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E magari quel gol costò pure lo Scudetto al Milan.
Lo apro così il mio articolo di oggi, un articolo dedicato ad un derby strano, privo di grandi emozioni, giocato bene ma non benissimo, concluso con un colpo di scena inaspettato e, forse, decisivo.
Sono passati 50 anni tondi tondi da una stracittadina meneghina segnata da un errore rimasto nelle memorie calcistiche. Il protagonista di quel giorno, nel bene e nel male, fu un portierone triestino classe 1935. 191 cm, fisico longilineo, manone da tennista prestato al calcio e divisa nera da ragno.
Fabio Cudicini era stato la colonna della Roma per buona parte dei ’60, riuscendo a collezionare più di 160 presenze in sei stagioni. Ottimo tra i pali, efficace sui rigori, insuperabile nelle palle alte.
Il Paron Rocco, triestino come lui, lo aveva chiamato nel suo Milan, stagione 1966/67, proprio per questa grande capacità di prenderle tutte nell’area di rigore. Il buon Nereo era ossessionato dai palloni su cui svettavano i colpitori furbi e astuti della Serie A. Il mister aveva una repulsione per i cross calibrati delle ali, imprevedibili ed in grado di cambiare le sorti di un incontro, capovolgendo i valori in campo.
Quel 19 Marzo del 1972, il Milan di Rivera era chiamato a giocarsi l’avanzata verso il titolo contro i cugini e rivali dell’Inter, con la Juventus impegnata contemporaneamente sul terreno del San Paolo.
Dopo una fase di assestamento iniziale, i calciatori di Invernizzi erano riusciti a prendere il controllo del gioco, grazie alle geometrie orchestrate dai sempre fantasiosi Corso e Mazzola. E proprio i due terminali offensivi nerazzurri avevano impensierito Cudicini più degli altri; Mazzola lo aveva fatto con un tiro di controbalzo, fermato nell’angolino basso dal ragno triestino; Corso aveva calibrato male il suo tiro al volo dal centro dell’area.
Il Milan, dal canto suo, aveva saputo aspettare, colpendo con freddezza e fortuna al minuto cinquantatrè. Il tiro di Benetti, forte ma non irresistibile, era sfuggito dalle mani di Lido Vieri, finendo lentamente nella porta interista.
Sembrava, quindi, una vittoria già in cassaforte. Sembrava.
A sei minuti dalla fine lo scatto di Benetti sulla fascia destra si era concluso con una palla al centro, facile preda della difesa interista. Su quel pallone era piombato Mariolino Corso, il quale aveva da subito capito l’andazzo dell’azione successiva. Il centrocampista silenzioso aveva avanzato per qualche metro, prima di far partire un calcio di 60 metri con destinazione Boninsegna.
Oltre a Bonimba, controllato già da Anquilletti e Rosato, c’era il distante Pelizzaro. Cudicini, preoccupato da quest’ultimo, era uscito oltre la sua area di rigore, calcolando male la traiettoria della sfera. Ormai la frittata era fatta. L’attaccante dell’Inter, come sempre prontissimo, aveva prima controllato di sinistro e poi concluso in porta, nonostante l’estremo tentativo di Fabio di raggiungere un pallone diventato un fardello personale.
Quella, senza dubbio alcuno, fu la partita di Cudicini. Protagonista in negativo ma anche baluardo insuperabile in grado di respingere una maldestra devozione di Rosato, un tiro di Jair, due ribattute di Boninsegna e una stoccata di Mazzola (fonte La Gazzetta dello Sport).