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10 giugno 1978, la terza partita dei Mondiali azzurri: Italia – Argentina

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10 giugno 1978: Italia – Argentina

La terza partita che l’Italia affronta nel mondiale è quella che la vede contrapposta all’Argentina, paese organizzatore e squadra ”naturalmente” tra le più quotate per la vittoria (anzi, la favorita tout court per vari motivi immaginabili e non). Ambedue le compagini sono già qualificate per le semifinali a gironi; il match serve per designare la prima classificata, posizione a cui particolarmente aspira la rappresentativa ospitante, perché la capolista ha il diritto di proseguire giocando a Buenos Aires, privilegio che i sudamericani vorrebbero fare proprio e non solo per una questione di prestigio, bensì anche per poter continuare a godere di alcuni vantaggi logistici, di tifo ecc.. E tutte e due le squadre hanno quattro punti, ma la differenza reti è benevola agli europei: i padroni di casa, tirate le somme, debbono necessariamente vincere. ù

Ma, d’altronde, Argentina – Italia non è una partita come le altre. Almeno, non lo è in quella cornice. A parte il fascino calcistico derivante dall’essere una “classica” sfida tra due “grandi”, una europea e una sudamericana, a parte gli incroci passati con alcuni giocatori che nel tempo magari hanno militato con tutte e due le maglie mercé la circostanza che qualcuno di loro è stato trattato dalla federazione nostrana alla stregua di ”oriundo”, a parte tutto il resto, è un dato di fatto che più o meno metà degli argentini sono di origine italiana.

In quel contesto di plumbea dittatura militare non pochi argentini vedevano nell’antica vecchia patria degli avi (ancorché squassata da crisi politiche, economiche e di ordine pubblico, nonché da scandali – ma era niente rispetto a quello a cui dovevano sottostare i cittadini della nazione latino-americana) la terra che poteva quanto meno suscitare e destare l’illusione e il modello della libertà, per cui un certo favore per la squadra azzurra, di nascosto, si registrava, pur, ovviamente, senza che nessuno rinnegasse il proprio paese attuale.

All’incontro del 10 giugno l’Italia ci arriva abbastanza tranquilla, non dovendo vivere l’ansia della partita decisiva, perché la qualificazione è in tasca e in aggiunta la medesima ha a disposizione due risultati su tre in vista della prima posizione nella classifica del primo girone eliminatorio.

Se è vero che viene previsto un premio per i giocatori della nazionale italiana in caso di piazzamento al primo posto e se è anche certo che Bearzot non fa ricorso ad alcun turn-over al fine di far riposare quello che era ormai divenuto lo zoccolo duro della nazionale, è anche da prendere atto che il medesimo CT non manda in campo una squadra con direttive “propositive”.

Il selezionatore italiano – che, come si sa, sarà sempre molto legato alla propria squadra argentina, dimostrandolo nelle successive, future scelte, come quella, in vista dei mondiali spagnoli, di desiderare la conferma della coppia d’attacco Rossi-Bettega fino all’ultimo momento disponibile. Il primo, però non era in ottima forma fisica a causa della squalifica a seguito dello scandalo del calcio scommesse.

Il secondo, invece, era ancora alle prese con un brutto infortunio pregresso, che lo aveva e lo avrebbe allontanato dai campi di gioco per vari mesi – non avrebbe ritenuto la partita contro l’Argentina come la migliore fra quelle tenute nel torneo del 1978, sebbene la stragrande maggioranza di addetti ai lavori e di tifosi la pensi in maniera completamente opposta, appunto perché per l’occasione aveva scelto di operare senza prevedere tattiche d’attacco), ma con istruzioni di aspettare l’avversario nella propria metà campo, prediligendo una partita eminentemente difensiva, da calcio all’italiana stile anni sessanta.

Bearzot, insomma, si sarebbe accontentato di uno zero a zero finale che avrebbe assicurato comunque il primo posto, ma esponendosi al gioco d’attacco potenzialmente incessante e asfissiante degli argentini, con il rischio concreto di poter perdere la sfida, perché subire per novanta minuti la pressione avversaria avrebbe potuto condurre molto agevolmente a una sconfitta. Ma il muro difensivo italiano avrebbe retto, malgrado la pericolosità argentina e pur tra varie difficoltà, a conferma del valore del medesimo.

E le azioni di rimessa degli azzurri, benché non fossero numerose nell’arco dell’incontro, tuttavia risultavano efficaci, anche questo a limpida e inequivocabile prova della forza di quella nazionale, partita dal nostro paese per l’avventura mondiale tra lo scetticismo generale. E con una magnifica azione, iniziata da Antognoni e conclusa con un triangolo Bettega Rossi-Bettega, gli italiani passano e vincono.

Nella maniera più semplice e senza troppi sforzi gli azzurri si impongono, dimostrando di essere i migliori e stupendo gli avversari. Una prova indiretta di tutto questo è deducibile dalla decisione dei vertici del calcio, che nel frangente della competizione certamente non avrebbero voltato le spalle ai padroni di casa, di “scartare” per la finalissima l’arbitro israeliano Klein, che aveva diretto quel match in maniera esemplare, senza indugiare a favoritismi casalinghi, e che era il candidato “naturale” secondo esperienza e “curriculum vitae” per fischiare l’incontro decisivo della manifestazione, dirottandolo alla finale per il terzo posto. In fin dei conti, si può dire che gli italiani avessero fatto male a non perdere; vincendo, però, senza strafare, hanno dimostrato di essere i veri campioni del mondo, pur senza medaglia d’oro da poter vantare ed esibire nel prosieguo del tempo.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)

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