Sette, il settimanale del venerdì del Corriere della Sera, ha pubblicato oggi una bellissima intervista al mitico Dino Zoff dove ripercorre la sua carriera e analizza il momento attuale del nostro calcio.
Di seguito uno stralcio in versione “storica” …
[…] Paolo Rossi, andatosene un anno fa, troppo presto, è stato un simbolo: piccolo, con un tisico normalissimo, eppure capace dl arrivare in cima al mondo. Quanto manca oggi Pablito?
«Moltissimo. Manca iI suo sorriso, la sua semplicità. Riusciva a non prendersi sul serio, nemmeno nei momenti più importanti, quando era al centro di tutto. Paolo era un ragazzo buonissimo, simpatico e sveglio. Era un amicone, una persona davvero piacevole, corretta ed educata, oltre che un campione. Ci manca, eccome se ci manca».
Anche il talento di Pablito era nato all’oratorio, a Prato. Lei che ricordo ha del suo oratorio a Mariano del Friuli?
«Altro mondo, sì. Lì sono nato e sono cresciuto. Giocavo da portiere nel Mariano e lavoravo prima in un’officina di Cormons e poi a Gorizia. Avrei fatto il meccanico, se non avessi sfondato nel caldo. Poi ci sono state l’Udinese, il Mantova, il Napoli, la Juventus, la Nazionale. Ma lì c’è la mia gente, ci sono le mie radici, la mia lingua, il friulano, che è bellissimo. Ormai da moltissimi anni vivo a Roma, che adoro. Ma dentro sono sempre friulano. La sera spesso leggo le poesie in friulano di Pasolini. Bellissime. Però non fatemi passare da intellettuale, che non lo sono mai stato. Io ho sempre solo giocato a pallone».
In un’intervista a Paolo Tomaselli per il Corriere, ha detto che la sua massima esultanza fu il bacio a Bearzot dopo Italia-Brasile.
«Direi di sì. E ci vergognammo un po’, per il pudore che avevamo nei festeggiamenti non mi è mai piaciuta. Anche per rispetto degli avversari».
«Festeggiavamo uno scudetto e non mi tiravo indietro. Ma a quei tempi si andava a ballare solo dopo una vittoria del campionato, mica tutte le sere. Era una cosa straordinaria. E si faceva tardissimo, si tornava a casa all’alba. Ricordo la vergogna mia e di Capello, una volta che siamo usciti da un locale quando la gente andava a lavorare».
Quindi l’immagine dello Zoff schivo e solitario era sbagliata
«Mi avete dipinto come uno che non parlava mai: non era così. Quando c’è da festeggiare qualcosa di importante si fa, basta non farlo sempre, sennò perde tutto di senso, anche la festa».
Ma è vero che dopo la vittoria del Mundial restò in stanza con Scirea?
«Verissimo. Avevo già quarant’anni e sapeva che non sarebbe stato possibile rivincere un Mondiale. Era un momento da santificare, più che da ballare».
A Mariano, nella cantina della casa dove viveva da bambino, c’è un museo dedicato a lei. Quale è il pezzo forte della collezione?
«Meglio che non glielo dico, in giro è pieno di malintenzionati. Ma no che scherzo. Direi senza dubbio il telegramma che mi spedì Pertini quando smisi nel 1983».
È vero che il Presidente più o meno si scusò per l’errore nella partita a scopone sull’aereo di ritorno da Madrid?
«Non più o meno, si scusò proprio. Mi scrisse: `Vieni a trovarmi. Giocheremo a scopone e cercherò di non fare più gli errori che mi hai giustamente rimproverato”. Uomo eccezionale». […]