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“Giornata della Memoria” – Campi di Calcio, campi di concentramento… la storia di “Nando” Valletti

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Raccontare una storia di sofferenza e atrocità non è mai facile. Se questa storia riguarda la Shoah diventa ancora più particolare e difficile sotto ogni punto di vista, non solo per il numero di vittime spaventosamente alto.

In questa giornata della memoria vogliamo raccontare una storia, una storia che riguarda ovviamente un calciatore come è nostra abitudine. Ma dietro ogni calciatore c’è un uomo, con le sue difficoltà e peripezie che spesso la vita riserva. Una storia forse poco conosciuta, che attraversa un periodo storico difficile, drammatico. Una storia che è anche un esempio di volontà, forse disperata volontà, di sopravvivere al male. Una storia di altruismo, di carattere, di astuzia e forza interiore.

Il nostro racconto inizia a Verona il 5 aprile del 1921 quando nasce Ferdinando Valletti. Un’infanzia in collegio e poi il diploma. Durante il periodo studentesco gioca con l’Hellas di Verona. Nel 1938 si trasferisce a Milano dove trova lavoro presso l’Alfa Romeo. Il pallone è nel suo DNA, e trova sempre un’occasione per dimostrarlo. In considerazione della sua abilità e bravura con la palla tra i piedi viene indirizzato verso la squadra di calcio del Seregno.

Il Milan, che all’epoca era l’Associazione Calcio Milano, lo nota e lo aggrega in squadra. Con i Rossoneri rimane tre stagioni, dal 1941-42 al 1943-44, collezionando solo alcune presenze e tutte in amichevole. Durante una partita purtroppo il menisco si rompe e, nonostante un intervento chirurgico, il sogno di continuare a giocare a calcio s’interrompe. Adempie allora agli obblighi di leva, torna e si sposa.

Nel marzo del 1944 i lavoratori delle fabbriche delle zone ancora occupate dai tedeschi e dai fascisti si mobilitano per un grande sciopero. La grande industria italiana si ferma e di conseguenza si ferma anche la produzione verso la Germania: Torino e Milano “tirano” il movimento di lotta. Gli operai vivono in condizioni di estrema precarietà e sotto costanti minacce. Nelle richieste dei lavoratori c’è fondamentalmente un miglioramento della condizione operaia in generale ma, in realtà, si cela una lotta antifascista e antinazista: la resistenza.

Valletti, entusiasta di poter dare il suo contributo alla causa, si fa inserire tra gli organizzatori dello sciopero del 1° marzo 1944 all’Alfa Romeo.

Tra i suoi compiti anche quello di effettuare volantinaggio di giornali quali Il Popolo e Italia Libera. L’adesione allo sciopero è alta, un grande successo. Gli occupanti ovviamente iniziano a presentare il conto, uno spietato conto. Nando, così veniva chiamato Valletti, è catturato e “spedito” con altri 22 operai dell’Alfa Romeo al campo di concentramento di Mauthausen lasciando la moglie sola e per di più in dolce attesa. Proprio il suo desiderio di conoscere il figlio gli trasmetterà il coraggio necessario per vivere quella “vita” da deportato. Viene poi trasferito a Gusen, e in questo periodo conosce un grande pittore, il Professor Carpi, più anziano di lui e in condizioni di salute precarie. Nasce un’amicizia profonda e Nando è sempre pronto ad aiutarlo nei duri lavori quotidiani rischiando sempre di essere visto e punito: il pittore lo citerà più volte nel suo Diario di Gusen. Un giorno le SS si rendono conto che quel “vecchio” che hanno picchiato perché caduto, vinto dalla spossatezza, è un artista: lo fanno curare e lo mandano a dipingere per loro.

Un giorno le SS devono disputare una partita e, avendo delle defezioni, chiedono a tutti i prigionieri se qualcuno sa giocare a calcio. Si, è assurdo, incredibile forse, pensare che a pochi metri dai forni crematori si giocasse a pallone… Valletti non ci pensa un minuto, fa presente che è un ex giocatore del Milan e che può quindi giocare. Il kapò gli comunica che prima dovrà fare una prova, prova che porterà alla morte se non superata. Come deve essere diverso giocare per il gusto di farlo e per far divertire il pubblico e farlo invece per salvarsi la vita…

Valletti non è certo al top della forma, è denutrito e stanco. Lo fanno mangiare e lo portano al campo di calcio: a piedi nudi, riesce a superare la prova. Da quel momento è una riserva della squadra delle SS e viene assegnato alla cucina: essere uno sguattero è il premio per le sue abilità con il pallone.

Questo gli consente, nascondendo alcuni avanzi di cibo, di aiutare i compagni dell’Alfa, e non solo, rimasti in vita.

A Mauthausen era presente una cava di pietra da cui si estraevano grossi blocchi che i detenuti dovevano portare a spalla percorrendo una ripidissima scala. Frequenti erano i deportati che scivolando sotto il peso delle pietre, travolgevano anche altri detenuti, il tutto accompagnato dalla derisione e dalle frustate degli aguzzini di turno. Saranno 9.000 le vittime solo di questo campo, teatro delle peggiori atrocità di cui l’umanità si possa macchiare.

L’arrivo degli americani è accolto come un miracolo e la liberazione viene festeggiata tra abbracci e lacrime. Si torna, per chi è riuscito a superare gli orrori e le barbarie dei campi di concentramento, alla vita. Si torna alla libertà.

Nell’agosto del 1945 Valletti può fare finalmente ritorno a casa e abbracciare la figlia nata durante la sua assenza.

Diventa dirigente dell’Alfa Romeo, riceve l’Ambrogino d’oro dal Sindaco di Milano Aniasi oltre al diploma di Maestro del Lavoro dal Presidente della Repubblica. Scompare il 23 luglio del 2007, ma non prima di aver diffuso la memoria dell’Olocausto nelle scuole, dicono “senza mai spendere una parola di odio nei confronti dei suoi carnefici”

Dal Diario di Gusen, di Aldo Carpi: «C’era Ferdinando Valletti, altro operaio, un bravo giovane qui di Milano che, ogni volta che correvo il pericolo di rimanere sotto lo scarico dei sassi, mi gridava: “Professor, professor” e correva a prendermi per un braccio e mi tirava lontano. Un’altra volta quel bravo ragazzo mi ha strappato dalle rotaie mentre stavo per finire sotto il treno. Valletti era un amico del Borghi, un operaio dell’Alfa Romeo; si è salvato. Poi quando finiva il lavoro ero proprio stanco, non ne potevo più, avevo le mani e i piedi martoriati, le gambe non mi reggevano. Allora Valletti e un altro dei miei compagni mi prendevano sottobraccio e mi aiutavano a camminare incolonnato con gli altri.»

Da “La Gazzetta dello Sport”, 27 gennaio 2017

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Classe ’68, appassionato di un calcio che non c’è più. Collezionista e Giornalista, emozionato e passionale. Ideatore de GliEroidelCalcio.com. Un figlio con il quale condivide le proprie passioni. Un buon vino e un sigaro, con la compagn(i)a giusta, per riempirsi il Cuore.

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