IOGIOCOPULITO.IT (Paolo Marcacci) – […] Anni settanta, una tuta blu, una coscienza di classe acquisita attraverso l’esperienza nell’associazionismo, peraltro di matrice cattolica, le buone e sistematiche letture, la voglia di comprendere le storture della società, per poi poterle combattere, dopo averle denunciate. Al contempo, il borsone da calcio: accostamento eretico, elemento incongruo, tanto per il buon senso borghese quanto per il dogmatismo rigido della sinistra più oltranzista.
In mezzo a tutto questo si districava e per la verità si districa ancora il fisico compatto di Paolo Sollier, piemontese di Chiomonte, attaccante di rendimento, più che realizzatore, che oggi ha una barba meno folta e meno scura ma che continua a dire e pensare le stesse cose di cinquant’anni fa […]
Che poi in un ambiente abituato ai cliché, come quello del calcio professionistico nell’Italia degli anni che venivano acquisendo una sfumatura color piombo, lui venisse percepito come un dissidente, una scheggia impazzita, un elemento non previsto dal “sistema” era persino scontato, oltre che inevitabile […]
Cinzano, Cossatese, Provercelli: le sue maglie fino al 1974: anni in cui, oltre alla divisa di gioco, aveva indossato anche la tuta da operaio, alla Fiat Mirafiori
[…] Cominciò a salutare col pugno chiuso, all’ingresso in campo come dopo ognuno dei suoi gol non così numerosi; più per ricordarsi sempre chi era che per sfidare qualche banale cliché, sin da quando non era ancora approdato al professionismo.
Poi quel pugno trovò la ribalta di una promozione in Serie A e di un campionato di tutto riguardo, dal 1974 al 1976, con la maglia del Perugia più memorabile che si ricordi, quello allestito da Silvano Ramaccioni e guidato in panchina da Ilario Castagner.
Non cambiò il saluto, si moltiplicarono i suoi significati, crebbe la sua portata simbolica. Eppure quel pugno era anche un guscio, per così dire, all’interno del quale Paolo Sollier voleva continuare a racchiudere la sua identità di uomo pensante, che sceglieva il proprio modo di rapportarsi al mondo e alla società in cui viveva; il tutto in un calcio in cui quasi tutti gli altri protagonisti sembravano programmati per non mettere mai il naso fuori del rettangolo di gioco […]
Rimini, Pro Vercelli, Biellese, Cossatese: il prosieguo della sua parabola da calciatore, dopo quel Perugia che sarebbe continuato a crescere, dopo di lui. Nel frattempo, un libro, uscito nel 1976, in cui lui, ancora più marziano per averlo scritto e, innanzitutto, pensato, racconta dal di dentro l’ambiente del calcio e, in controluce, una società in via di radicali cambiamenti: “Calci e sputi e colpi di testa” […]
Ha allenato in provincia, dopo aver smesso di giocare; non a grandi livelli ma sempre a modo suo, tra Piemonte e Lombardia […]
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