IL FOGLIO (Giorgio Burreddu) – […] Fu portiere della Fiorentina alla fine degli anni Sessanta, secondo di Albertosi; poi Reggiana, Parma, Cesena, “che è la città più bella per giocare a calcio”. Soprattutto fu uno che diede scandalo. La prima volta perché decise di prendersi una laurea: “Gianni Mura non ci credeva, mi chiamò e mi disse: `Boranga. In Medicina, veramente?’. Vieni da me, ti faccio vedere, risposi. Gli regalai la mia tesi e venne alla discussione. Se n’è andato anche lui, mi sono sentito triste, è stato un grande”. Alla fine Boranga di lauree ne ha prese due. L’altra in Biologia: specialistica in virologia e batteriologia. E dunque: il coronavirus? “Un mese fa lo dissi: `occhio, bisogna fare i tamponi, è una cosa seria’ […] Fino a dieci giorni fa Boranga stava in ospedale, si metteva la mascherina, “anche venti, venticinque visite al giorno”, e poi è arrivato un caso positivo, “hanno chiuso tutto per sanificare e ho deciso di restare a casa: basta”.
[…] Lo chiamano Bongo perché sosteneva di poter parare e fare un buffetto al naso dell’avversario. Nello stesso momento. “Un po’ matto sono sempre stato. Ogni tanto sento ancora Zoff, quelli alla Juve erano troppo inquadrati. Un po’ di libertà, su. Mi hanno fatto gol Charles, Best, Maradona giocando a beach soccer. Il calcio si è evoluto, ma lo spirito è sempre lo stesso” […] A Boranga ricominciare non ha mai fatto paura. A cinquant’anni tornò a giocare per una squadra di dilettanti. Si è ritirato a settantacinque anni e sette mesi: un record. Allora si è messo a fare l’atletica. “Paura non ne ho, nemmeno di questo virus. La paura noi portieri non ce l’abbiamo. È un ruolo in cui servono coraggio, riflessione e attenzione. Mi sono rotto cinque costole, ho venti punti sul corpo. Ma non ho paura di stare alle regole […]
“Sono originario di Belluno, Veneto. Il mio babbo ha fatto la guerra, mio nonno pure. Si chiamavano Eugenio tutti e due. Papà pilota dell’aeronautica, è morto in un incidente, il coraggio l’ho preso da lui. Nonno postino, poi direttore delle poste, aveva una stanza piena di provviste, polenta, farina, fagioli, scatolette, non faceva entrare nessuno: dovevano essere la riserve per un’altra guerra”. Che oggi è arrivata, diversa, più lugubre e subdola […]