GLIEROIDELCALCIO.COM (Luca Negro) – Quasi ottanta mila spettatori paganti, per un incasso che sfiorò i 3 miliardi di lire, gremirono San Siro per quella che sarebbe stata la grande serata del “Genio”. Milan e Paris Saint Germain di fronte per la semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni, già divenuta Champions League. Era la sera del 19 aprile 1995. Un Milan forte, concentrato e determinato, che aveva investito tutte le energie della stagione in un obiettivo, la conquista di quel trofeo, quella coppa dalle grandi orecchie, già sollevata un anno prima, asfaltando ad Atene, il Barcellona di Cruijff. Unico ostacolo fra il “diavolo” e il Prater di Vienna, stadio scelto per ospitare la finale, il PSG, il cui potenziale offensivo risiedeva, quasi principalmente, nelle capacità realizzative dello straripante centravanti liberiano George Weah, che in passato, quando militava nelle file del Monaco, qualche grattacapo alle squadre italiane lo aveva già riservato. Non nella semifinale di andata a Parigi però, vinta dai rossoneri all’ultimo respiro con un gol di Boban. La grande difesa del Milan, guidata dal totem Franco Baresi, che qualche scricchiolio aveva dato in campionato, in Europa ritornava insuperabile. Insuperabile come nella stagione 93-94, quella precedente, quella del record difensivo, oltre che del double scudetto più coppa. Un reparto protetto da un baricentro molto basso, dalla “piovra” Marcel Desailly e dal suo compagno di reparto, dinamico regista Demetrio Albertini.
Il tagliando della partita (Collezione Marco Federella)
Un Milan molto diverso da quello diretto da Arrigo Sacchi qualche anno prima, ma identico nella fame di vittorie e conquiste. È un Milan capace di strappi impressionanti, capace di mettere alle corde qualunque avversario, per poi, attendere, gestire, ripartire e addormentare il match. Un Milan che sa risparmiarsi, sa gestire le risorse, ed è proprio qui che risiede la grande differenza fra il Milan di Sacchi e il Milan di Fabio Capello. Fernandez, allenatore dei francesi, perse presto la bussola del match. Non riuscì a rendere pericoloso Weah, a supportarlo e quando avanzò Ginola, finì con l’invadere la zona del liberiano, togliendo ulteriori spazi a chi già faticava a trovarne a causa dell’attento controllo di Baresi e dei continui raddoppi di marcatura. Dopo uno sbilenco tentativo iniziale, dalla lunga distanza del nazionale brasiliano Valdo, il PSG si eclissò. Il gioco del Milan, prettamente verticale, si affidava alle geometrie di Albertini, in gran spolvero. Proprio un tentativo su punizione di Demetrio Albertini, sfiorò l’incrocio dei pali di un paio di centimetri, facendo colare ghiaccio lungo la schiena del portiere francese Lama. Albertini era il perfetto innesco per Boban e Savicevic, due fantasisti con libertà di svariare, dietro cui correva come un dannato, Stefano Eranio, il moto perpetuo genovese. Al decimo minuto proprio Albertini, con un lancio al bacio di circa quaranta metri, pescò Boban, il quale servì sul lato opposto l’accorrente Savicevic. Tiro debole del montenegrino. Ma in tre passaggi il Milan era arrivato in porta. Come spesso accadeva. Quelle rapide verticalizzazioni che tanto sapevano far male agli avversari, con un perfetto mix di estro e forza fisica. Dopo quindici minuti dall’inizio del match, gli acciacchi muscolari tradirono l’anziano Mauro Tassotti. Panucci, inizialmente schierato a sinistra, tornò a fare il terzino destro e Maldini tornò nella sua storica fascia sinistra lasciando il posto al centro della difesa, accanto al capitano Baresi, allo “squalo bianco” Filippo Galli, uno stopper tanto forte, quanto sottovalutato. Nulla accadde fino al 21° minuto, proprio quando Filippo Galli anticipò Weah. Il rimpallo favorì Albertini. Ennesima verticalizzazione del geometra Demetrio. Il suo lanciò di trenta metri circa pescò Savicevic e la difesa francese impreparata. Elegante controllo di palla del montenegrino, che superò il difensore brasiliano Ricardo in dribbling, nei pressi del vertice alto del lato destro dell’area di rigore e dopo essere entrato in area, trafisse Lama in uscita con un preciso diagonale col suo piede sinistro. L’ 1-0 a firma del “genio”. Primo desiderio del popolo rossonero esaudito. Primo gol del montenegrino in quella edizione di Champions League. Una azione fulminea in una partita che fino a quel momento non aveva riservato particolari emozioni. Azione simbolo e prerogativa di quel Milan, che tornò nella tana, mandando in letargo il primo tempo. Che per il Psg non fosse serata lo si avvertì anche nel secondo tempo. Colleter, Bravo e Guerin correvano a vuoto inseguendo un pallone che se veniva recuperato, veniva consegnato in breve ai rossoneri, i quali, a inizio ripresa, sfiorarono dapprima il gol con Boban e poi con Eranio, mentre il centravanti, Marco Simone, non sembrò particolarmente ispirato. Dieci minuti dall’inizio della ripresa, dieci minuti di attacchi sterili e il Diavolo decise di ritirarsi nella propria trequarti di campo, aspettando quegli spazi che, avversari con un piede ormai fuori dalla coppa, dovevano lasciare obbligatoriamente, tentando il tutto per tutto, mentre il tempo scorreva inesorabile. Weah praticamente cancellato dal campo dalla marcatura di Filippo Galli. Ginola, unico fra i francesi a non arrendersi davvero mai, liberò Guerin al tiro ma Rossi, attento, osservò uscire sul fondo il pallone. Il pubblico rossonero, in festa sugli spalti, comprese le difficoltà francesi. Una bolgia di colori e di canti riempirono il cielo facendo da preludio al minuto 68° ad una nuova rapida quanto violenta percussione centrale. Fu Marcel Desailly a recuperare un pallone nella trequarti avversaria e a metter in moto i suoi potenti muscoli in una rapida falcata, saltare due avversari nel breve spazio e di esterno destro, servire Dejan Savicevic. “Genio” con una prateria sterminata davanti a sé. Ed eccola la sua solita corsa palla al piede. Quindici, venti metri e poi il piatto sinistro preciso, dal limite dell’area di rigore, protetta dal solo Lama in lenta uscita e palla in rete per il 2-0. Ancora un desiderio esaudito per il popolo Milanista. Il suo secondo gol nella Champions League 94-95 consolidò il vantaggio sui francesi. Il Paris Saint Germain si riversò totalmente nella parte di campo avversaria senza mai impensierire Sebastiano Rossi e quando Christian Panucci, recuperato un pallone, tentò addirittura di segnare da centrocampo nel tentativo di beffare il portiere Lama, ormai costretto al ruolo di libero, si ebbe la certezza che nulla avrebbe potuto scalfire quella serata. La convinzione dei rossoneri, la loro sicurezza, era totale e quel tiro da sessanta metri di Panucci, ne fu testimonianza. I venti minuti finali di assedio da parte dei francesi produssero il nulla. Non un tiro nello specchio della porta. Non uno in tutta la partita. Qualche brivido sui calci d’angolo e nulla più. Al fischio finale dell’arbitro scozzese Mottram, l’ultimo desiderio del popolo milanista si materializzò. La terza finale consecutiva di quella coppa Coppa dei Campioni, divenuta Champions League, fu realtà. Ad attendere il Milan a Vienna, l’Ajax di Van Gaal, il cui centrocampo era guidato dal grande ex, Frank Rijkaard e che già aveva sconfitto i rossoneri due volte nei gironi. Per il Milan, l’ottava finale di coppa dei campioni della sua storia, conquistata nella grande serata di Dejan Savicevic. Quel “genio” che dopo aver esaudito i desideri milanisti, avrebbe mancato l’appuntamento più importante della stagione, stoppato da uno stiramento alla coscia sinistra. Ironia della sorte.