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3 giugno 1981: l’Italia perde in Danimarca

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3 giugno 1981, l’Italia perde in Danimarca

Contro la Danimarca, già osservata da Bearzot, gli azzurri incrociavano i guantoni nel primo scontro di qualificazione a Spagna 82 tra le medesime squadre sabato 1 novembre 1980 a Roma. Il momento era delicato: la Danimarca, che aveva già perduto le prime due partite del girone, rispettivamente contro la Jugoslavia in trasferta il 27 settembre precedente per 2-1 e in casa propria contro la Grecia il successivo 15 ottobre per 0-1, aveva fame di punti, al fine di tentare di incunearsi tra l’Italia e la Jugoslavia nella lotta per i primi due posti che davano diritto alla qualificazione ai Mondiali.

Un’altra sconfitta per i scandinavi sarebbe suonata come mezza condanna. Mentre sull’Italia sormontava una forte cappa di scetticismo da parte degli addetti ai lavori, temendosi un tracollo che avrebbe potuto, se non compromettere, almeno rendere ardua e piena di incognite e di rischi imprevedibili la qualificazione stessa. L’ipotesi delle dimissioni per Bearzot in caso di sconfitta non era campata in aria: pareva aleggiare lo spettro di Vittorio Pozzo, che si era dimesso da CT della nazionale dopo la sconfitta del 5 agosto del ’48, subita proprio per opera della Danimarca in occasione delle Olimpiadi di Londra.

La paura di una pessima figura era dettata, anche, alla luce di quanto verificatosi nei precedenti match, a partire da quelli tenuti durante il campionato Europeo sempre del 1980, dalla mancanza di Antognoni, basilare nel contesto del sistema di gioco bearzottiano ai fini realizzatori, dal contemporaneo forfait da parte di Oriali (analoga evenienza, peraltro, era capitata a partita in corso durante la precedente sfida con il Belgio nella competizione continentale del passato giugno), nonché dall’assenza per squalifica di Causio, il cui sostituto Conti per alcuni ipercritici non avrebbe potuto assicurare sufficiente garanzia, data la (quanto meno) relativa esperienza o, secondo il brutale parere da parte di qualcuno, considerata la sua inesperienza in maglia azzurra, giocando egli per la prima volta una gara in nazionale a partire dal primo minuto (per questo si sarebbe voluto vedere in campo non Bruno Conti, ma Bagni o Novellino).

Per giunta, ad aumentare i timori della vigilia, al posto dell’infortunato Oriali veniva chiamato a scendere in campo dal primo minuto il compagno di squadra dell’Inter Marini, anch’egli al battesimo del fuoco in azzurro: la scelta di quest’ultimo non era apprezzata dalla stampa, valutando il mediano interista come giocatore di non eccelse qualità (ma come Bearzot in quella partita avrebbe azzeccato con Conti, così avrebbe visto giusto anche riguardo a Marini).

Quest’ultimo si sarebbe guadagnato il posto in squadra per l’avvenire con un lavoro eccezionale di interdizione, che avrebbe permesso agli azzurri di recuperare quantità industriali di palloni, che da un lato si sarebbero potuti rivelare pericolosi per la difesa ma che dall’altro sarebbero stati utili, una volta rilanciata l’azione, per l’attacco.

Circa l’impiego di Marini, Bearzot rispondeva: “Dite che è la prima volta che un’esordiente parte titolare? Dovete capire che quando convoco un ragazzino, cerco di tutelarlo. Per non bruciarlo. E Marini ha una certa età. Meglio ricorrere alla maturità dell’uomo che all’esperienza internazionale.

E poi tutti quelli che sono arrivati sono ragazzi conosciuti, come dire, figli miei”. Con Marini Bearzot sarebbe entrato in sintonia perfetta e la lealtà tra i due sarebbe stata esemplare, con reciproche soddisfazioni. Il giocatore interista esordiva contro la Danimarca quasi casualmente, ma avrebbe assicurato a Bearzot non solo la formula per risolvere il problema di quella partita, ma la chiave per poter mettere al sicuro in futuro diversi match, e, in definitiva, il mondiale, risultando il rincalzo più efficace.

In cambio avrebbe avuto la promessa, mantenuta dal CT, di disputare un certo numero di partite che gli avrebbero permesso il riconoscimento di particolari vitalizi, come quello della tessera per assistere agli incontri della nazionale. Con giocatori in vario modo fidelizzati, leali per riconoscenza, il CT poteva disporre di uomini disciplinati come soldati, pronti a qualsiasi sacrificio e mai disposti ad arrendersi di fronte a qualsivoglia difficoltà.

Un complesso i cui singoli non avrebbero defezionato perché consapevoli che il CT a sua volta non li avrebbe abbandonati. Questa vicenda di Marini è sintomatica; evidenzia quella che era l’autentica, vera forza interiore, segreta, della nazionale, di cui buona parte della stampa italiana e tanti altri addetti ai lavori si sono resi conto probabilmente solo a partire dal 3-2 sul Brasile del 5 luglio 1982. Prima, semplicemente si tacciava Il tecnico friulano di incompetenza, quando non di peggio.

E infine, riprendendo il discorso della partita contro la Danimarca un altro elemento che faceva sorgere dubbi era la circostanza che Bearzot riproponesse Bettega ancora una volta come mezzapunta al posto di Antognoni, per quanto in precedenti occasioni, come quella contro il Belgio agli Europei, l’esperimento non fosse del tutto riuscito.

E Bettega veniva aspramente rimbrottato per una prestazione considerata incolore; e come mezzala era ritenuto totalmente insufficiente, per esempio, da Melidoni del “Messaggero”. Non tutti, però, erano così radicali nel giudizio: Pier Cesare Baretti di “Tuttosport” non contestava tanto la sua posizione tattica in generale, quanto il suo scarso apporto in chiave offensiva: avrebbe dovuto incidere di più nel momento dello sviluppo dell’azione di attacco.

Peraltro, che Bettega potesse operare da rifinitore era questione a cui l’esperienza avrebbe dato riscontri opposti: il campionato 1980-81 (ma in questa stagione la Juve poteva contare sull’apporto di Brady, che creava gioco) avrebbe dimostrato di sì: alla fine il centrale bianconero avrebbe siglato solo 5 reti, ma, aprendo spazi in area, avrebbe facilitato 7 gol sia a  Tardelli che a Cabrini, oltre ai 5 dei tornanti Fanna e Marocchino.

Mentre la prova di Bettega a ridosso delle punte nel campionato 1979-80 (senza Brady) non era stata coronata del tutto dal successo sperato (benché in qualche partita si fosse comportato bene in regia) e nella Juventus in quell’annata nella sostanza non sempre si era rivelato pienamente in grado di fungere da mezzapunta a favore di Virdis, come nei programmi e negli auspici di Trapattoni: e lo stesso Bettega, riproposto come punta, poteva rivivere una seconda primavera in questo ruolo.

La sagacia tattica, la capacità di trovarsi nella posizione e nel momento giusti gli permettevano di ritornare a essere quell’attaccante efficace quale era stato negli anni passati. Si noti come nel campionato 1979-1980 avesse siglato 16 gol: solo nella stagione 1976-77, quella del scudetto record di 51 punti, aveva fatto appena meglio, con 17 centri. Dunque, era tutto da vedere se Bettega potesse fungere da vice Antognoni.

Semmai avrebbe potuto fare da rifinitore avanzato al centravanti (Rossi), con il quale fraseggiare in attacco, con Antognoni presente in campo: qualcosa del genere era successo nella Juventus del campionato 1980-1981, con Brady al posto di Antognoni e Virdis nelle veci di Rossi. Quest’idea credo fosse stata lungamente accarezzata, considerato che Bearzot attese sino al 25 maggio ‘82 il rientro di Bettega.

D’altronde, nel maggio del 1980, durante la fase di preparazione degli Europei del mese successivo, Bearzot, dopo aver preso atto della squalifica di Rossi per il calcio scommesse, aveva “riscoperto” il tandem Graziani-Bettega, protagonista nelle qualificazioni per i mondiali del 1978. “Bettega e Graziani mi offrono buone prospettive”, diceva per l’occasione Bearzot. “Si sono ritrovati, come mi aspettavo.

Non debbono ricominciare daccapo ma perfezionare la vecchia intesa”. E poi: “Bettega, per necessità di squadra, nella Juventus ha fatto anche esperienza di regia e quest’anno ha addirittura vinto la classifica dei cannonieri. Graziani ha aggiunto al suo bagaglio la rabbia che contraddistingue chi vuole restare sulla cresta dell’onda. Ha sofferto e adesso gioca con rinnovato agonismo. Mi ritrovo con due attaccanti completi i quali non sono neppure anziani.

Una cosa è certa: avrò bisogno, rispetto a quando c’era Rossi, di maggiori alternanze in attacco. Poiché Graziani lavora molto sul piano difensivo, ci vorranno inserimenti più imperiosi da parte dei centrocampisti nelle fasi in cui il granata dovrebbe rifiatare”.

E nella fase finale in Spagna, con Rossi in squadra e con Graziani al posto di Bettega, in effetti l’ormai ex torinista avrebbe lavorato molto in fase più arretrata o addirittura in copertura (questo compito in qualche caso, come nella partita con Brasile, gli sarebbe stato raccomandato particolarmente): e per garantire vigoria, fantasia e imprevedibilità in attacco avrebbero provveduto i cursori Tardelli e Cabrini e la velocità e la brillantezza di Conti, il che avrebbe fatto quadrare il cerchio a Bearzot.

Ma per intanto: Bettega era possibile portarlo in rifinitura o no? Riprendendo la fase di preparazione per gli Europei, in un test Pruzzo e Altobelli avevano fatto bene con Bettega più arretrato. Secondo Bearzot: “Bettega può agire solo con due punte e non con una. Bettega vice-Antognoni? Sul piano del gioco sì, ma come interno il dispendio di energia è notevole”.

Dunque Bettega era stato regista contro la Danimarca per necessità, con Bearzot costretto a chiamare Marini per dare equilibrio alla squadra. In Spagna l’ipotesi di un attaccante rifinitore avanzato con due punte non verrà adottata per non alterare la formazione. Forse in tal senso si sarebbe potuto tentare con Perù e Camerun.

Ma in quelle partite agirono fattori come la scarsa condizione e remore di ordine psicologico, come la paura di non superare il turno: a fronte di questi malaugurati dati di fatto, venivano a cadere le condizioni per operare saggi e per esperire prove. Ritornando al match con la Danimarca (con relativi timori), la compagine baltica, a differenza del Belgio degli Europei appena passati, non si chiudeva; tutt’altro; e, inoltre, si segnalava Conti per i dribbling ubriacanti e per alcune discese da capogiro nella fascia.

Che diventavano essenziali ai fini della vittoria. Graziani (al 5’ e al 50’) siglava una doppietta. Il primo gol era originato da un cross di Gentile (che si era sganciato in attacco, come gli capitava nella Juve, dove Trapattoni, tra l’altro, lo allenava personalmente alle conclusioni a rete), dopo essere stato servito e liberato da uno splendido colpo di tacco smarcante di Conti; il secondo centro traeva spunto da un calcio d’angolo sempre di Conti, a cui si aggiungeva la complicità di una sciagurata uscita del portiere danese, il quale lasciava la porta sguarnita in occasione del colpo di testa di Graziani.

Per il resto, la Danimarca veniva contenuta con Tardelli, che con una marcatura spietata cancellava lo spauracchio Arnesen, con Collovati, che teneva bada Larsen-Elkjaer, e con Gentile, che dettava legge in difesa con una sicurezza assoluta ormai certa e indiscutibile.

Ma dubbi nella stampa permanevano e l’idea dominante era che la prestazione di certi singoli e i due gol avessero mascherato per il momento i limiti di una squadra considerata senza gioco, senza spirito, senza tante capacità di conclusione. “Apallica” era la definizione affibbiatale da Brera, ritenendola priva di senso verticale del gioco per l’assenza di qualcuno che dettasse i rilanci effettuati dai mediani.

In ogni caso, riconsiderando la temuta partita con la Danimarca (match il cui risultato avrebbe assunto grande importanza nel contesto del cammino nel girone di qualificazione), è da ritenere che i migliori, a parte Graziani, si fossero rivelati Gentile, Tardelli e Conti. Dopo le vittorie, tutte per 2 a 0 con Jugoslavia e Grecia, il 1980 – escludendo i rigori con la Cecoslovacchia agli Europei – non aveva riservato sconfitte alla nostra nazionale, pur tra alti e bassi e ammesse tutte le riserve possibili. Il 1981, invece, neanche iniziava che già una brutta batosta destava gli azzurri.

Un torneo particolare, atipico per certi aspetti, impegnava la nostra Nazionale in Uruguay. Gli uruguagi si inventarono la Copa de Oro, altrimenti conosciuta come Mundialito, competizione che voleva ricordare e festeggiare i 50 anni della conquista della prima coppa del mondo da parte della “Celeste”. Manifestazione tramite la quale i padroni di casa cercavano in qualche modo di rinverdire le glorie calcistiche passate e far dimenticare per un momento certi problemi politici interni: e per l’occasione le squadre invitate furono quelle che sino a quell’epoca avevano vinto almeno un mondiale.

Come Argentina, Brasile, Germania Ovest o Italia. Mancava l’Inghilterra, assente per opportunità dettate dalla politica; ma al suo posto vi era l’Olanda, che poteva fregiarsi del titolo onorifico di vice campione mondiale in carica. Una competizione che si giocava in un periodo inconsueto, quanto meno per le squadre europee: a gennaio il clima in Uruguay è caldo e rispetto all’Europa si possono agevolmente misurare una ventina di gradi in più, cosa che avrebbe inciso sul rendimento di Italia e Germania Ovest, almeno a sentire i rispettivi tecnici Bearzot e Derwall.

E caldo, fuso orario, inusitata carica agonistica uruguagia, nonché certe sconcertanti decisioni arbitrali avrebbero influito molto sulla partita Uruguay-Italia, giocata il 3 gennaio, determinando la nostra sconfitta. In quella gara, nella quale non vi erano Zoff, tenuto a casa per scelta, e Collovati, impegnato con la propria squadra di club, il Milan, in serie B, gli azzurri, che presentavano Oriali terzino e Gentile stopper, con Altobelli e Graziani coppia d’attacco, reggevano fisicamente in maniera sufficiente per una cinquantina di minuti.

Così nel primo tempo l’Italia non giocava male, anzi esprimeva una certa superiorità grazie alla quale si concretizzavano almeno due buone conclusioni, rispettivamente con Graziani e Altobelli. E questo mentre Ramos e Paz, gli uruguagi più temibili, venivano senza patemi controllati da Cabrini e Tardelli. Ma dopo dieci minuti della ripresa l’Italia  entrava in apnea per affaticamento. E al 19’ della ripresa l’arbitro spagnolo Guruceta Muru assegnava (si potrebbe, senza ingannarsi di tanto, chiosare, regalava) un rigore ai padroni di casa.

Dopo il gol dell’Uruguay, la partita diventava cattiva e Cabrini veniva espulso. Antognoni per poco non pareggiava, ma, dopo un errore della difesa azzurra, arrivava il secondo gol dei sudamericani. Tardelli un paio di minuti prima della fine si faceva cacciare per un brutto intervento ai danni di Paz.

Bearzot avrebbe avuto da ridire intorno all’arbitro, il quale avrebbe, tra l’altro, anche insultato Conti. Ma in ogni caso il CT azzurro poteva trarre qualche indicazione degna di menzione: per esempio, erano piaciuti il portiere Bordon e Pruzzo, entrato nel secondo tempo in sostituzione di Altobelli.

A futura memoria, Bearzot, per inciso, prendeva atto che l’Uruguay aveva battuto il Brasile con un’asfissiante gioco a uomo che aveva mandato in crisi il calcio danzato dei carioca a centrocampo, spuntandolo. Questa sconfitta sarebbe stato l’unica subita dal Brasile per lungo tempo, prima di quella inflitta dall’Italia il 5 luglio 1982.

Il 6 gennaio si giocava Italia-Olanda, gara ormai ininfluente ai fini della conquista del Mundialito. Bearzot poteva approfittare per qualche esperimento. Esordivano in azzurro Vierchowod, impiegato come terzino destro in coppia con Giuseppe Baresi a sinistra, e Ancelotti, a centrocampo al posto di Tardelli, nonché, a partire dal secondo tempo, Bagni, al posto di Conti.

Entrambe le squadre giocarono una bella partita. L’Italia passava dopo sette minuti con Ancelotti con un diagonale dal limite, dopo passaggio di Pruzzo. Dopo circa 8 minuti pareggiava Peters con un tiro da fuori. L’Italia avrebbe potuto marcare ancora: a fine primo tempo Pruzzo si vedeva negato il gol su colpo di testa da un salvataggio sulla linea, Antognoni su punizione faceva tremare la traversa; ma anche l’Olanda avrebbe potuto approfittare di almeno due chiare occasioni e Bordon era costretto a operare qualche intervento di una certa difficoltà.

Il 25 febbraio a Roma l’Italia giocava un’amichevole con una selezione europea al fine di raccogliere fondi per le popolazioni colpite dal terremoto dell’Irpinia di due mesi prima. Per dire la verità,  le due contendenti non affrontarono questa gara allo spasimo. Fra gli azzurri Zoff riprendeva il proprio ormai abituale posto tra i pali. La formazione era quella tipo, con abbondanti sostituzioni durante il match.

L’Italia partiva bene: un’occasione limpida capitava a Conti dopo 10 minuti. Ma dopo una mezz’ora andava sotto di un gol da parte del danese Simonsen. Poi, più di tanto il ritmo non si alzava e l’Italia incassava altri due gol. Ma niente di grave, alla fine. La nazionale azzurra il 19 aprile giocava un’amichevole a Udine con la Germania Est.

Una partita tutto sommato incolore, grigia, che destava qualche critica e qualche allarme; ma era un’amichevole senza significato particolare, con diversi titolari mancanti; si approssimava la fine del campionato con lo sprint scudetto a tre tra Juve, Napoli e Roma, e forse i giocatori avevano altri pensieri per dannarsi l’anima contro una squadra di secondo livello. Dal 1′ Tardelli ma adattato a mediano arretrato, con il debuttante Dossena a sostituirlo a centrocampo.

Bagni faceva da ala tornante al posto di Conti e Selvaggi debuttava con la maglia azzurra in luogo di Bettega. Nel ruolo di stopper provò Vierchowo (il saggio sarebbe stato positivo; lo stesso sarebbe andato in Spagna come vice Collovati). Niente di che. Qualche occasione per parte, con i tedeschi un pochino più decisi, agevolati anche dal gioco di rimessa.

È vero anche che l’occasione più chiara capitava a Graziani a inizio ripresa, ma l’ex attaccante della Roma non la sfruttò. Pesante sconfitta, invece, il 3 giugno in Danimarca in una partita valevole per le qualificazioni mondiali. Dopo il filotto di quattro vittorie per 2-0, si materializzava il primo tonfo nelle partite di qualificazione.

Però nulla di pregiudicato, il primo posto non era ancora in discussione, ma, cionondimeno, l’Italia appariva involuta e questo era un campanello d’allarme. Non è da escludere che la circostanza di giocare a giugno, dopo un campionato combattuto e terminato con una volata a tre e con tante polemiche (si pensi al gol annullato a Turone nella sfida scudetto Juve – Roma il 10 maggio 1981) e tante tossine nelle gambe, avesse influito negativamente.

L’Italia si difendeva solamente, non mancava di fare una sconcertante melina difensiva quando possibile e raramente si slanciava in avanti. Il primo tempo finiva a reti inviolate; finché la condizione teneva, l’Italia opponeva il muro. Ma dopo un quarto d’ora della ripresa, il tracollo: tra il 59’ e il 61’ si contavano due gol al passivo, il secondo su punizione, complice una barriera disposta piuttosto male. È vero anche che al 69’ Graziani riapriva la partita.

Ma la Danimarca era indiscutibilmente superiore. Non faceva difetto con Antognoni l’occasione per pareggiare, ma all’87’ gli scandinavi siglavano il terzo gol. Gli azzurri perdevano per 3 a 1. Davvero brutta esibizione; un’Italia stanca, abulica, forse svogliata. Giocare in quel frangente di giugno non era l’occasione ideale.

Condizione fisica e mentale insostenibile. Ma non era da dimenticare che l’anno successivo la fase finale dei mondiali, dando ovviamente  per scontata la qualificazione azzurra, si sarebbe giocata a partire da giugno. E se si fosse pervenuti in terra iberica in quelle stesse condizioni in cui ci si era trovati a Copenaghen quel 3 giugno 1981 (come, per molti versi, sarebbe stato, ma per fortuna il fresco e il pesce della Galizia avrebbero aiutato a ridestare fisico e psiche)? Qualche preoccupazione in prospettiva futura poteva levarsi.

Per questo nel maggio 1982 la dirigenza della nazionale avrebbe visto di malocchio un’eventuale coda di spareggi per assegnare lo scudetto e per decidere chi dovesse retrocedere. Per cui, per varie ragioni, quella partita in terra danese è uno spartiacque importante nel cammino azzurro verso Spagna ’82.

Anteriormente si era assistito a 4 successi, seppur conditi da polemiche e critiche per questo o quell’aspetto. Ma pur sempre 4 partite vinte. Dopo, 2 pari e una vittoria di misura contro il Lussemburgo a Napoli il 5 dicembre 1981, oltre a una serie di amichevoli pareggiate o perse malamente, a parte una stentata, ma complessivamente meritata, vittoria contro la Bulgaria. Il tutto con conseguenze facili da immaginare.

Ovvero una sorta di assedio da parte del mondo dell’informazione tradizionalmente avverso alla nazionale, con toni sempre crescenti e qualche volta anche personalmente offensivi, sino a determinare il silenzio stampa da parte della nazionale una volta iniziato il mondiale. Comunque, già appena terminato il match in trasferta in Danimarca le contestazioni nei confronti di Bearzot si riproponevano ampie e profonde, persino laceranti, anche per la circostanza di riproporre Bettega, ritenuto da alcuni giornalisti un ex atleta di trent’anni, bravissimo ormai a simulare i movimenti di un centrocampista. Bearzot veniva dipinto dai critici come irriducibile nella sua smania da assurdo, cocciutamente tetragono a ogni mutamento.

A meno che, come qualcuno pretendeva, non fosse lui il primo e il prossimo a essere sostituito, dato che, con la sua solita fede incrollabile, continuava a ribadire, sempre secondo la vulgata critica, che problemi non ce ne fossero. Si riteneva che l’Italia ormai potesse vincere solo contro Malta e si ipotizzava che alcuni  giocatori in azzurro, in età per continuare la strada in azzurro anche dopo un’epurazione, non amassero più troppo seguire i dettami di una pesantissima cosca di anziani che stava a influenzare da molto tempo Bearzot.

Dunque, a parte il resto, Bearzot, veniva descritto quasi come un ostaggio dei “senatori”, soprattutto di estrazione juventina. Secondo l’opinione pubblica, questi ultimi influenzavano le scelte del mister. Un allenatore, quindi, ritenuto debole, immobile, tatticamente e forse mentalmente, incapace di immaginare soluzioni efficaci e spettacolari.

Attacchi inauditi. Il futuro avrebbe dimostrato il contrario. E Bettega, ritenuto bollito (anche) dopo la sconfitta in Danimarca (il centravanti juventino era da mesi e mesi bersaglio di contumelie, già sicuramente dalla partita in Lussemburgo nell’ottobre 1980), sarà decisivo nella fondamentale sfida per le qualificazioni mondiali di metà ottobre 1981 in terra jugoslava. Come anche Zoff, altro azzurro ampiamente criticato da decenni.

Successivamente, nei primi di novembre, un infortunio durante una partita con l’Anderlecht in Coppa dei Campioni, avrebbe negato a Bettega i mondiali di Spagna. Ma il volerlo attendere fino all’ultimo momento da parte di Bearzot, sperando potesse riprendersi per la competizione iridata, avrebbe generato altri vespai di polemiche, come ce ne fosse bisogno.

Francesco Zagami

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