LAGIORNATASPORTIVA.IT (Simone Cacurri) – Si può entrare nella storia popolare per una favola (che come tale forse non corrisponde perfettamente alla realtà) che diventa mito? Certo, e se siete stati bambini alla fine degli anni ’60, c’è un nome che più di altri dovrebbe suscitarvi un brivido. Un nome strano, un nome che sembra quasi quello di una macchietta, di un personaggio comico dei fumetti. Siamo certi che avete già capito. Stiamo parlando dell’introvabile, stiamo parlando della perla di giada dei marciapiedi italiani, dove orde di bambini con le ginocchia sbucciate lo nominavano quasi come fosse un mito, l’ebreo errante delle figurine Panini. Stiamo parlando di Pier Luigi Pizzaballa o “el Pisabali”, come lo chiamano ancora a Bergamo.
LA CARRIERA
Nato a Bergamo, classe 1939, Pizzaballa scopre il pallone all’oratorio, fucina di molti calciatori di quel tempo lontano, dove il parroco lo portava di nascosto dalla panetteria dove faceva il garzone. Da lì le giovanili nel Verdello, poi, sotto la scuola di Carlo Ceresoli (portiere della nazionale di Vittorio Pozzo), all’Atalanta, la squadra del suo cuore, con cui nel 1963 alza la Coppa Italia. Otto anni tra panchina e campo prima di trasferirsi a Roma, dove in tre anni (dal 1966 al 1969) incontra due maghi: Oronzo Pugliese (il mago di Turi) mitico allenatore tutto impulso barese (ispirò Banfi per il suo celeberrimo “Allenatore nel pallone”) e l’altro mago, quello più famoso, Herrera, col quale fa in tempo a vincere la seconda Coppa Italia della storia giallorossa (1969).
I tre anni successivi li passa a Verona. Coi gialloblù avrà modo di partecipare a quel famoso 20 maggio 1973, la data della “fatal Verona”, che costa al Milan del “paròn” Rocco e di Gianni Rivera un incredibile scudetto. Uno di quelli che sembrava già vinto, ma scucito dal petto negli ultimi minuti (5 a 3, un’altra storia che un giorno vi racconteremo). Di quella partita, Pizzaballa, per farvi capire di che personaggio e di che calcio parliamo, dirà di aver passato buona parte del tempo (“tanto praticamente stavano sempre nella metà campo del Milan“) a fare la spola tra la porta e un raccattapalle munito di radiolina per sapere il risultato della sua Atalanta a rischio retrocessione (rischio che alla fine si concretizzerà).
Quel Milan tramortito sarà anche la sua nuova squadra ma, come spesso gli è accaduto, non capiterà in un periodo fortunato: tanta panchina (dietro ad Albertosi) e qualche partita che certo i tifosi rossoneri non ricordano con piacere (una sconfitta nel derby per 5-1 e la semifinale di Coppa delle Coppe a Magdeburgo nel 1974, persa per 2-0). Da Milano, il richiamo verso casa è irresistibile e Pisabali torna a Bergamo dove giocherà per altre tre stagioni, fino al 1980.
A fine carriera il suo palmarès potrà comunque contare 275 presenze in serie A, le due coppe sopracitate, una presenza nella nazionale maggiore (entrato nel secondo tempo al posto di Albertosi in Italia-Austria 1-0 gol di Burgnich) e una convocazione anche nel famigerato mondiale del 1966 (di cui abbiamo avuto modo di parlare spesso) nella nazionale di “Mondino” Fabbri. Ma il nostro rimarrà per sempre legato a un’immagine oramai mitologica, simbolo di un calcio lontano, quello delle radioline, della domenica pomeriggio, dei ricordi. Il calcio dei “celò, celò, mi manca”.
Auguri “Pisabali”.
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