GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Per la rubrica “Calcio, Arte & Società” abbiamo raggiunto Massimo Prati, scrittore e autore del libro “Gli svizzeri, pionieri del football italiano – 1887-1915″ edito da “Urbone Publishing”. Un doppio appuntamento con l’autore, oggi l’intervista e nei prossimi giorni un estratto in esclusiva per i lettori de Gli Eroi del Calcio. Un libro che è un omaggio ai primi svizzeri che hanno contribuito alla creazione e alla diffusione del calcio in Italia. La nascita del football in Italia è tradizionalmente associata all’Inghilterra. In realtà, il periodo degli albori del calcio tricolore è caratterizzato molto dalla presenza di una seconda comunità di stranieri: quella elvetica appunto. Molte squadre italiane assai blasonate come per esempio Milan, Juve, Inter, Torino e Genoa e altre ancora, devono infatti i loro primi trionfi proprio a molti svizzeri, dirigenti o calciatori. Lo racconta in un libro l’esperto di storia calcistica Massimo Prati, un professore italiano che vive e lavora a Ginevra, e che noi conosciamo bene per aver già pubblicato alcuni articoli con la sua prestigiosa firma.
Cerchiamo allora di capire, con alcune domande, di cosa tratta il libro.
- Massimo, come nasce l’idea di narrare questa storia?
L’idea di scrivere questa storia è legata a due aspetti della mia vita. Da un lato un forte interesse per la storia del calcio italiano, soprattutto quello delle origini; dall’altro il fatto che vivendo in Svizzera da più di 15 anni, ho sentito il bisogno di approfondire i legami tra il paese che mi ha accolto e quello di origine. Naturalmente, in ragione delle mie letture e dei miei studi, avevo già una buona conoscenza di una serie di elementi che mi permettevano di intuire che, in effetti, anche a livello calcistico i legami tra questi due paesi erano piuttosto importanti, ma, come sempre accade nella ricerca, questo lavoro mi ha permesso di fare ulteriori scoperte e approfondimenti.
- Qual è il metodo utilizzato per la narrazione?
Il libro ha l’ambizione di proporsi come un testo che racchiude una commistione di generi: compendio di storia sociale ed economica, con le sezioni d’inquadramento storico dedicate ad ogni città e ad ogni regione; testo di storia calcistica, con le vicende riguardanti la nascita e i primi anni di vita dei football club più antichi d’Italia; diario personale, con i riferimenti alla mia vita e a quella della mia famiglia, soprattutto nell’introduzione e in un capitolo finale del libro, dove parlo di alcune partite e di alcuni eventi sportivi che ho visto personalmente; lavoro con spunti sociologici, con la lettura guidata della stampa dell’epoca, grazie ad una dozzina di chiavi interpretative da me fornite al lettore; testo ricapitolativo di una vasta mole di dati, in precedenza frammentati e dispersi, con i tabellini delle partite di quel periodo e le schede biografiche di giocatori e dirigenti svizzeri, o di origine svizzera.
- Sullo sfondo, e nemmeno troppo, c’è una Italia che attraversa un determinato periodo storico. Come viene descritta?
Gli anni presi in considerazione sono, principalmente, quelli tra il 1887 e il 1915, e le città chiamate in causa sono quelle del cosiddetto “triangolo industriale”: Milano, Torino, Genova. Il libro tratteggia, a grandi linee, la vita sociale ed economica di quella parte del nostro paese. Ma, nell’intento di spiegare come, sul lungo periodo, si sia verificata la formazione di queste comunità elvetiche nell’Italia Settentrionale, ho sentito il bisogno di fornire al lettore una serie di elementi che, andando a ritroso nei secoli, permettono di inquadrare meglio lo sviluppo di questo fenomeno in termini di lunga durata storica.
- Quanta ricerca c’è in un libro come questo?
Il lavoro di ricerca, in termini quantitativi, ha coperto un periodo di circa una trentina di mesi. Mi ci sono voluti più o meno due anni per leggere i libri che parlavano della storia dei singoli club italiani, citati nel mio lavoro, o libri che parlavano della storia del calcio in generale, non solo da un punto di vista sportivo ma anche da quello sociale. In alcuni casi, poi, ho dovuto leggere libri che parlavano di club svizzeri, come il Servette di Ginevra, o della nazionale elvetica. Si è trattato di un lavoro importante per “incrociare” i dati elvetici con le fonti italiane. Lavoro che, tra l’altro, mi ha permesso di scoprire inesattezze o imprecisioni che erano riportate nella pubblicistica italiana. Infine, c’è stato il lavoro di lettura dei quotidiani dell’epoca, un lavoro che mi ha preso circa tre mesi. Essendo insegnante, ho la fortuna di avere lunghe vacanze estive, e la scorsa estate ho passato almeno due o tre ore al giorno a leggere resoconti di partite amichevoli tra svizzeri e italiani, nel periodo di tempo che va dal 1899 al 1915.
- Quali sono i luoghi che hai visitato per fare questa ricerca?
Da quello che ho appena detto, si può intuire che uno dei luoghi è stata la biblioteca; in particolare quella di Genova, mia città natale, dove rientro spesso in occasione dei periodi di festa. In effetti, la consultazione dei giornali, di cui ho appena parlato, ha avuto luogo alla Civica Biblioteca Berio di Genova, che possiede le collezioni complete di alcuni quotidiani dell’epoca, cioè La Stampa, Il Secolo XIX, Il Caffaro e La Gazzetta dello Sport. Anzi, approfitto della domanda per ringraziare i collaboratori della sezione periodici di quella biblioteca genovese. In quei giorni di ricerca, ho avuto modo di apprezzare la loro gentilezza, la loro disponibilità e la loro competenza. Poi, ci sono state altre biblioteche svizzere, soprattutto quelle di Ginevra, a cominciare dalla biblioteca centrale: la Bibliothèque de la Cité. La Biblioteca Nazionale Svizzera di Berna, invece, non l’ho mai visitata. Ma mi è stata di grande aiuto: ogni volta che richiedevo materiale via internet, lo ricevevo sotto forma di allegati mail nel giro di 24 ore. Per cui vorrei ringraziare pubblicamente anche loro.
- Quali misteri svela il libro?
Prima di parlare dei misteri che il libro svela, vorrei parlare dei suoi piani di lettura. Il libro ha un aspetto, per così dire, divulgativo. Infatti, esso ricostruisce le vicende fondative dei più antichi club italiani di calcio, e del ruolo svolto in questi processi dagli svizzeri, o dagli italiani di origine svizzera. Si tratta di un ruolo sconosciuto, o poco conosciuto al grande pubblico. Un ruolo che è sicuramente degno di interesse. Non a caso, il mio libro è stato oggetto di due servizi al Tg svizzero, di sabato 30 marzo, e di un reportage in una trasmissione sportiva, nella giornata di domenica 31. Detto questo, il libro ha anche un secondo piano di lettura, per un pubblico più competente, o più appassionato, che conosce già la maggior parte dei risvolti di quelle vicende. Per questo tipo di lettori, potrà essere interessante scoprire una serie di inesattezze, che magari hanno letto nel corso dei loro studi sull’argomento. Come, per esempio, che il giocatore di Milan e Genoa, Alfred Cartier, non è mai stato imparentato ai gioiellieri parigini; oppure che Franz Calì prima di giocare nella nazionale italiana non aveva mai giocato nella nazionale svizzera. Affermazioni, queste, che si trovano su alcune pubblicazioni italiane, o su siti tematici, e che ho dimostrato non essere vere. Così come non era vero, ciò che è stato affermato da pubblicazioni anche autorevoli e cioè che nel 1907 il Torino avesse giocato contro lo Young Boys. Si trattava in realtà di un’altra squadra bernese: il F.C. Bern. A proposito del Torino, nel libro si può anche apprezzare una foto della nazionale svizzera del 1908, in cui ho individuato due giocatori del Toro (cosa, credo, fino ad allora mai attestata neanche nei libri che parlano della storia di quel glorioso club). In un’altra foto, ancora più vecchia (del 1899), molti storici del calcio segnalavano la presenza di pionieri del calcio come Edoardo Bosio, James Spensley e Herbert Kilpin. Ma l‘incrocio di dati con fonti svizzere, di cui parlavo prima, mi ha permesso di stabilire che in quella foto c’era anche il fondatore della sezione calcio del Servette di Ginevra, François Dégerine (ad essere precisi, la presenza di Dégerine era stata riportata nella pubblicistica italiana, perché segnalata nella formazione riprodotta dagli articoli dell’epoca. Ma nessuno si era mai accorto, che questo svizzero aveva lo stesso “status” di fondatore, o figura guida, che avevano gli altri pionieri citati). E, poi, nel libro, si trovano anche altri dati inediti su Edoardo Pasteur, Henri Dapples, Etienne Bugnion e molti altri giocatori del Genoa, dell’Andrea Doria, della Juventus, del Torino, dell’Inter e del Milan. Insomma, senza grandi scoperte eclatanti, il libro fornisce un ampio ventaglio di correzioni, rettifiche, notizie inedite che contribuiscono ad una ricostruzione storica più rispondente ai fatti reali. Aspetto, questo, che dovrebbe essere molto apprezzato dagli specialisti in materia e dagli appassionati di storia del calcio.
- Che “Cosa” è questo libro per te, cosa rappresenta?
Amo scrivere. È una cosa che faccio da quasi trent’anni. Mi sono cimentato anche nella narrativa, con un breve romanzo che partecipa, proprio in questi giorni, ad un importante premio letterario. Ho scritto saggi di carattere storico, sportivo, sociale e culturale che sono anche stati tradotti all’estero, e poi articoli presenti su blog, siti internet, forum e giornali online. Da qualche mese faccio parte anche degli autori de “Gli Eroi del Calcio” che, a mio parere, per autorevolezza, ventaglio di tematiche e varietà di autori è un “laboratorio” che si contraddistingue in positivo nel panorama italiano. Nel 2004 avevo scritto un racconto, “Nella Tana del Nemico”, pubblicato dalla Frilli Editori, che parlava della mia passione per la mia squadra del cuore: il Genoa. Nel 2017, per la Nuova Editrice Genovese, ho pubblicato una raccolta dal titolo “I Racconti del Grifo. Quando parlare del Genoa è come parlare di Genova”. In questi 18 racconti, a fianco di capitoli basati su rigorose ricostruzioni storiche, si trovavano anche momenti più “leggeri”, di dileggio e contrapposizione, basati sulla rivalità cittadina con la Sampdoria. Questo mio nuovo libro, dal mio punto di vista, rappresenta un testo con un approccio più accademico (un giornalista, in un servizio televisivo, l’ha paragonato ad una ricerca universitaria). E voglio ringraziare l’editore, Gianluca Iuorio, per il suo decisivo sostegno a questo progetto editoriale. Per me questo libro rappresenta, quindi, un lavoro di ampio respiro, forse un po’ meno partigiano rispetto a quelli che lo hanno preceduto, anche se poi, come è giusto che sia, la mia fede calcistica traspare a più riprese anche in questa ricerca.
È un libro che andrebbe letto perché c’è molta fatica, passione e amore per il calcio, soprattutto quello di un periodo che si potrebbe definire “romantico”; un libro che penso possa piacere a tutti gli amanti e gli appassionati di questo sport.
Ringraziamo Massimo per la disponibilità e attendiamo, con grande curiosità, di leggere nei prossimi giorni l’estratto del libro.
Grazie
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