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Quando andarono a prenderlo a Manchester, l’obiettivo non era quel centrocampista intelligente e pragmatico. Il presidente Farina puntava un capitano irraggiungibile e troppo importante. Un contratto firmato in fretta, col beneplacito della dirigenza inglese, e poi via verso Milano.
Era il 14 Maggio del 1984 e Ray Wilikins arrivava in aereo all’aeroporto di Linate. Ci rimarrà tre stagioni, fino al 1987, giusto in tempo per vedere da vicino il cambio generazionale e presidenziale tra il Milan normale di metà ’80 e quello schiacciasassi del finale di decennio.
Il centrocampista inglese aveva iniziato la sua lunga carriera in quel Chelsea dei ’70 che cercava ancora una propria dimensione di grandezza. Non era lo squadrone odierno: i soldi stranieri erano ancora lontani. Poi era stato il turno del Manchester United, anch’esso distante dai fasti dei tempi di Charlton e Best.
Razor (soprannominato così per quel suo modo teso di calciare la palla) non poteva dire di essere stato fortunatissimo in carriera. Nel suo curriculum almeno cinque nobili del calcio europeo, tutte conquistate in periodi non troppo floridi della propria storia.
Ma, si sà, la fortuna calcistica non determina la grandezza di un calciatore.
Ray Wilkins, scomparso prematuramente appena tre anni fa, era un centrocampista completo, un calciatore capace di tenere in mano il centrocampo e di determinarne i tempi di gioco.