LAROMA24.IT (Federico Baranello) – E’ il primo Maggio dell’anno di grazia 1983, ancora tre giornate alla fine del campionato, ancora tre giornate al sogno. La Roma ha tre punti di vantaggio sulla Juventus, 38 contro 35. Mentre i bianconeri ricevono l’Inter, la Roma ospita l’Avellino davanti a 50.000 spettatori in una domenica che potrebbe regalare già matematicamente lo scudetto alla compagine giallorossa.
La contesa sta per avere inizio e Galeazzi riesce ad intercettare Capitan Di Bartolomei e riuscire a formulare la famosa domanda, una domanda che farà storia: “Capitano…mancano tre giornate, l’equipaggio chiede: Andremo in porto o no?”. Segue una delle frasi più belle di Agostino, quelle frasi scritte sopra ogni singolo sanpietrino della capitale, nel cuore di tutti noi: “In porto sicuramente…vediamo di arrivarci con il vessillo”. Una frase che ancora riecheggia…
Al ’38 la punizione di Falcao che il Capitano lascia volentieri al Divino, ingannando di conseguenza l’intera retroguardia Irpina che attendeva invece il tiro di Di Bartolomei. Ne scaturisce un raro capolavoro di tecnica e potenza. La palla s’insacca da oltre 25 metri gonfiando la rete. Falcao esulta, si avvia verso il Cuore della gente, verso la Sud, con la sua classica movenza, con quella corsa intervallata da un salto con il braccio quasi a colpire il cielo. Poi di nuovo…poi ancora. In Sud c’è già da qualche minuto, precisamente dal gol di Altobelli che ha portato l’Inter in vantaggio, un grande scudetto ad attendere l’Ottavo Re di Roma. In questo momento la Roma è Campione d’Italia. Le squadre rientrano negli spogliatoi e Galeazzi lo incalza e Falcao ribatte al giornalista: “E’ troppo presto per parlare di gol scudetto…”
Al 65’ il gol di Agostino: “L’azione è stata molto bella, con palla da Nappi a Conti, da Conti a Falcao e da Falcao a Di Bartolomei: il Capitano ha scaricato il suo destro nell’angolo basso e la gente ha preso a ballare sugli spalti” (Cit. Stampa Sera, 2 maggio 1983).
Qui inizia la poesia…Agostino urla e comincia a correre come solo lui può e sa fare: le braccia distese e aperte come un aereo, il busto un po’ curvo in avanti. La scivolata sul terreno reso viscido dalla pioggia. Ora è in ginocchio, sguardo verso il cielo. Arriva vicino a lui Ancelotti, lo abbraccia. I due corpi, affaticati e sudati, sono uniti. I due corpi diventano uno, le braccia si stringono. In questo abbraccio c’è tutto. C’è tutto Agostino, c’è tutto Carlo. C’è tutta Roma. Un abbraccio che esprime amore, gioia, felicità. Un abbraccio in cui si rincuora e si viene rincuorati. Tutti vorrebbero essere lì in mezzo, tra quei corpi, il luogo più sicuro al mondo.
Quando Klimt dipinse il suo abbraccio si ispirò a tutto ciò era in grado di riproporre per esperienza di vita vissuta. Siamo certi che se avesse visto quello che per noi romanisti è l’Abbraccio lo avrebbe fatto sicuramente diverso. Lo avrebbe colorato di Giallo e di Rosso e i due protagonisti avrebbero la maglia della Roma.