo pupillo è stato Fulvio Bernardini, uno col cervello in mano, un giocatore di un’eleganza mai vista. Comunque la Roma non ha mai smesso di seguirla: anche a fine carriera continuava ad aggiornare le statistiche a mano con le sue matite rosse e blu.

Quali sono i primi ricordi dell’inizio della carriera di suo padre?

A Casal de pazzi c’era la redazione della ‘Settimana Incom’ e papà aveva il compito di curare la moviola a mano con le mollette di legno dello stendipanni: c’era la pellicola in celluloide che si poteva incendiare facilmente, lui aveva una lametta per tagliare per poi usare una colla per attaccarla simile allo smalto delle donne. Una volta appese le passava in una pressa e usava le mollette per tenere insieme tutto. La prima moviola in Italia l’ha fatta papà”.

Un precursore. A lui è attribuita anche l’invenzione dell’espressione ‘Zona Cesarini’.

Come si può riassumere la frase ‘gol che cambia il risultato negli ultimi 5 minuti di gioco’ con due parole? Lui ci è riuscito con il nome di un argentino, Cesarini, che era solito segnare negli ultimi minuti di gioco. Un termine ancora oggi utilizzato.

Poi l’episodio leggendario con Sclavi.

“Ennio Mantella, un altro giornalista, aveva scritto una cosa falsa su Ezio Sclavi che però aveva attribuito l’articolo a Danese. Quando s’incontrarono volarono insulti e ci fu una promessa a duello. Entrambi erano fortissimi con la spada e a quel tempo i duelli finivano alla prima goccia di sangue. Papà lo toccò a un polso e il combattimento finì. Sclavi scoprì solo giorni dopo che non era stato mio padre a scrivere l’articolo, poi divennero grandi amici.

Seguì in prima persona il Mondiale del 1950, quello deciso da Ghiggia.

Ghiggia sembrava rachitico quasi, ma che talento. Quello fu un grande evento. Seguì con i suoi servizi l’intera competizione e la finale compresa. Un ambiente incredibile. Ci furono morti dopo la vittoria dell’Uruguay: alcuni per il dispiacere tra le fila dei brasiliani, altri, uruguaiani, che non hanno retto la gioia. Una curiosità: in uno dei servizi si vede anche mia madre che mangiava un panino.

Poi la tragedia di Superga…

Doveva prendere quell’aereo. Aveva incontrato un gobbo che gli augurò ‘buon viaggio’. Lui era scaramantico e decise di non partire. Nella trasmissione della domenica sera esordì: “E adesso che tutto è finito, e come è finito”. E’ incredibile trasmettere per radio il pathos come ha fatto lui. E il Tifone uscì con il titolo: “Non credevamo di amarli tanto” con un’illustrazione di Geleng, un grande amico di Fellini e di papà. L’illustrazione scomparve nel nulla e lui rimase legato al fatto di non aver mai preso quell’aereo e di non essere morto con gli altri.

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