GLIEROIDELCALCIO.COM – E’ il 21 giugno del 1999 e il calcio italiano, sempre accusato di essere retrogrado, mette invece una pietra miliare nella sua storia: la Viterbese di Luciano Gaucci, che disputa il campionato di serie C1, offre la panchina a Carolina Morace. Si, un allenatore donna. E siamo sinceri, sarebbe una cosa strana oggi, figuriamoci vent’anni fa. Eppure Luciano Gaucci riesce per primo a fare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Lei, Carolina, una campionessa autentica (leggi qui il nostro articolo dell’8 marzo u.s.), mito nazionale invidiatoci in tutto il mondo.
Ha militato nel campionato femminile di serie A vestendo le maglie di Verona, Trani, Lazio, Reggiana, Milan, Torres, Agliana e Modena. Ha vinto il campionato ben dodici volte, due volte la Coppa Italia e una volta la Supercoppa. Per ben dodici volte è stata la migliore marcatrice del torneo. Si aggiudica anche l’UEFA Golden Player nel 1997 e vanta 153 presenze in Nazionale e 105 reti… una calciatrice fenomenale.
Nel 1998 appende gli scarpini al chiodo e intraprende la carriera di allenatrice con la Lazio. Poi, nel giugno del 1999, viene nominata da Gaucci allenatore della Viterbese.
“La mia Viterbese affronterà la C-1 con il modulo di Marcello Lippi, un 4-4-2 modificabile durante la partita. Sì, sono al debutto, ma ho un passato prestigioso, e qualcosa d’ importante l’ho fatto, anche se questo non vuol dire che sia la più brava”, le sue prime parole da allenatrice della Viterbese.
Gaucci: “Le donne ormai fanno i capi di Stato, non capisco lo stupore per questa notizia. Sulla Morace sono pronto a scommettere, per lei la serie C è solo il primo gradino. Di sicuro cercheremo di conquistare la B. Poi si vedrà”.
Sembra un grande idillio, sembra tutto in discesa e alla prima giornata di campionato arriva la vittoria per 3-1 contro il Marsala. La seconda giornata invece la sconfitta per 5-2 con il Crotone fa crollare tutto il castello e il 14 settembre successivo arrivano le dimissioni.
Gaucci “ha telefonato a Carolina per dirle che le confermava la fiducia, ma che avrebbe cacciato la sua “vice” e il preparatore atletico. Lei, prigioniera del suo carattere ma soprattutto del suo ruolo di avamposto rosa nel cuore del maschilismo pallonaro, non ha potuto che restare fedele al suo orgoglio e andare via” (Cit. La Stampa, 14 settembre 1999).