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La Penna degli Altri

7 anni fa addio a Ghirelli e Chinaglia, due ‘eroi’ che avevano voglia di morire

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CALCIOMERCATO.COM (Franco Recanatesi) – Quando il 1° aprile di sette anni fa mi fu annunciata la morte – nello stesso giorno, quasi alla stessa ora – di Antonio Ghirelli e Giorgio Chinaglia – pensai ad uno stupido e macabro “pesce d’aprile”. Un po’ perché la coincidenza della contemporanea scomparsa di due grandi protagonisti del mondo sportivo appariva singolare, un po’ perché la ragione degli affetti rifiutava una doppia e così dolorosa sentenza.

Ghirelli è stato un impareggiabile maestro di giornalismo. Non solo sportivo e non solo per me. Alla direzione del “Corriere dello sport” dal 1965 al 1972 ha forgiato una generazione di giornalisti, fra i quali ho avuto la fortuna di appartenere, incarnando con abilità e passione la figura di direttore-insegnante che lentamente ha lasciato il posto a quella di direttore-manager o direttore d’immagine che ai redattori serviva – e serve – ben poco.

Un napoletano colto, intelligente, ironico, che ha dato una svolta al giornalismo sportivo, nel quale ha introdotto un linguaggio chiaro e stringato e argomenti di costume, storia e anche politica sostenendo che “lo sport è uno degli elementi costanti nel sentiero della vita”, per cui non dev’essere disgiunto dalle altre componenti della nostra esistenza. Sulle prime pagine del suo quotidiano sportivo comparve così con grande rilievo la competizione Usa-Urss per la conquista dello spazio (“Si spalanca l’universo”), scomparvero le interviste di routine, si affacciarono le grandi inchieste sugli aspetti sociali del fenomeno calcistico.

Ancor prima, nel 1962, scatenò un putiferio un suo articolo sul “Corriere della Sera” alla vigilia del campionato mondiale in Cile: «Il Cile è povero, piccolo, fiero. Ha accettato di organizzare questa edizione della Coppa Rimet come Mussolini accettò di mandare la sua aviazione a bombardare Londra. La capitale dispone di 700 posti letto. Il telefono non funziona. I taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l’Europa costa un occhio della testa. Una lettera aerea impiega cinque giorni. Come metti piede a Santiago, ti rendi conto che l’isola di Robinson Crusoe galleggia tuttora a pochi passi da questa straordinaria striscia di terra lunga quattromila chilometri».

Il giorno della decisiva partita con i cileni, la Nazionale italiana fu accolta da fischi, insulti e sputi e l’arbitro inglese Aston lasciò che i giocatori di casa organizzassero una vera e propria caccia all’uomo che nelle file azzurre fece diverse vittime.

Innovatore anche della televisione alla direzione del Tg2 (lanciò, tra gli altri, Lilli Gruber conduttrice “di traverso”), della passione sportiva e politica, restano testimonianze cartacee, libri essenziali come “Storia del calcio”, “Storia di Napoli” “Moro tra Nenni e Craxi” che invito i giovani di oggi aleggere per scoprire il giornalismo di ieri e il pensiero libero di un intellettuale che non ha avuto paura di “sporcarsi” con lo sport. Nello stesso giorno ha cessato di vivere anche Giorgio Chinaglia. I due hanno poco in comune, tranne un elemento essenziale. Giorgio ha avuto vita breve, 65 anni, Antonio ha toccato i 90. Avendoli conosciuti abbastanza bene, sono convinto che a condurli all’altro mondo sia stata la medesima motivazione: la voglia di finire. 

Lucidissimo e attivo nonostante l’età avanzata, Antonio è crollato dopo la scomparsa della sua adorata moglie fino a desiderare di raggiungerla. Giorgio ha perso il gusto di vivere si è scoperto abbandonato da tutti, nella sua casetta in riva al mare di Naples, un paesotto vicino a Miami nel quale si era ritirato dopo una vita convulsa e piena di errori.

Ha dato tantissimo ai laziali che lo ricorderanno per sempre col dito puntato verso la curva romanista dopo la vittoria di un derby che aprì la strada allo scudetto, ha dato qualcosa anche al calcio italiano a dispetto del“vaffa” verso il c.t. Valcareggi ai mondiali di Germania, ha offerto spunti quotidiani ai giornalisti per i loro articoli con le sue schiette dichiarazioni e intemperanze. Ma ha dato poco a se stesso.

Ricordo le cene con lui e sua moglie Connie che abbandonò per una nuova fiamma, la seconda separazione, le telefonate dagli Stati Uniti in piena notte in cui cercava consolazione (spero di avergliene data) dopo il fallimento dei suoi affetti e dei suoi affari. Ha avuto tanti figli che negli ultimi anni ha cercato di recuperare dopo tanta assenza.

Il primo aprile di sette anni fa, in un tavolino d’angolo del suo solito ristorante, muto e senza compagnia, dopo aver tirato le somme di una vita sbagliata ha pagato il conto, si è alzato e ingobbito ha preso la strada di casa chiedendo alla sua malattia di far presto. E’ stato accontentato. Si è disteso sul letto senza più alzarsi.

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