GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Giovannone) – Se oggi ci chiedessero quale sia il miglior giocatore di calcio, di tutti i tempi, penseremmo subito a Messi, piuttosto che a Cristiano Ronaldo, oppure, tornando un po’ indietro nel tempo, al funambolico Maradona, piuttosto che al grande Pelè. Se il medesimo esercizio lo facessimo per il basket (torneremo dopo sul perché chiamiamo in causa questi due magnifici sport), potrebbero saltarci alla mente eroi moderni come il compianto Kobe Bryant, oppure LeBront James, o, guardando un pochino al passato, penseremmo a Michael Jordan, Larry Bird, o addirittura, al mitico Kareem Abdul-Jabbar.
Sia nel calcio, che nel basket, quindi, come possiamo osservare, la scelta del top player, più top player di tutti, non è univoca, e ognuno di noi piò dire la sua, motivando la scelta in maniera più o meno ragionevole.
Esiste un signore invece, che nel suo campo, anche qui, il rettangolo verde del campo da calcio, è riconosciuto, all’unisono, come il più grande di tutti i tempi. Lui non è stato un giocatore, bensì un direttore di gara, un arbitro insomma, ma quello per antonomasia. Il nome di questo signore risponde a quello di Pierluigi Collina, nato a Bologna esattamente sessanta anni fa, ma la cui provenienza viene associata, dalle persone, il più delle volte, alla città di Viareggio, dove risiede la sua storica sezione arbitrale di appartenenza, nonché la città dove decide di vivere e creare un nucleo familiare, una volta lasciata la città natale.
Pierluigi proviene da una famiglia semplice, dove il papà Elio fa di professione l’impiegato statale, mentre la Mamma Luciana è una maestra di scuola elementare. Nessun fattore, insomma, che lo spinga verso il mondo del calcio. La passione del giovane Collina per il pallone a scacchi bianchi e neri (all’epoca il pallone è rigorosamente così) non è folgorante, anzi. Dalle parti di Bologna la tradizione del basket è molto forte, e il ragazzo, in pochi lo sanno, propende per le sorti della Fortitudo Bologna, squadra di cui è acceso sostenitore. Paradossalmente, però, lo sport che Collina pratica da piccolo è il calcio: muove i suoi primi passi nell’oratorio di Don Orione, poi nella società dilettantistica bolognese della Pallavicini, dove gioca due stagioni, ricoprendo un ruolo che, oggi, sa tanto di passato, quello del libero di difesa. Evidentemente, le stelle non riservano, però, per lui, la carriera di calciatore, visto che Collina si infortuna gravemente giocando, ed è costretto ad allontanarsi dai campi per diverso tempo. Ma il campo manca al ragazzo così tanto che, pur di calcare ancora il rettangolo verde di gioco, si reinventa, mettendosi ad arbitrare le partite di allenamento dei suoi ex-compagni, anziché giocarle (qui il rimando iniziale al calcio e al basket, sport molto amati dall’arbitro bolognese).
Per onestà, fino a quel momento, si fa fatica ad intercettare il talento del giovane Collina calciatore, ma non se fa molta invece, a capirne il talento, come direttore di gara, questa volta cristallino. Il temperamento, la capacità decisionale, e il carisma fuori dal comune di Pierluigi, sono visibili sin dai primi passi della sua carriera. È il suo amico, e compagno di banco, Fausto che lo incita, nel 1977, a frequentare un corso di arbitro. Nel giro di pochi anni le sue qualità vengono notate dai vertici arbitrali, prima cittadini, e poi regionali, e questo gli permette di arrivare ad arbitrare nel campionato di promozione e, dopo una lunga gavetta, nei massimi campionati professionistici: Collina riesce finalmente ad imporsi, ed esordisce in serie A, nella stagione 1991/92 quando arbitra la partita Verona-Ascoli. Il successo a questo punto è folgorante e, dopo solo tre anni, viene designato ad arbitrare la finale dei giochi olimpici di Atlanta ’96 tra Nigeria ed Argentina. Viene chiamato, quindi, alla partecipazione ai mondiali del 1998 e agli Europei del 2000, ma è la designazione per la memorabile finale di Champions League del 1999 (quando il Manchester United ribalta la partita nei minuti finali di recupero, ai danni del Bayern Monaco), e quella della finale mondiale 2002, tra Germania e Brasile, a certificare la sua grandezza, e l’apice del suo successo.
Personaggio meraviglioso, Pierluigi Collina, appare però sin troppo facile annotare solo le sue doti professionali, quando l’attenzione dovrebbe essere puntata, soprattutto altrove, su quelle caratteriali, ed umane e sulla sua fine intelligenza. Uomo corretto, incorruttibile, e visionario.
Lui rimane il vero precursore dell’introduzione della tecnologia nel gioco del calcio. Ancora oggi, nonostante, per paradosso, sia il direttore di gara che la storia ci ha mostrato avere meno bisogno dell’assistenza, si spende ancora oggi, per introdurre nuovi metodi di valutazione, che si possano affiancare al metro di giudizio umano. Si parla di metodi maggiormente specializzati, in grado di fornire uniformità, e di far emergere, inconfutabili, solo i valori del campo (il metodo più famoso e fortemente sponsorizzato dall’ex fischietto bolognese, è quello del Video Assistant Referee, conosciuto ai più con l’acronimo VAR). Nell’agosto del 2018, si dimette dalla sua carica di responsabile della Commissione arbitrale dell’UEFA, proprio per la mancanza di convergenza, nella decisione di applicazione della VAR, da parte dei vertici del calcio internazionale.
Il gesto di Collina non è, però, vano, e a distanza di un solo anno, il nuovo metodo di valutazione viene introdotto, addirittura, nella Champions League, torneo caratterizzato da forti interessi economici, e che, per questo motivo, difficilmente penetrabile da processi di modernizzazione, che potrebbero alterare lo status quo, storicamente favorevole ai club più potenti.
Pierluigi Collina, ottiene, dunque, durante la sua scintillante carriera numerosi riconoscimenti, infatti per diversi anni consecutivi viene premiato come miglior arbitro nel mondo (1998-2005) mentre, tra le varie cose, si laurea in Economia e Commercio col massimo dei voti e svolge, con successo, la professione di consulente finanziario.
Ma quello che riesce a fare, il fischietto della sezione arbitri di Viareggio, è molto di più, perché riesce a diventare un vero e proprio personaggio, non solo grazie alla sua inconfondibile “pelata” (che nella prima parte della sua carriera, invece, gli porta più problemi che benefici). Riesce a diventare un attore principale del gioco, al pari dei più blasonati calciatori. Sdogana, in altre parole, la figura dell’arbitro, non più comprimario in casacca nera, ma ora protagonista in casacca, addirittura, colorata. Il suo faccione espressivo, quanto temibile, appare, udite udite, sulle copertine dei videogiochi di cacio più famosi: in Pro Evolution Soccer 4, gioco del calcio della Play Station 2, la sua figura campeggia tra quella dei primi piani di due mostri sacri del calcio dell’epoca, Thierry Henry e Francesco Totti. Diventa anche arbitro della partita Giappone-Brasile, nel film di animazione Holly e Benji for ever.
Insomma parafrasando il titolo di un noto film americano, a star was born.