Le Interviste degli Eroi

ESCLUSIVO – Intervista a Franco Superchi: “Pesaola un fine psicologo”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – 11 maggio 1969, si gioca Juventus – Fiorentina: è il minuto 25’ del secondo tempo quando “In contropiede Merlo lanciava Chiarugi, che, con una finta, sbilanciava Castano e Leoncini. L’ala dei toscani, senz’altro ieri il migliore in campo, scorgeva Maraschi libero e lo lanciava verso la meta. Il centravanti scartava il portiere e non aveva difficoltà a segnare…” (Cit. Stampa Sera, 12 maggio 1969). Mentre da un lato del campo succede quanto sopra descritto, dalla parte opposta del campo, nella classica “solitudine dei numeri uno”, c’è un uomo, Franco Superchi, il portiere dei Viola, che a suo modo sta vivendo la situazione e il mondo intorno a lui: “E’ in questo momento che ho pensato che saremmo diventati Campioni d’Italia. Le gambe cominciarono allora a tremarmi. Ho temuto di non riuscire a controllarle, ho pensato che se ne accorgessero tutti. Ero davvero tanto, troppo forse, emozionato”. Queste le parole di Franco Superchi, da noi appositamente raggiunto telefonicamente per ricordare lo scudetto vinto con i Viola cinquant’anni fa. Una telefonata iniziata con la risposta alla nostra chiamata di una voce femminile gentile e premurosa, abbiamo capito poi essere Anna, la moglie del nostro Campione d’Italia.

Superchi inizia giovanissimo a difendere i pali con la squadra del paese, l’Allumiere, alle porte di Roma. A quindici anni arriva in Promozione al Bettini Quadraro e poi, nel 1961, si trasferisce alla Tevere Roma in serie C dove si laurea Campione d’Italia Juniores.

Poi il grande salto nel calcio che conta nel 1965…” Fu Biagiotti, Talent Scout della Fiorentina, a portarmi a Firenze”, ci dice Superchi.

Il primo anno viene inserito nella rosa in qualità di terzo portiere, dopo Enrico Albertosi e Alfredo Paolicchi, e effettua il campionato riserve. L’anno successivo si alterna nel ruolo di riserva di Albertosi con Lamberto Boranga…” facevamo una domenica ciascuno ad andare in panchina, e la domenica che si fece male Albertosi, sfortunatamente per me, non era il mio turno, quindi dovetti attendere ancora”.

Poi nella stagione successiva, 1967/68 è il “secondo” e… “Un giorno Albertosi mi disse… – domenica ti faccio giocare – grazie risposi io, e lui – ma lo sai con chi giochiamo domenica? – sì che lo so risposi, – bene, giovedì in allenamento mi faccio male e giochi tu. Fu di parola…fece una scena che nemmeno un attore consumato sarebbe riuscito a farla così bene. La partita era a Torino con la Juventus. Giunti nel capoluogo piemontese, in albergo, vidi Albertosi e il Mister Chiappella che parlavano, e il Mister insisteva per farlo giocare. Albertosi gli rispose, “se vuoi gioco, ma se mi fanno un tiro dalla parte dove mi fa male io non posso nemmeno muovermi” … e alla fine giocai io. Finì 2-2 ma regalarono alla Juventus un rigore davvero inesistente…. Alla fine feci sette presenze in campionato”.

Ma nulla faceva presagire quanto sarebbe successo…” Vennero ceduti Albertosi e Brugnera al Cagliari e a Firenze non la presero benissimo direi, stavamo parlando del portiere della Nazionale e di un calciatore, Brugnera, soprannominato “il nuovo Di Stefano”. Poi anche Bertini passò all’Inter e qualcuno cominciava a dire che sarebbe stato già un miracolo salvarsi”.

Non c’erano le premesse quindi per un campionato ai vertici, figuriamoci per lo scudetto… “Pesaola fece un lavoro enorme”, prosegue il nostro portiere, “fu un fine psicologo. Convinse noi giovani che potevamo essere forti se solo ne avessimo avuto la convinzione. Prima di entrare in campo ci metteva in guardia sugli avversari e la loro forza, ma poi ci diceva che noi eravamo più forti. Siamo più forti noi. Ormai ce lo aveva trasmesso e forse ci credevamo davvero…”. Il nostro interlocutore si lascia poi andare verso il racconto sincero, schietto…” Avevamo iniziato il campionato ascoltando nel pullman che porta allo stadio la canzone “Settembre” di Peppino Gagliardi, di cui Pesaola era amico. Vincemmo e poi vincemmo ancora. Quel disco divenne il portafortuna di quella stagione. Sul pullman la ascoltavamo con il mangiadischi e la cantavamo tutti”.

Milan e Cagliari partono bene in campionato ma la Fiorentina è sempre lì a ridosso delle prime posizioni. Una sola battuta di arresto con il Bologna in casa e un’imbattibilità in trasferta che diviene importante e decisiva. I viola agganciano in testa il Cagliari il 12 gennaio del 1969, ma finiscono per pareggiare l’ultima gara d’andata a Varese lasciando il titolo, seppur platonico, di Campione d’Inverno alla squadra sarda. Durante il girone di ritorno sono sempre Cagliari, Milan e Fiorentina a contendersi lo scettro e i cagliaritani sembrano i favoriti sino a quando cadono in casa contro la Juventus. La Fiorentina, supera il Lanerossi Vicenza e va in testa. Da questo momento i Viola non perdono più un colpo, è il 9 marzo. Siamo arrivati all’11 maggio, e Superchi è lì che trema di gioia, la sua Fiorentina è Campione d’Italia. Mai avrei pensato di giocare in Serie A e di vincere uno scudetto (N.d.R. ne vincerà poi anche un altro con la Roma nell’83 pur con una sola presenza), pur avendo sempre dato il massimo. Gli anni più belli miei e della Fiorentina… Emozioni particolari che restano dentro per tutta la vita…”.

Grazie grande Campione, … le ore passate saranno un ricordo che noi porteremo lontano… per dirla così, come la cantava Peppino Gagliardi.

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