Il calcio non ha mai avuto un grosso feeling con i Giochi Olimpici, venendo spesso considerato come un intruso lì dove si celebravano le imprese di altri sport, atletica in particolare.
Eppure la grande popolarità del calcio ha sempre fatto sì che esso trovasse un posto tra le discipline olimpiche, pur con varie formule.
Mai, credo, gli altri sport hanno perdonato la popolarità al calcio, e i tanti guadagni dei suoi campioni, in un arengo che, soprattutto all’inizio, era “duro e puro” e non ammetteva il professionismo.
Poi, nel corso degli anni, si è scesi a “patti con il diavolo”, oggi il dio denaro la fa da padrone anche qui, resta, però, quella sorta di altezzosità degli altri sport verso il calcio, pure da sempre presente (tranne la prima edizione del 1896 e Los Angeles 1932).
Il gioco del pallone era ancora giovane quando nel 1896 si concretizzò il sogno di Pierre de Coubertin, già però le varie nazioni avevano voglia di confrontarsi tra di loro anche, e sarebbe stato meglio solo, su un campo di calcio.
Il mondo non conosceva ancora la globalizzazione di oggi, forti erano le identità nazionali, che presto anche sui ben più tragici campi di battaglia si sarebbero dovute confrontare.
Quasi per uno scherzo del destino furono proprio i Giochi Olimpici ad essere l’occasione per un vero confronto internazionale tra squadre nazionali di calcio e, nel biennio 1924 – 1928, espresse la sua incontrastata regina, l’Uruguay.
Uruguay 1924 foto www.auf.org.uy
Desta sempre fascino e interrogativi scrivere di calcio riguardante questa minuscola nazione, rimane profondo il mistero legato al germe calcistico che pervade felicemente questa popolazione e le permette di sfornare talenti a ripetizione.
Ritornando ai Giochi Olimpici del 1924, avventurosa fu la partecipazione dei platensi, sin dal viaggio per raggiungere la lontana Parigi, sede dei Giochi: per affrontare la costosa traversata fino in Spagna, alcuni dirigenti accesero delle ipoteche sulle loro case, dalla penisola iberica fino in Francia la squadra si pagò il viaggio con i proventi di alcune esibizioni.
Nonostante questo erano in pratica sconosciuti, e nell’imminenza del debutto olimpico contro la Jugoslavia, i plavi mandarono anche osservatori a “spiarli”. Accortisi della cosa, i giocatori in campo fecero finta di essere degli sprovveduti, salvo riservare un’amara sorpresa ai loro avversari, quando questi si resero conto a proprie spese del loro reale valore, finendo sconfitti addirittura per sette a zero.
Fu poi un crescendo continuo, con le vittorie su Stati Uniti (3-0), Francia padrona di casa (5-1), Paesi Bassi in semifinale (2-1), fino alla finale con la Svizzera, giocata allo “Stade Colombes”.
Senza storia, quella partita, i giocolieri uruguaiani si imposero tre a zero con le reti di Pedro Petrone, José Cea e Alfredo Romano. Questa la formazione campione olimpica 1924:
A Montevideo fu tanto il tripudio che in seduta solenne del 12 giugno 1924 il Parlamento decideva all’unanimità che il 9 giugno, giorno della vittoria finale sulla Svizzera per 3 a 0, fosse dichiarato in perpetua festa nazionale. […] Il pubblico francese si era entusiasmato alle prodezze e al raffinato palleggio dei giocatori in maglia celeste e di colpo tale sport acquistò in Francia grande popolarità.[1]
Quattro anni dopo la sede dei Giochi è Amsterdam, gli uruguagi non sono più una sorpresa, aumenta anche il contingente delle squadre extraeuropee.
La Celeste non conosce comunque ostacoli, i punti di forza sono ancora il portiere Andrés Mazali, José Andrade, La Maravilla Nigra, un vero fuoriclasse per forza ed eleganza, Hectòr Scarone e Cea, si impone sui padroni di casa dei Paesi Bassi (2-0) e sulla Germania (4-1), prima di affrontare in semifinale l’Italia.
All’epoca gli Azzurri, guidati da Augusto Rangone, iniziavano a gettare le basi per i trionfi degli Anni Trenta, la medaglia di bronzo che conquistarono a questi Giochi (contro l’Egitto, 11-3) fu il loro primo alloro internazionale, ma nulla poterono in quella semifinale contro l’Uruguay.
Pur dati per sfavoriti, si impegnarono al massimo contro i sud americani, potendo contare su futuri campioni quali Giampiero Combi, Viri Rosetta, Umberto Caligaris, Angelo Schiavio, Felice Levratto, ma alla fine fu sconfitta, tre a due.
Fu certo una partita di combattimento, ma senza durezze, e il calcio italiano ne uscì fuori con le patenti di primo della classe in Europa. Il nostro Rosetta fu considerato il miglior terzino delle olimpiadi. Il “Telegraph”, dopo la nostra sconfitta, intitolò il suo articolo con un “Evviva il perdente!”.[2]
In finale l’Uruguay trovò un’altra sud americana, l’Argentina, già acerrima rivale. La gara fu estenuante, equilibrata, terminò sull’uno a uno anche dopo i supplementari, occorse la ripetizione che fu appannaggio della Celeste grazie al gol – vittoria di Scarone nel secondo tempo, che spezzava l’equilibrio creato dalle reti di Roberto Figueroa e Luisito Monti per gli argentini.
Questa la formazione campione olimpica del 1928, che succedeva a sé stessa:
L’Uruguay era campione olimpico per la seconda volta consecutiva, quella contro l’Argentina fu un anticipo di quanto sarebbe accaduto due anni dopo, alla prima edizione dei campionati del mondo di calcio, conclusisi ancora con la vittoria uruguagia sugli argentini (4-2).
Proprio questo dominio fece sì che nel 1950 la stessa Fifa equiparasse quelle due vittorie ad altrettante vittorie mondiali, riconoscendo di fatto l’Uruguay campione del mondo, seppur amateur, per il 1924 e il 1928, dando valore ai due tornei olimpici per il numero e la qualità delle partecipanti.
Per questo l’Uruguay sfoggia sul petto delle proprie maglie quattro stelle, simbolo di quattro vittorie mondiali: Uruguay Tetracampeon!
Bibliografia
Ciccarelli, Appunti di Storia del Calcio, in: D. Tafuri, Università e Calcio, Filo Refe, Napoli 2019
Ciccarelli, 80 voglia di vincere, Storia dei mondiali di calcio, Ed CentoAutori, Villaricca (Na) 2010
Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Einaudi, Torino 1967
Jacomuzzi, Storia delle Olimpiadi, Einaudi, Torino 1976
Grimaldi, Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale, Lab DFG, Latina 2020
Trifari (a cura di), L’Enciclopedia delle Olimpiadi, RCS, Milano 2008
Wikipedia
[1] S. Jacomuzzi, Storia delle Olimpiadi, Einaudi, Torino 1976, pp. 104 – 105