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Sven-Göran Eriksson: “Il Blackburn mi ha permesso di andare alla Lazio. Li ringrazio ogni giorno”

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Sven Goran Eriksson ha raccontato la sua esperienza italiana di allenatore ai microfoni del The Guardian, di seguito una traduzione di alcuni suoi pensieri…

“La Serie A era il campionato migliore al mondo quando la Roma mi ha offerto di ricoprire la posizione. Tutti i migliori giocatori erano lì. Allenavo il Benfica ed eliminammo la Roma nei quarti di finale della Coppa Uefa l’anno prima, motivo per cui mi è stata fatta l’offerta che ho preso al volo, era tempo di muoversi. Era una buona squadra, ma una “vecchia” squadra. La Roma aveva avuto successo con Nils Liedholm, un altro allenatore svedese. Avevano vinto il campionato nel 1983 e avevano disputato la finale di Coppa dei Campioni, persa ai rigori contro il Liverpool, pochi mesi prima del mio arrivo. Era una squadra piena di successo, piena di grandi giocatori e nomi. Si sentivano come se fossero i Re di Roma. Sono andato lì con altre idee. Volevo che corressero di più. Ho faticato molto per tutto il primo anno, a volte mi chiedevo se andare in Italia fosse stata la mossa giusta. In Serie A, a quel tempo, era vietato agli allenatori stranieri sedersi in panchina. Stare in piedi per un anno è stato difficile e la squadra ha giocato male. Non ho potuto fare nulla dagli spalti e non mi era permesso entrare nello spogliatoio durante l’intervallo. Poi, il giorno dopo, ricevevo tutta le critiche dalla stampa quando perdevamo (you got all of the shit from the press when you lost).

Dopo il primo anno le cose sono migliorate. Arrivarono alcuni giocatori nuovi… Il mio secondo anno a Roma è stato molto buono. All’epoca un attaccante era un attaccante. Gli attaccanti segnavano; non difendevano. Oggi è normale, ma non lo era in quel momento. Se volevo giocare il mio stile di calcio non potevo avere giocatori “vecchi” o giocatori famosi che non erano disposti a fare il lavoro in entrambi i modi: attaccare e anche difendere. Mi sono detto: “Sven, se vuoi giocare in quel modo in futuro, prendi i giocatori giusti. Qualsiasi altro modo è una perdita di tempo. “

Eriksson trascorre poi due anni alla Fiorentina, ma la mancanza di grandi motivazioni societarie lo portano in Portogallo di nuovo con il Benfica.

“… nel 1992 ho ricevuto un’offerta dalla Sampdoria… Roberto Mancini e Gianluca Vialli avevano capito che mi volevano come allenatore…Il calcio italiano era ancora il migliore al mondo, quindi ho firmato. Prima di iniziare, il presidente mi ha telefonato. “Non posso più competere con Milan, Juventus e Inter”, ha detto. “Devo iniziare a vendere giocatori. Quindi, sfortunatamente, venderò Vialli alla Juventus. Se vuoi venire, sei più che benvenuto. Se vuoi cambiare idea, sei libero di farlo. ” Vialli se ne andò, ma andai comunque a Sampdoria e furono cinque anni molto fortunati. La Sampdoria era un club di famiglia, di proprietà e gestito dalla famiglia Mantovani. È stata un’atmosfera molto piacevole e familiare. Abbiamo vinto un solo trofeo – la Coppa Italia …”.

Dopo quei cinque anni, sia io che il club pensammo che fosse tempo di andare avanti, quindi ho firmato per Blackburn Rovers. Alcuni giorni dopo aver firmato quel contratto, la Lazio mi si avvicinò. Avevano una grande squadra, ma non avevano vinto trofei per più di 20 anni, anche se sapevo che a Sergio Cragnotti avevano un buon presidente. Conoscevo le loro ambizioni, quindi ho chiesto a Blackburn: “Per favore, lasciami andare in Lazio”. Dopo molti incontri, hanno detto: “OK. Comprendiamo.” Ringrazio Blackburn per questo ogni giorno.

Poi Eriksson si sofferma sul suo periodo migliore, quello con la Lazio…

“Ho cambiato alcuni giocatori che erano lì da molto tempo e che pensavo non avessero la giusta mentalità. Giuseppe Signori era uno di questi. Era un giocatore fantastico: capitano, miglior marcatore e giocatore della Nazionale. Il problema è che era stato a Roma tanti anni senza successi e questo non era positivo, non pensava potessimo vincere … Così andai dal presidente e gli dissi: ‘Dobbiamo vendere Signori’. Ricordo ancora il modo in cui reagì, pensavo gli venisse un attacco di cuore. ‘No stai scherzando, Sven. Non è possibile: è il nostro capitano, il nostro miglior giocatore, il Re della città’… Alla fine lo fece e i tifosi impazzirono. Mi odiavano, credevo mi volessero uccidere …

Furono momenti duri. Qualche mese dopo vincemmo il nostro primo titolo, la Coppa Italia, e poi altri sei. Nessuno disse più nulla riguardo Signori. Comprammo giocatori fantastici come Juan Sebastian Verón, Sinisa Mihajlovic, Roberto Mancini. Diventò una squadra vincente come avrebbe dovuto essere. Nel 1999-2000 iniziammo con una buona continuità, ero convinto potessimo vincere lo Scudetto…  Eravamo tanti punti dietro la Juventus, ma dissi ai giocatori: ‘Possiamo vincerlo’. Non so quanti di loro credessero fosse possibile. Il presidente no: ‘Sven, lo abbiamo perso un’altra volta’. Io risposi: ‘No, possiamo ancora vincerlo’. Da un buon calcio, iniziamo a giocare un calcio brillante. Giocammo tantissime partite senza perdere… La Juventus iniziò invece a faticare un po’. Tutto si decise all’ultima giornata: la nostra partita, contro la Reggina, era finita 3-0 e ci saremmo laureati campioni se la Juventus non avesse vinto a Perugia. Era l’intervallo perché pioveva così forte che la gara era stata posticipata. Dirigeva Pierluigi Collina, il celebre arbitro. La Juventus, visto che stava perdendo 1-0, chiese di rigiocare la partita un altro giorno. Ma Collina fu determinato nella sua decisione …: ‘Aspettiamo’. Noi ascoltavamo la partita dallo spogliatoio, non segnarono e diventammo campioni. Fu un modo strano di vincerlo, però un giorno davvero bello per ogni tifoso della Lazio…

… La miglior dimostrazione di quanto fossero forti mentalmente arrivò il giovedì successivo alla vittoria dello Scudetto in occasione della finale di ritorno di Coppa Italia. Affrontavamo l’Inter e non ci eravamo allenati né il lunedì né il martedì perché tutti i giocatori e la città stavano festeggiando il trionfo. Mi ricordo che parlando con Marcello Lippi, l’allenatore nerazzurro, mi disse: ‘Ora che hai vinto tutto, fai vincere noi’. Io risposi: ‘Vincerai tu, non l’abbiamo preparata questa partita perché qui tutti stanno impazzendo’. Invece il giorno prima negli spogliatoi avevo detto ai giocatori: ‘Se siete dei professionisti, andate in campo e lottate’. Lo fecero e trionfammo, questa era una vera mentalità vincente … Presi la Lazio quando non aveva alcun tipo di mentalità vincente e quello che successe in quegli anni fu bellissimo. 

Vai all’articolo originale del “The Guardian”

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