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La Pro Vercelli e il fragore della storia

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ILFOGLIO.IT (Leo Lombardi) – Sette scudetti in serie C: sono quelli della Pro Vercelli, uno dei vertici del quadrilatero (gli altri erano Alessandria, Casale e Novara) su cui il calcio si è sviluppato ai primi passi della sua avventura italiana. Un’avventura che, a Vercelli, è ancora più originale, a cominciare dalle origini. Perché se il Genoa si vanta di essere la società di pallone – e cricket – più vecchia del nostro paese, fondata il 7 settembre 1893, in Piemonte contestano tale primato. Perché è vero che il calcio vede la luce nel 1903, ma viene organizzato dagli stessi uomini che avevano fondato nel 1892 la Società Ginnastica Pro Vercelli, riconosciuta dal Coni come quella più antica di Italia, con tanto di stella al merito.

Tra questi c’era Marcello Bertinetti, medaglia d’oro a squadre nella sciabola a Parigi 1924 e nella spada ad Amsterdam 1928. La testimonianza solida di una tradizione sportiva che a Vercelli affondava le radici nelle tante caserme che caratterizzavano la città, dove i militari di carriera erano spesso i latifondisti locali. Cura della forma fisica e organizzazione sul terreno vengono trasferiti nel gioco del calcio. La Pro Vercelli appare una realtà all’avanguardia, caratterizzata dal fatto che tutti i giocatori fossero nati in città o nelle immediate vicinanze, come un Athletic Bilbao di oggi. Un attaccamento alle proprie radici che si trasforma in una carta in più da gettare sul tavolo, accanto alle prime idee di calcio moderno. Nei quaderni degli allenatori dell’epoca, come Bertinetti, sono descritti il giro palla o la fase di possesso per fare correre a vuoto gli avversari, e schemi da attuare da fermo. Come avviene il 1° maggio 1913 a Torino, amichevole Italia-Belgio, con nove vercellesi (nel senso di cittadini oltre che di giocatori, uno solo era nato altrove) in campo: Milano I finta il tiro su punizione, la barriera si apre, calcia Ara e segna la rete decisiva. Viene considerato il primo gol di questo tipo a livello internazionale.

L’ingresso della Pro nel calcio italiano è fragoroso. Sale in Prima divisione nel 1908 e conquista cinque scudetti fino al 1913. Le sfugge solo quello del 1910 per decisione del presidente Luigi Bozino, avvocato penalista, figlio di Omero – ritenuto una spia di Camillo Benso conte di Cavour –, per due volte numero uno della Federcalcio e anche vicepresidente Fifa, dopo la Prima Guerra Mondiale. La Pro Vercelli è impegnata in un torneo militare e chiede un rinvio della finale con l’Inter, che non ottiene. Bozino manda la squadra ragazzi (avevano undici anni), che perde 10-3, regalando ai nerazzurri il primo titolo. Era una Pro Vercelli che la metteva sull’organizzazione, sul ritmo, sul fisico e sul carattere. La squadra di Guido Ara che, a chi contestava il gioco duro, rispondeva: “Il calcio non è uno sport per signorine”. Era la Pro che vinceva sempre e che si attirava logiche antipatie, come quella del Casale: conquista il titolo nel 1914 e sceglie la maglia nera con la stella per opporsi alle bianche casacche vercellesi. Una squadra che ottiene gli ultimi due titoli nel 1921 e 1922, e che comincia a morire subito dopo, quando entrano in scena i soldi di chi aggirava il dilettantismo offrendo lavori e premi. Come fa nel 1923 la Juventus, convincendo Virginio Rosetta, campione del mondo nel 1934 e uno di quei ragazzi del 10-3. Un declino che si sublima nel 1935, quando la Pro retrocede dalla serie A a girone unico, di cui aveva fatto parte fin dagli inizi. L’anno prima aveva venduto il suo ultimo grande, quel Silvio Piola a sua volta campione del mondo nel 1938, passato alla Lazio per forte interessamento del generale Giorgio Vaccaro, numero uno del calcio dell’Italia fascista. E ovviamente tifoso biancoceleste.

Oggi la squadra è in testa al girone A della serie C, una classifica azzoppata dalle tante partite che devono essere recuperate. La Pro Vercelli insegue la serie B persa la scorsa stagione, dopo averla conquistata una prima volta nel 2012 e una seconda nel 2014 e dopo essere risorta da due cancellazioni per debito, nel 1990 e nel 2010. La seconda è coincisa con l’avvento al comando di Massimo Secondo, che ha portato nel calcio le capacità acquisite come socio di una multinazionale francese che si occupa di case di riposo medicalizzate. Ha voluto alcuni suoi dirigenti in società, che ha delineato snella e con i conti in ordine. Ha indicato che si ritrovassero le radici di un tempo, con un settore giovanile organizzato, da cui estrarre nuovi talenti. A gennaio la Pro ha venduto alla Juventus (che lo ha lasciato in prestito fino a giugno) il centravanti Erik Gerbi, un classe 2000 che ha già realizzato tre gol e che paragonano a Marco Van Basten per l’altezza e la capacità nel gestire palla. Da lui parte un nuovo inizio.

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