GLIEROIDELCALCIO.COM – (Federico Baranello) – Pubblichiamo, come preannunciato (vedi video-intervista con l’autore qui), un estratto del libro “Tredici gol dalla bandierina” di Ettore Castagna, edito da Rubettino. Il testo, tratto dall’omonimo capitolo, racconta la particolare parabola del pallone calciato dalla bandierina da parte di Massimo Palanca e delle sensazioni dei portieri, quasi un privilegio per loro.
Ringraziamo ancora l’autore e la casa editrice per averci dato la possibilità di pubblicare questo estratto in esclusiva per i lettori de Gli Eroi del Calcio.
Buona lettura.
Federico Baranello
Dalla bandierina (Uno)
Ma è vero che hai fatto tredici gol dalla bandierina, Massimè? È proprio vero? Certo, lo hanno detto tutti i giornali e io faccio fatica a pensare che è vero. Tredici sono tanti. Possibile che i portieri non lo sanno? Possibile mai che i portieri non s’organizzano e dicono: «Massimè, mo’ basta! Che ti pensi che fai fesso pure a me oggi?»
E invece no. La palla parte, vola, sta in aria un poco, poi gira, gira di un modo che non si può dire, gira che pare che va da un’altra parte. Ma poi gira giusto. Giusto e non sbagliato. Ed entra. Tredici sguardi tutti uguali dei portieri, tredici sguardi come per dire: proprio a mmia ’sta disgrazia? Proprio a mmia sta pigghiata ppo’ culu? Sì, così è, la palla gira. Sta in aria e gira. Il fatto è che ci mette troppo tempo e il portiere nel frattempo si pensa qualcosa. Si distrae. Magari si pensa che quella palla può stare in aria per sempre. Sospesa in aria, fuori dalla legge gravitazionale. Con uno stadio intero che la guarda senza aspettarsi niente, sospendendo ogni volontà. Anzi cancellandola.
Lo stadio non vuole nulla mentre vede quella palla volare. Non vuole che prenda terra sospendendo le speranze, staccando la spina al sogno. Ma si sbagliano. Credono di volere nulla ma qualcosa inceppa le intenzioni. Una tempesta opposita nella quale la curva nord e la curva ovest si trovano in equilibrio perfetto. Due voleri contrari che tirano la corda e lei sta ferma.
Quella palla ruota contro la mia porta, ti prego dio della bandierina e del margine dell’area allontanala dalla linea del gol. Quella palla ruota contro la porta del nemico, ti prego dio del fischio d’inizio e del fischio finale fa che trapassi la sua linea debole. Lo vedi allora come due grandi volontà si oppongono e si annullano. Positivo e negativo, principio e fine, il caffè e la birra, il culo e una colomba.
Massimè, ecco che la palla resta in aria. La palla che hai calciato tu. Il portiere la guarda e spera che ci resti per sempre, che annulli il futuro, le passioni, le malattie, le bollette dell’Enel, la cellulite della moglie, pure il rubinetto che perde perché un calciatore non ha tempo di pensare ai rubinetti.
La casa è lontana, ci tornerai a fine carriera, vai a pensare al rubinetto? Devi pensare alla Juventus, al Milan, al Lanerossi Vicenza, alla Sampdoria. Devi pensare che non vuoi che tuo figlio faccia il calciatore. I soldi del calcio vanno bene ma tantomeglio se sei notaio. Un notaio non deve valutare la traiettoria di una palla dalla bandierina. Non c’è lo stadio che grida cornuto, cambia mestiere, coglione, vaffanculo, bravo. Nessuno ti fa segno di qualcosa, ti chiama da dietro la rete, si aspetta la giornata buona da te, si aspetta di voler dimenticare o voler ricordare. Perché è allegro, è triste per un gol. Meno ancora, per un dribbling. Meno ancora perché prima di battere una rimessa laterale ti sei voltato e hai salutato da quella parte. Dove si trova lui. C’è una clausola preventiva sul contratto e il notaio sempre saprà come va a finire.
Il tiro a effetto non è contemplato. Niente traiettorie impre-viste per un rogito, una donazione, un testamento. Un notaio non calcia mai dalla bandierina provando le variabili alle regole della gravità, della rotazione, del peso, della traiettoria dei corpi. Non aspetta che la palla si decida a scendere, che imbuchi l’angolo del suo destino, che le Moire smettano di filare.
Il portiere è colto dalla contemplazione di quello spazio scheggiato e incrinato. Il pallone ha individuato una frattura fra ascisse e ordinate e sopra una mensola immateriale si è posato ruotando. Guarda un poco a quella velocità come non si vedono tutti quegli esagoni neri che lo compongono! Bianco pare… Vola, vola la palumba! Quanti esagoni neri ci sono ogni due, tre, cinque, più esagoni bianchi? Nemmeno Massimeddu lo sa, lui che il pallone lo ha calciato non lo sa. Di sicuro non ci ha mai pensato. Il pallone sbianca rotando ma anche dalla distanza si vede che a ogni cambiamento di stato e di rotta muta pure il suo colore. Gli esagoni neri tingono diversamente il grigio della sfera quando la palla parte dall’angolo poi fa il primo tenue giro, poi si sospende sull’area di rigore mentre lassotto tutta un’umanità scalcia, sgomita o contempla guardando in aria alla ricerca della migliore posizione. Poi si scurisce. Quello è il segno che la palla sta provando l’intenzione di terminare il volo. Quel colore chiama a uscire dalla contemplazione se hai vegliato sull’intera traiettoria, se sei stato consapevole per tutto il tempo del suo volo e hai saputo che, per quanto perfetto, avrebbe avuto un termine. Quello è il segnale.
Se invece il tuo respiro è stato intercettato dal colmo della parabola, allora non tornerà a terra prima del pallone stesso. E con esso la tua intenzione, il tuo pensiero, il tuo senso del tempo. Il tiro a effetto avrà trafitto l’anima del portiere. Ma non di potenza, come dicono che Piola sfondasse le reti. Ne attira i sensi e poi affascina la sua coscienza di veglia. L’anima si è sospesa anch’essa con la rotazione della sfera desiderando che tale fosse per sempre.
Perde l’anima il portiere per un attimo e il suo corpo aspetta senza sapere di preciso cosa fare. Quando la ringoia con fatica, la palla sta già̀ scurendo il suo grigio. L’anima non vuole tornare a terra ma deve, non può lasciare il portiere privo del sé in area di rigore. Basta quel diaframma di tempo per distrarlo e il lampo minimo è trascorso.
La palla è in rete e niente egli ne sa sino a quando non sente grida tutt’intorno. Sono solo tredici i portieri che hanno avuto questa percezione, questo privilegio, questo accesso alla contemplazione. Hanno percepito il bello nella sconfitta. Tutti gli altri o hanno vegliato troppo intercettando la parabola e guadagnando giusto un breve applauso o hanno visto passare solamente un tiro sbagliato che si è perso altrove.