Storie di Calcio

I 70 anni di Cesare Cattaneo, per tutti “Armaròn”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)

Il gigante baffuto

Negli anni ’80 esisteva un calcio genuino e passionale, dove la provincia operaia riusciva a limare, spesso, l’innegabile divario tecnico con le regine del campionato. E succedeva che nascessero e crescessero dei veri miti sportivi, capaci di convogliare la simpatia di intere tifoserie vogliose di gloria.

Cesare Cattaneo, brianzolo di Verano, fa sicuramente parte di questa ristretta schiera di icone pallonare. Una carriera vissuta nell’ombra della B per molti anni e poi esplosa, tra i ’70 e gli ’80, in due piazze distanti geograficamente e culturalmente. Avellino e poi Udine. Glorie e rivincite, come quella ottenuta contro il suo Milan; un gol di ginocchio che aveva fatto esplodere il pubblico Irpino e arrabbiare Albertosi.

Perché Cattaneo con il Milan di Rocco aveva esordito nel calcio dei grandi. Lo stratega rossonero lo aveva inserito nella mischia ad appena 19 anni, contro la Juventus, in una partita del 29 Marzo 1970,  e quel ragazzone si era fatto lasciar prendere dall’emozione e imbambolare dallo scatto dell’ispiratissimo Anastasi, autore di una doppietta.

Da quel momento un girovagare tra Taranto, Como, Verona e Ternana, fino all’ottima stagione al Novara che lo spinse verso la sua seconda casa. E pensare che Cesarone nemmeno voleva andarci ad Avellino. Sarà la sua fortuna e quella di una piazza unica, innamorata di un pallone che la salverà dalla disperazione del terribile terremoto. Con la maglia verde dei campani giocherà quattro mitiche stagioni, formando una coppia difensiva arcigna e tenace, insieme al libero Di Somma. Poi passerà all’Udinese, quella mitica degli anni di Zico. Altre quattro stagioni e un attaccamento unico ai tifosi friulani, che infatti lo battezzeranno con il simpatico nomignolo di Armaron (a sottolineare la sua grande mole che ricordava un armadio).

Una icona pop del calcio anni ’80. Da quella sfortunata esperienza del Marzo 1970, Cattaneo imparerà a farsi rispettare dagli attaccanti avversari. Dove non arrivava con la tecnica, ci metteva la grinta. Soltanto una la bestia nera: Beppe Savoldi.

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