LAROMA24.IT (Federico Baranello) – Il 14 giugno 1942 la Roma diventa Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia. Come spesso capita, scrivo un articolo per la ricorrenza e così anche lo scorso 14 giugno, in occasione del 75° anniversario di questa grande vittoria della compagine giallorossa. Come consuetudine, finisce su Facebook insieme anche a una famosissima foto in cui i cugini Lalli, due ragazzi sordomuti, mostrano lo striscione “Viva la Roma Campione d’Italia 1942”, immagine passata alla storia. Arriva qualche condivisione, qualche mi piace. Poi un commento: “Io ero allo stadio! Partita indimenticabile!!” da parte di Carlo Brizzi. Sinceramente…ho pensato a qualche buontempone, un piccolo scherzo, non conoscendo la persona in questione. Scattano le ricerche sul web. C’è anche un sito internet: www.carlobrizzi.it. Nella Home page del sito fa bella mostra di sé una foto della Roma del 1931/32. Scopro che è nato nel 1930, è uno scrittore e romanziere che definisce la Roma come una delle sue passioni insieme ad Anghiari, un paese in provincia di Arezzo in cui sono nati i suoi genitori. Decidere di contattarlo e intervistarlo è un tutt’uno.
Si mostra subito disponibile e gentile. Ci diamo un appuntamento e il giorno concordato lo raggiungo a casa sua in zona Monteverde.
Carlo, mi permetto questo modo confidenziale in quanto invitato più volte a farlo, mi chiede se voglio qualcosa di fresco da bere. Mi offre un’orzata. L’orzata…una bevanda che non bevevo da anni. Mi ha fatto tornare indietro a quelle estati che trascorrevo al mare con i nonni. Estati in cui le bibite erano il Chinotto, la Spuma nelle sue varianti bianca o nera, il Ginger con quel color rosso davvero innaturale e la cedrata. Fa caldo e la bevanda è dissetante. Graditissima. Ci mettiamo comodi, lui sul divano e io di fronte sulla poltrona. Noto sul tavolino tra i divani il suo libro sulla Roma scritto nel 2001 e ormai fuori commercio: “Dai Tempi di Testaccio”, Confessioni di un romanista. Una gatta mi si avvicina e mi fissa.
Ho modo di raccontare brevemente di me, di presentarmi. Spiego che mi piacerebbe avere il suo ricordo di quella giornata e in generale vorrei ascoltarlo, sulla Roma e sulla vita. Carlo ha effettuato gli studi in Giurisprudenza per poi svolgere molte attività. E’ stato Broker finanziario, ha lavorato presso società di investimento internazionali ma anche nel turismo.
La letteratura e lo scrivere, da semplice hobby, diventano un impegno professionale: poesie, racconti e commedie che ricevono premi letterari. Romanzi di derivazione storica, alcuni ambientati ad Anghiari dove, proprio per questa attività letteraria, ha ricevuto la cittadinanza onoraria nel maggio u.s. Anche la gatta sembra interessata alla mia presenza.
“Abitavo a Porta Metronia da bambino…”, esordisce Carlo mentre il mio pensiero associa quella zona alla nascita di un bambino di nome Francesco nel settembre del 1976, “…e il figlio del portiere dello stabile in cui abitavamo, che era un po’ più grande, mi raccontava della Roma di Testaccio. Passavo interi pomeriggi ad ascoltarlo, senza sapere che quei racconti stavano diventando le basi di uno degli amori più belli della mia vita. Mi innamorai letteralmente dei colori giallorossi. Mio padre era un grandissimo appassionato di calcio. Assisteva anche alle partite dei bambini pur di vedere un pallone rimbalzare. Era un uomo che fece la guerra, la “Grande Guerra”, era un ragazzo del ’99. Fu anche decorato con una medaglia di Bronzo. Un uomo forte che non aveva paura di niente e di nessuno. Estremamente coraggioso. Aveva conservato la divisa e con quella quando c’era una partita entrava gratis. Io andavo saltuariamente già dalla stagione 1940/41 e vedevamo insieme sia i giallorossi che i biancazzurri. Poi un giorno mi disse che mi voleva regalare l’abbonamento e mi chiese di quale delle due squadre io lo volessi. La risposta fu chiara: della Roma!”.
Traspare orgoglio da parte di Carlo nel raccontare questa scelta. La scelta del Cuore. “Lo stadio mi affascinava in maniera unica. Ho ancora in mente l’emozione della prima volta in cui vidi il verde del prato, i colori delle maglie, il frastuono”. Un’emozione che noi tutti abbiamo provato, indelebile. “Era un ambiente contrastante rispetto anche all’educazione che avevo ricevuto. In casa mia era assolutamente vietato dire una parolaccia. Allo stadio invece ascoltavo di tutto, come oggi. L’unica differenza era che le persone erano in giacca e cravatta, si andava vestiti eleganti a vedere la partita. Ero ormai diventato un tifoso vero e frequentavo spesso lo stadio, diritto che avevo guadagnato, insieme ad una bicicletta, per aver conseguito la licenza elementare. Avevo cominciato ad apprezzare le doti tecniche dei calciatori. Ormai la mia passione era così importante che il mio stato d’animo del lunedì dipendeva esclusivamente dai risultati della squadra. Una volta, lamentandomi con mio padre del fatto che spesso la Roma sembrava arrivare alla conquista di qualcosa d’importante e poi non riusciva, mi disse di farmene una ragione – O tifi una squadra del Nord oppure prendi la Roma per quello che è, ma ricordati, che uno scudetto vinto da noi ne vale dieci dei loro, perché sarà una vittoria del cuore e non del portafoglio –”.
“Il campionato 1941/42 nasce sotto il segno della guerra”, prosegue Carlo, “e molte delle città italiane subiscono i bombardamenti. Quello che ad oggi mi sembra assurdo, guardando indietro, è proprio questa atmosfera incredibile: le notizie di guerra e la quotidianità di una vita che andava avanti, calcio compreso”. Si emoziona Carlo mentre racconta di quel periodo poi, quasi per evitare che l’atmosfera diventi triste, dice: “La Roma quell’anno era davvero forte…”, e mi recita a memoria la formazione della Roma, “Masetti, Brunella, Andreoli, Mornese, Donati, Bonomi, Kriezu, Cappellini, Amadei, Coscia e Pantò”. Finito di dirmi la formazione fa una piccola pausa, ci guardiamo: lui soddisfatto di avermela detta, io di averla ascoltata. Ancora una volta torno indietro con i pensieri e ricordo lo stesso sguardo soddisfatto di mio padre quando recitava a memoria quella formazione, con quell’enfasi tipica di chi quel periodo lo ha vissuto. “Non fu una passeggiata quel campionato”, prosegue Carlo mentre la gatta pian piano si avvicina, “perché i giallorossi incapparono in un paio di scivoloni che stavano per compromettere tutto: in casa con il Genova e poi a Milano con il Milan. Nelle ultime giornate la Roma vince a Venezia, impatta a Torino, e rifila sette gol al Liguria e sei all’Ambrosiana. Pareggia in casa con i biancazzurri, che volevano farci uno sgambetto, ma vince a Livorno. Arriva il 14 giugno. Classico pranzo a casa e poi andammo allo stadio in macchina, papà aveva una Balilla a metano. Ricordo la grandissima attesa e la speranza che definirei di “massa”. Parcheggiammo agevolmente, non era come oggi. Ci avviammo verso lo stadio e mio padre mi prendeva per mano, come consuetudine, ma anche perché era una giornata di grande confusione. Tutti avevano un solo sogno. Poi arrivarono i due gol e le relative esultanze. Avevo dodici anni ma ricordo perfettamente i boati dopo i gol. E ricordo altrettanto perfettamente Masetti in camicia nera che saltellava correva e festeggiava. Era felice come lo eravamo tutti. Anche io e il mio papà. Raccontare questa giornata mi emoziona e mi addolora. Mi manca mio padre”. Faccio una pausa, provo grande “tenerezza” nel sentire queste parole da un uomo come Carlo. Un uomo che ha visto giocare Amadei durante l’infanzia e Falcao nella stagione della maturità. Sino ad arrivare ai giorni nostri con Totti. Ma la Roma è così, fa da falsariga alle vicende della vita.
E la Roma attuale? “Salah mi ricorda Amadei. Velocissimi entrambi anche se “Er Fornaretto” aveva una maggiore classe, un altro piede. Ma la corsa era la stessa. Avete visto come corre? Sembra che il corpo sia staccato dalle gambe che vanno velocissime mentre il busto rimane dritto, fermo. Ecco Amadei correva così”. Non lo avrei mai detto.
“Non vado più allo stadio da quel Roma- Inter in cui segnò Toni, ma in Tv non ne perdo una”. Ringraziamo Carlo per il grandissimo piacere di averlo potuto ascoltare, e non ce ne vorrà se diciamo che ci ha permesso di viaggiare nel tempo, con la Roma in fondo al Cuor. Siamo ora tutti più ricchi.