Storie di Calcio

Aspettando il “Derby della Lanterna”… sponda Rossoblù

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimo Prati) – La scelta di proporre tre derby vinti dal Genoa è inevitabilmente legata ad alcuni criteri soggettivi. E nel farla entrano in gioco diversi fattori, quali l’appartenenza ad una generazione, avere condiviso la vittoria con una persona cara, ed una serie di altre variabili. Così, in questa scelta sono costretto in qualche modo a pagare dei costi, rinunciando a rievocare partite mitiche, come per esempio la vittoria del Grifo negli anni Settanta, con doppietta di Oscar Damiani, ed una leggendaria vittoria legata a Milito, che di gol in un derby ne fece ben tre. Io, invece, ho deciso di ricordare le stracittadine di Pruzzo, di Branco e del grande Boselli. Però, prima di entrare nel merito di quelle vicende, in pieno spirito derby, vorrei fare due premesse polemiche.

I rivali amano a volte ricordare i trascorsi dei loro “antenati”. È una cosa che non fanno però in tema di derby della Lanterna perché, in quel caso, il computo complessivo delle vittorie sarebbe a nostro vantaggio. Mi preme quindi ricordare che il primo incontro tra Genoa e Sampierdarenese, in un preliminare di campionato, nel 1899, finì 7 a 0 a nostro favore. Quanto al match tra Genoa e Andrea Doria, del 1902, che è considerato il primo derby ufficiale nella storia calcistica della nostra città, il risultato fu di 3 a 1 a favore di noi rossoblù. La seconda premessa è che i rivali ragionano spesso in termini di “visto, vinto, vissuto”. Secondo questa logica, conterebbe solo ciò a cui si è assistito personalmente. Come se i racconti dei padri o dei nonni non facessero parte del proprio vissuto. Ai tempi del derby che il Genoa vinse 3 a 1 grazie ad Abbadie, nel 1957, io non ero ancora nato, ma quella vittoria fa parte a pieno titolo della mia vita, perché ho il ricordo indelebile della gioia che potevo intuire guardando mio padre, quando rievocava quel mitico incontro. Fatte queste precisazioni, posso quindi passare ai tre derby che ho scelto.

Il derby di Pruzzo del Marzo ’77

Quella stagione per il Grifo fu tutto sommato assai positiva. Con alcune vittorie importanti, come ad esempio il 2 a 1 Firenze, con reti di Pruzzo e Arcoleo. Eravamo partiti bene e si gridava già: “Ci piace di più, Coppa Uefa rossoblù”. Poi, come spesso è successo nella nostra storia recente, le cose presero una piega diversa, e alla fine, se ben ricordo, arrivammo solo undicesimi.
Ma la “chicca delle chicche” di quell’anno è certamente il derby vinto per due reti a uno al ritorno. Le cose non iniziarono bene. Luciano Zecchini, lo stopper capellone della Sampdoria, in teoria avrebbe dovuto avere il suo da fare a marcare il nostro uomo migliore, “O Rey di Crocefieschi”. Invece, dopo pochi minuti, guadagnò una palla apparentemente innocua a centrocampo, avanzò indisturbato di una ventina di metri, verso la porta del Genoa ed indovinò il tiro dell’anno, facendoci un gol da una distanza notevole. La Sampdoria era in vantaggio uno a zero. Le cose si rimisero a posto quando, verso la fine del primo tempo pareggiammo con Oscar “Flipper” Damiani. Il secondo tempo fu invece una girandola di emozioni; con Pruzzo che prima si fa parare un rigore e poi ci fa vincere con uno splendido colpo di testa.

La foto del gol di quel derby è stata esposta per una dozzina di anni in un bar vicino a Boccadasse. Ed io per tutti quegli anni, ogni volta che passavo da quelle parti, mi fermavo a prendere un caffè o un aperitivo in quel locale. A volte rischiavo anche la multa e lasciavo la macchina in doppia fila, tale era la voglia di rivedere la scena e di rivivere quell’emozione. Mi gustavo l’espresso o il mio mojito, e contemplavo la scena di quello splendido gol. Guardavo la foto ed ogni volta mi dicevo che c’era qualcosa di impressionante in quell’azione. Roberto Pruzzo, atleta che definirei di statura normale (provo ad indovinare e dico un metro e settantacinque/settantasette d’altezza), che salta più in alto di tutti (di almeno mezzo metro rispetto al portiere e di una trentina di centimetri rispetto al difensore doriano) e insacca spietatamente proprio sotto la gradinata “di quelli lì”. Nella mia vita ho avuto la fortuna ed il piacere di visitare più volte la National Gallery, il Louvre, il Rijksmuseum, il Prado, Brera, gli Uffizi ed i Musei Vaticani. Per contemplare alcuni tipici temi medievali, rinascimentali e barocchi, come ” Il Martirio di San Sebastiano” e “L’Adorazione dei Magi”, i musei e le pinacoteche vanno benissimo. Ma se devo pensare ad un’opera d’arte che sintetizza “L’Elevazione dell’Uomo”, allora mi viene in mente la foto di Pruzzo che segna nel derby, esposta per anni in quel bar di Boccadasse.

Il Derby di Branco. Novembre ’90

Il Luigi Ferraris era appena stato ristrutturato per i campionati mondiali di Italia ’90. Io, fino ad allora, avevo quasi sempre visto i derby dalla Gradinata Nord, a parte un paio di stracittadine che avevo seguito dal settore “distinti”. Invece quell’anno mi mossi troppo tardi e alla fine trovai solo dei posti in tribuna. Così acquistai tre biglietti, per me e per un paio di amici: David e Armando. Era il 25 novembre del 1990, Alla fine di quella stagione i doriani avrebbero vinto il loro primo ed unico scudetto e si sentivano un’invincibile armata, una specie di corazzata che ci avrebbe spazzato via senza troppa fatica. Insomma per loro quella partita sarebbe stato un po’ come il gioco del gatto col topo. E loro, presuntuosamente, ci avevano già attribuito il ruolo del topo. I genoani un po’ “datati” ricorderanno sicuramente una nostra canzone dell’epoca in cui, a posteriori, ci beffavamo di quella loro arroganza. Arroganza per cui erano arrivati a sbilanciarsi sul numero incredibile di gol che ci avrebbero rifilato: “Quattro a zero, cinque a zero, scommettevano sui gol. Ma finita la partita si sentiva dalla Nord…”.

Io uscii di casa per andare a quel derby e incontrai un ex-compagno di scuola doriano: aveva il sorriso tronfio e arrogante di chi sa di essere favorito. “Guarda, che oggi vinciamo”, gli dissi. E ricordo che lui mi rispose: “Ma come fate a vincere? Noi abbiamo Vialli e Mancini. Voi avete Eranio e Torrente: dei giocatori che sarebbero la rovina di qualunque squadra”. Mi ricordai del suo particolare riferimento ad Eranio, proprio in tribuna, quando vidi il nostro Stefano fare un numero in mezzo a tre avversari ed infilare la loro porta, proprio sotto la gradinata dei blucerchiati. Allora mi ritornò in mente il mio ex-compagno di scuola e pensai “Eranio è sì la rovina, ma della tua squadra e non di una qualunque”. Poi, nel secondo tempo, ancora sotto la sud, rigore per la Sampdoria. Tanto per confermare la strofa immediatamente successiva della canzone che ho appena citato: “Luca Vialli e Bobby gol segnan solo su rigor”. Ed infatti quel giorno Vialli segnò al quarantanovesimo, ma solo su rigore. E arriviamo al 74′ e alla mitica punizione del brasiliano che tirava bombe da lontano. Punizione a nostro favore, leggero colpo di tacco all’indietro di non ricordo chi (Carlos Aguilera o Bortolazzi) e Claudio Ibrahim Branco che scarica, sotto la Nord, un tiro che sarà immortalato e riprodotto in migliaia di cartoline per gli auguri di Natale da inviare ad amici e parenti, e soprattutto ai “cugini”. Iniziando così una tradizione che sarà ripresa in anni recenti nel derby “prenatalizio” di Milito vinto tre a zero, e nel successivo, con marcatori diversi ma con identico risultato. Al momento del tiro di Branco, essendo in tribuna, avevo spostato il mio sguardo a sinistra, verso la Nord, e fu allora che, su quella immaginaria linea diagonale fra me e la porta, a meno di un metro da me, notai l’espressione ridente ed estasiata di Tullio Solenghi.

Mi capita a volte che il sentire un profumo o un odore particolare mi riporti indietro nel tempo, ad un situazione lontana negli anni, in cui avevo vissuto lo stesso tipo di sensazione olfattiva. Per esempio, il fatto di sentire l’odore di legna bruciata mi riporta spesso a quand’ero bambino, quando nella casa delle vacanze, sul Monte Beigua, bruciavamo la carbonella per fare la carne alla griglia.
E da quel Sampdoria-Genoa vinto due a uno, mi succede qualcosa di analogo, però a livello visivo, col noto attore e comico, genovese e genoano, Tullio Solenghi. È qualcosa di strano e piacevole al tempo stesso: vedo il suo volto, durante uno monologo alla TV, o in una scenetta di repertorio del trio Lopez, Solenghi e Marchesini e, appena lo vedo, riavvolgo il nastro del derby del 1990; così, in uno strano flashback, rivivo ancora la magica traiettoria della “bomba” di Branco.

Il derby di Mauro Boselli. Maggio 2011

In realtà mi risulta impossibile pensare al derby di Boselli, giocato al ritorno senza pensare a quello di andata, con gol di Rafinha. Per i tifosi delle cosiddette grandi, una stagione è degna di essere ricordata solo se caratterizzata dalla vittoria di uno o più trofei, possibilmente tre, come è successo all’Inter che grazie a Milito ha vinto Scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Italia. Anche a me, in quanto genoano, piacerebbe vincere un campionato, anche perché vorrebbe dire conquistare l’agognata stella. Ma, nell’attesa di questo chimerico e catarchico evento, riesco ad accontentarmi delle soddisfazioni calcistiche che anche un campionato tutto sommato modesto, come quello di quella stagione, può riservare. E così, a mio parere, il campionato 2010-2011 del Grifo potrà essere ricordato per due partite che rimarranno eternamente impresse nella memoria del popolo rossoblù. Eterna memoria, sia detto senza retorica. Io non so se i protagonisti di quei derby sono coscienti di essere entrati a far parte perennemente della storia di una città, ma è proprio così. Con la sua gloriosa storia ultracentenaria, le vicende del Genoa vanno dalla fine del diciannovesimo secolo a questi primi decenni del terzo millennio e le gesta dei suoi giocatori sono tramandate di generazione in generazione. Come ho già avuto modo di ricordare, mio padre, per esempio, a distanza di più di 50 anni, soleva ricordarmi il derby del ’57, vinto grazie ad Abbadie, un evento al quale aveva assistito personalmente e che gli era rimasto indelebilmente impresso nella memoria. Rafinha e Boselli forse non lo sanno (o forse sì, perché qualcuno nel frattempo glielo avrà spiegato) ma fra 50 anni saranno il tema e l’oggetto di molti racconti di nonni e papà genoani ai loro figli o ai loro nipotini. Negli anni a venire a Genova si parlerà del “Derby di Rafinha” e del “Derby di Boselli” per indicare un’epoca, così come si parla dell’Inghilterra vittoriana o dell’Italia giolittiana.

Quella del brasiliano all’inizio sembrava una stracittadina stregata, con due traverse nei primi 45 minuti (una di Rodrigo Palacio e l’altra di Marco Rossi). Insomma, sembrava proprio che la palla non ne volesse sapere di entrare. Ma poi Márcio Rafael Ferreira de Souza, in arte Rafinha, ha giustamente deciso di metterci lo zampino. Forse si sarà ricordato del suo connazionale e predecessore, Cláudio Ibrahim Vaz Leal, vulgo Branco, altro brasiliano che tirava bombe da lontano e che, come abbiamo appena ricordato, aveva sfondato quella stessa porta blucerchiata una ventina di anni prima. Così il nostro ha raccolto un passaggio di Palacio, ha fatto qualche metro verso la porta e poi ha gonfiato la rete tirando un bolide da quasi trenta metri che, per citare un telecronista, “ha acceso la Lanterna e illuminato il derby”. Il brasileiro che balla festoso la samba intorno alla bandierina del corner da un lato del campo e l’espressione imperturbabile del nostro allenatore (affettuosamente soprannominato “Zio Balla”) dal lato opposto: questa sarà l’immagine di quella partita per i posteri.

Ma il secondo derby, quello del ritorno, forse è stato anche meglio. Credo che qualsiasi tifoso di una città in cui ci siano almeno due squadre cittadine possa facilmente comprenderlo. È il derby che ogni supporter sogna da una vita, il desiderio più profondo di chiunque, in qualsiasi angolo del pianeta, provi una sana, profonda e incontestabile avversione per l’altra compagine della propria città. E allora ripercorriamo rapidamente la dinamica di questo piacevolissimo evento: iniziale vantaggio del Genoa sul finire del primo tempo, grazie ad un gol di Floro Flores, proprio sotto il settore degli sgraditi ospiti. Pareggio della Sampdoria intorno alla metà del secondo tempo, anche grazie ad un errore maldestro del nostro portiere e, infine, vittoria con gol decisivo al sesto minuto di recupero, dicasi minuto novantasei (c’è chi parla di minuto 97) Antonelli recupera insperabilmente una palla destinata ad uscire, sul successivo rilancio dell’avversario la palla arriva nel nostro centrocampo. Lancio di Milanetto, in verticale verso la porta nemica e San Mauro Boselli da Baires che, sul limite dell’area e con le spalle alla porta, controlla di destro, si gira repentinamente prendendo alla sprovvista il difensore blucerchiato (mi pare fosse Lucchini), colpisce di sinistro di prima intenzione e infila il portiere sul suo lato destro. Un gol che, come la ciliegina sulla torta, condannerà gli odiati rivali alla retrocessione in serie B.

Tra l’altro, a Genova abbiamo la memoria lunga, e nessuno si era scordato che quasi una quarantina di anni prima la Sampdoria aveva pareggiato un derby all’ultimo minuto, con una rovesciata provvidenziale tanto quanto improbabile, di Mario Maraschi. Si dice che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Allora il piatto di Boselli, servito a distanza di 37 anni, più che freddo è stato glaciale, anzi letale.

All’inizio di questo mio articolo ho detto che la scelta di rievocare la vittoria in un derby dipende, o può dipendere, dall’appartenenza ad una determinata generazione. Concludo dicendo che, a mio parere, il derby di Boselli mette d’accordo tutti: Grifoni grandi e piccini. San Mauro da Baires non si discute.

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