Una volta una ragazza romana mi disse che le stelle salgono sempre ad occupare il posto che Dio ha voluto per loro: esattamente sopra i desideri degli uomini… è una frase bellissima vero?”
Sì, era davvero una frase bellissima ma in quella lontana sera torinese del maggio 1915, il Cavaliere del lavoro Enrico Canfari di tutto aveva voglia fuorché di stare lì a sentire le romanticherie fuori posto del suo giovane amico Benigno Dalmazzo.
Il ragazzo aveva solo vent’anni ed era sicuramente il giocatore più forte della squadra che, soltanto pochi anni prima, lui ed un gruppo di liceali suoi coetanei, avevano fondato: la Juventus.
Era dal primo pomeriggio che Canfari tentava di dissuadere quel giovane più testardo di un mulo dalla sua intenzione.
Ora l’uomo stava giocando la sua ultima carta: aveva portato il ragazzo lungo Corso Umberto e l’aveva fatto sedere proprio sulla panchina dove erano nati i colori Bianconeri.
“Ma insomma” – sbottò Canfari con il suo inconfondibile accento piemontese – “Mi dici come ti è saltato in mente di proporti volontario per la guerra?
Si può sapere per quale insano motivo devi andare a sparare a dei ragazzi come te che neanche conosci e che hanno l’unica colpa di essere austriaci?”
Il giovane tentò inutilmente di rispondere ma Canfari era un fiume in piena e non lasciava nessuno spazio alle repliche.
“Che stupidaggine che hai fatto Benigno!!!
E poi questa guerra finirà prestissimo, quindi non c’era assolutamente bisogno di te al fronte.
Potevi restare tranquillamente qui a Torino a studiare e a giocare a Calcio e fare goal per la mia squadra.”
Dalmazzo (accosciato, secondo da destra) nella Juventus della stagione 1913-1914 foto wikipedia
È sì, il Cavalier Canfari era davvero arrabbiato con quel ragazzo che per lui era come un figlio, anche perché, ormai lo avrete sicuramente capito, Benigno Dalmazzo era uno dei primi giocatori di calcio della nostra Nazione ed era anche molto bravo.
Aveva esordito nel Campionato del Regno d’Italia del 1911, quando aveva solo 16 anni e da allora di goal ne aveva sempre fatti tanti.
Anzi, nell’ultimo campionato giocato prima dell’inizio delle ostilità era stato anche il miglior marcatore della Juventus e dell’intero torneo con ben 20 reti, un’enormità per l’epoca.
Ma fu tutto inutile, Benigno non tornò indietro dalla decisione che aveva preso e pochi giorni dopo salì sulla tradotta militare che l’avrebbe portato sull’ Altopiano di Asiago, la sua destinazione di guerra.
A salutarlo alla stazione quella mattina andarono anche Enrico Canfari e la moglie.
“Cerca almeno di non farti ammazzare” gli disse con un filo di voce il Cavaliere.
Quella fu l’ultima volta che l’uomo vide il suo centrattacco.
Il 1° luglio 1916 era una bella sera sull’altopiano e, lo sanno tutti, “Le montagne sono i posti più vicini alle stelle”.
Per questo motivo Benigno volse lo sguardo a quel cielo meraviglioso, ripensò alla sua ragazza romana, si fece forza e andò all’assalto di una collina dalla quale gli austriaci sparavano con le loro micidiali mitragliatrici sugli italiani.
Fu un attimo ed il tempo per Benigno smise di scorrere sul sottile confine che da sempre divide la vita dalla morte.
Improvvisamente arrivò una raffica di mitragliatrice molto più precisa delle precedenti.
Benigno Dalmazzo venne colpito al petto e terminò la sua esistenza terrena sul fondo di un burrone altissimo.
I suoi commilitoni lo videro rotolare rovinosamente fra le rocce taglienti che durante la caduta del corpo inerte andavano colorandosi del suo sangue.
Non fu possibile recuperarlo!
Nessuno poteva farlo, gli austriaci sparavano su ogni cosa che si muoveva, e quei poveri ragazzi erano atterriti: piangevano, urlavano e maledicevano quell’orrenda carneficina.
Tre anni dopo la Grande Guerra ebbe finalmente termine e tutti ormai aveva dimenticato Benigno e il suo destino.
In tanti erano morti come lui e per questo motivo anche le cose più atroci erano diventate ordinarie… ma c’è sempre un Dio che da qualche parte dell’universo ama scrivere le storie di tutti noi.
Nel 2016, esattamente cento anni dopo la morte del ragazzo, il cane di un escursionista durante una passeggiata con il suo padrone dissotterra alcuni resti.
“Guardate… guardate cosa ha trovate il mio cane: una fibbia, un osso, un lacero pezzo di divisa… chissà a chi appartenevano?”
Nemmeno il tempo di finire la domanda e fra quei poveri resti del cadavere emerge anche una targhetta metallica con un numero di matricola.
Una delle pochissime della Grande Guerra, poiché all’epoca i soldati avevano in dotazione soltanto un cartoncino per il riconoscimento.
Benigno probabilmente quella targhetta l’aveva realizzata da sé.
Si forma un gruppo di esperti, si ricorre agli archivi dei dispersi per cercare fra i tanti nomi dei disperati senza il conforto della terra consacrata in cui riposare.
Poi, finalmente, compare il nome di Benigno Dalmazzo, tenente del 162esimo reggimento di fanteria “Ivrea” e centravanti della Juventus.
È uno dei momenti più incredibili e commoventi di quella infinita pazzia che fu la Grande Guerra.
Qualcuno piange lacrime di gioia e di dolore.
È così che oggi Benigno Dalmazzo riposa in una tomba tutta per lui nel Sacrario militare di Redipuglia.
Sull’altopiano di Asiago, nel punto esatto dove i suoi resti sono stati ritrovati e stata collocava una lapide che lo ricorda, là proprio vicino a quelle stelle che il ragazzo durante la sua breve vita aveva tanto amato.
Bene… ora conoscete anche questa storia, che desideravo raccontarvi, in cambio voglio chiedervi un grande favore.
Se andate da quelle parti, là sull’altipiano di Asiago, chiedete di lui, fatevi indicare la sua lapide ed andate a trovarlo.
Portategli un piccolo fiore se lo merita e, se proprio volete, magari, portategli anche un pallone da calcio, vedrete, Benigno ne sarà felice… sapete?
Aveva promesso al Cavalier Enrico Canfari fondatore della Juventus che avrebbe segnato un goal anche agli angeli del cielo.
Laureato in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma, è un autore, sceneggiatore e attore teatrale.
Mario non ama parlare molto di sé, preferisce spendere le sue parole per i personaggi delle storie che racconta e che porta in scena.
Adora due cose in particolare: le scarpe da running e le strade del mondo.
Ed è così che trova i suoi incredibili personaggi, o forse, più esattamente, sono loro che vanno a cercare Mario, perché ne percepiscono le affinità elettive.
Così facendo egli ruba prezioso spaccati di vita dai suoi viaggi, spaziando dalle Regioni della Mitteleuropa, quella da cui, perdendosi fra le acque dell’amato Danubio, non farebbe mai ritorno, ai tramonti meravigliosi dell’Africa, fino alle grandi distanze della Russia, Nazione che ama e da cui è ricambiato incondizionatamente.
Distribuisce poi il “suo bottino” trascrivendo il caleidoscopio di vite, sensazioni ed emozioni, a beneficio dei suoi lettori.
Un autore, Mario Cantoresi, capace di toccarti nel profondo e lasciarti qualcosa di unico e prezioso dentro.