LAROMA24.IT (Federico Baranello) – Vincere uno scudetto ti fa entrare nella storia. Vincerlo a Roma ti catapulta nella leggenda. La leggenda ha il nome di Edmondo Mornese, nato ad Alessandria il 14 novembre 1910. Un’intera carriera con la maglia del Novara dove gioca per ben 12 stagioni di cui 8 in Serie B. Nella sessione di mercato dell’estate del 1941 il tecnico Shaffer indica, come centromediano da acquistare per rinforzare la rosa, i nomi di Gallea e Allasio del Torino. Arriverà Mornese per 117.500 Lire. Mai “terza scelta” fu così azzeccata. Quando Amadei venne a sapere del nuovo compagno di squadra disse: “Finalmente, non mi marcherà più. Non mi lasciava una palla”.
“Mornese era un anziano – aveva trentuno anni, ma ne dimostrava, almeno nel volto, qualcosa di più – e non era davvero la grinta che gli mancava. Dotato di un ottimo senso di posizione, rimase famoso per i suoi tuffi di testa laterali che giungevano a spezzare nel momento meno atteso le manovre offensive avversarie” (Cit. G. Lazotti, I 40 anni della Roma, 1967).
Le sue qualità non si esauriscono solo con l’interrompere le trame offensive dell’avversario, anzi. Egli è dotato anche di buona tecnica oltre che di grande forza fisica. Calciatore polifunzionale, abile anche in attacco, con grande propensione per le classiche mansioni di regia. Forte nel gioco aereo, è uno dei maggiori punti di forza della squadra che sarà campione d’Italia nel 1941-42. È talmente un punto di forza che: “La Roma Campione d’Italia era soprattutto Mornese. Somigliava a Falcao, per quanto gli mancassero la genialità e l’arte del brasiliano. Nemmeno ne possedeva l’avvenenza, nella espressione spesso cupa, d’un viso tirato pieno di grinze. E tuttavia, agile e slanciato come Falcao, fu lui a guidare la squadra, correre dappertutto, anche senza il pallone, e chiudere il varco agli avversari, indicando ai compagni la strada del gol. Il suo modo di tuffarsi infine, per colpire la sfera di testa, non era diverso dal tuffo con cui Falcao, giunto all’appuntamento col cross di Nela dalla destra, ha imposto la resa al Cagliari all’Olimpico”. (Cit. F. Rossi, Il Messaggero, 9 maggio 1983).
Con Bonomi e Donati forma un muro invalicabile in cui gli avversari spesso vanno a cozzare. Un muro che in una frazione di secondo si trasforma e diventa “ripartenza”. Con la maglia giallorossa disputa le sue due ultime stagioni prima di chiudere con un certo anticipo con il calcio giocato, complice anche la guerra. Nell’anno dello Scudetto giallorosso, il primo successo di una squadra non del Nord, colleziona 29 presenze su 30 partite. Alla sua memoria è dedicato il piazzale antistante lo Stadio Silvio Piola a Novara. Scompare prematuramente nel 1962, ma non scompare da quella formazione recitata a memoria da tanti ragazzi dell’epoca.