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15 ottobre 1967 – Scompare la “Farfalla Granata”… Gigi Meroni

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Cinquantatre anni fa veniva a mancare Gigi Meroni, la Farfalla Granata. Vogliamo ricordarlo con questo nostro articolo scritto tre anni orsono in occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa.

Ve lo riproponiamo

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di Federico Baranello –

“…volava in alto leggera, aleggiava sicura/ per baciare il suo ultimo mondo…”

Così i versi della “Farfalla” di Pavel Friedman, un giovane ragazzo ebreo, poco più che ventenne, ucciso nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1944. Situazioni diverse certo, ma ricordano un altro battito di ali …quello della “Farfalla Granata” … Gigi Meroni. Un battito anch’esso terminato, esattamente cinquanta anni fa, il 15 ottobre 1967.

La sua storia, quella calcistica, inizia come quella di tutti i bambini, in un cortile e all’oratorio. Il suo battito di ali lo porta verso le giovanili del Como e poi su, fino in prima squadra, in serie B.  La cessione al Genoa lo innalza all’attenzione del grande calcio che ben presto s’innamora dei suoi slalom e del suo stile.

E’ un personaggio atipico, che ama ascoltare i Beatles e vestirsi alla loro stessa maniera. I basettoni e la barba lo rendono un personaggio d’oltremanica, una sorta di George Best italico. Un anticonformista che attrae e divide. Sul rettangolo verde però mette tutti d’accordo. Nel 1964 la Genova Rossoblù si mobilita per scongiurare, inutilmente, la sua cessione verso il Torino di Nereo Rocco: trecento milioni di lire e affare fatto. Una cifra record per l’epoca visto i ventuno anni di età.

Nel Torino è un punto di riferimento e i suoi dribbling ubriacanti e le azioni travolgenti diventano in alcuni casi capolavori “anarchici”.

Numero 7 sulle spalle per un’ala destra che vola, che illumina “…come una lacrima di sole quando cade / sopra una roccia bianca…” (Cit. “Farfalla” di Pavel Friedman).

Rivedere alcuni dei suoi gol trasmettono ancora oggi un’emozione unica. Forse perché il tempo regala qualcosa di speciale a chi non c’è più, forse perché era davvero forte. Vederlo giocare a distanza di cinquant’anni sembra ancora un giocatore potenzialmente idoneo al calcio attuale. Veloce e potente. Classe e forza. Genio e sregolatezza. I Campioni sono questo. La C maiuscola è d’obbligo. Un personaggio tanto amato quanto discusso. Amato dai suoi tifosi, dai giovani. Scomodo per gli alti prelati e i politici dell’epoca. “Quando Edmondo Fabbri lo chiama in nazionale gli impone la condizione di tagliarsi i capelli. Lui che disegna i vestiti che indossa sui modelli di quelli dei Beatles, che passeggia per Como portando al guinzaglio una gallina, che si traveste da giornalista e chiede alla gente cosa pensa di Meroni, la giovane ala destra del Torino, e ride se la risposta è che non lo conoscono, non avrebbe potuto rinnegare il suo ego e rifiuta la convocazione” (Cit. gigimeroni.com). Prendere o lasciare.

Il 15 ottobre 1967 si gioca Torino – Sampdoria e finisce 4-2 per i padroni di casa. Dopo la partita, insieme al suo compagno di squadra Fabrizio Poletti, attraversa Corso Re Umberto. Qui vengono investiti da una auto: Poletti è colpito di striscio, mentre Meroni viene sbalzato in aria e, una volta a terra, travolto da un’ulteriore vettura. Vani i tentativi di tenerlo in vita. Quelle ali smettono di battere.

Muore un ragazzo di ventiquattro anni. Muore un artista che amava dipingere e creare abiti.

Muore un calciatore forse anarchico, di sicuro “rivoluzionario” a suo modo. Come “Che Guevara” morto solo qualche giorno prima.

La città si stringe intorno ad un lutto profondo, ancora una volta. Al vecchio Cuore Granata viene richiesto ancora un tributo di sangue dopo Superga, dove il pilota di quel maledetto trimotore si chiamava Pier Luigi Meroni.  E poi ancora in una sorta di corsi e ricorsi, di “fil rouge”, di amara ironia della sorte l’autista dell’auto che ha investito Meroni è Attilio Romero, Presidente granata dal giugno 2000 sino al momento del fallimento della società. Incredibile la storia della vita in alcuni casi.

La domenica successiva il drammatico episodio della morte di Meroni va in scena il “Derby della Mole” dove un rabbioso Toro si aggiudica la contesa per 4-0: tre gol di Combin e un gol di Carelli. Quest’ultimo ha la maglia numero sette. È un segno del destino. Ha segnato la sua maglia, ha segnato la maglia di Gigi. Carelli lo sa e gli porge il pallone guardando il cielo, cerca la farfalla, “…volava in alto leggera, aleggiava sicura/ per baciare il suo ultimo mondo…”.

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