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14 giugno 1982, l’esordio dell’Italia ai Mondiali contro la Polonia

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14 giugno 1982, l’esordio dell’Italia ai Mondiali contro la Polonia

Alla vigilia della partita di esordio nel mondiale spagnolo con la Polonia, è facile indovinare, alla luce delle precedenti deludenti amichevoli giocate dagli azzurri in quell’anno solare 1982 con Francia, Germania Est e Svizzera, come si addensassero più timori di quante potessero essere le speranze nutribili intorno alla nostra nazionale.

Si riteneva che l’Italia fosse carente sotto vari aspetti: fatta eccezione per la difesa, si ponderava che la squadra non fosse affiatata; la mancanza di Bettega veniva stimata come decisiva e in un certo senso la compagine era dipinta come acefala e spuntata; Rossi era unanimemente ritenuto sottotono, sia dal punto di vista agonistico che muscolare e dubbi si avanzavano circa la sua tenuta psicologica; Zoff era considerato “vecchio”; il clima intorno alla squadra veniva classificato come non omogeneo e non ideale; la paura era tanta; e di Bearzot si sospettava non sapesse cosa fare e, comunque, gli si imputava di non aver saputo valutare e valorizzare nuovi e diversi giocatori alternativi.

Le speranze si basavano sulla voglia di riscatto di coloro che venivano messi in dubbio e alla berlina, sullo spirito di gruppo e sull’esperienza dello zoccolo duro argentino. Dunque, pesando i piatti della bilancia, più scetticismi e dubbi che sicurezze e certezze, che fossero tali da suscitare ottimismi ed entusiasmi di grande portata. Il 14 giugno il “Corriere della Sera” con un articolo a firma di Carlo Grandini dal titolo “L’alba di un sogno magico o disperato” poteva, tra l’altro, commentare: “Da questa sera la nazionale italiana di calcio comincerà a battersi per dimostrare d’essere ciò che noi seguitiamo a temere non sia: una squadra vera, una squadra da campionato del mondo. La nazionale italiana di calcio ha fatto molto, in quest’ultimo anno e mezzo, per indurre al dubbio, allo scetticismo, talvolta all’indignazione”.

Sullo stesso giornale, sempre lo stesso giorno, Mario Gherarducci con un articolo dal titolo “Potrà bastare lo stellone?” poteva chiosare che erano passati cinque mesi dal fortunato sorteggio che ci assicurava un girone con squadre alla nostra portata, dando la stura a commenti di segno inequivocabilmente positivo. Mentre alla vigilia avrebbero dominato ansie e timori, non mancando chi era pronto a giurare che soltanto un paio di miracoli avrebbero potuto consentire all’Italia di superare lo scoglio del primo turno, dato che la nostra nazionale aveva spiccato preoccupanti passi all’indietro.

Per cui, a questo punto, non restava che aggrapparsi al solito stellone, che ci aveva benevolmente assistito durante il sorteggio madrileno. Preoccupata anche “La Gazzetta dello Sport” che, sempre alla vigilia della partita con i polacchi, invocava il soprannaturale: l’articolo di Gianni de Felice aveva come titolo “In attesa di un miracolo”. (…) “E noi tutti sogniamo di essere destinatari di una sorpresa: come fosse impossibile pensare a una vittoria azzurra contro i polacchi in termini di legittima e fondata speranza. Non dobbiamo vergognarci o stupirci di tanta cautela.

La nostra nazionale ha fatto di tutto per dissipare negli ultimi anni la fiducia e l’entusiasmo suscitato col quarto posto al mondiale argentino. Ha fallito il campionato europeo del 1980, giocatosi proprio in Italia. Ha tentato di rinnovarsi, ma vi è riuscita soltanto in piccola parte: la sua ossatura è ancora fornita dalla Juve, che per effetto del generale declino è rimasta la squadra-guida del campionato italiano, pur non essendo più fresca e forte come cinque anni fa. Conquistata l’ammissione al mondiale spagnolo, la nazionale italiana lo ha pigramente atteso infilando una lunga serie di risultati modesti, quando non allarmanti.

E quando l’impegno si è fatto prossimo, la paura di un fallimento ha rapidamente reso precari e fragili i nervi del suo intero ambiente: non è un caso se, per la prima volta nella sua carriera di tecnico azzurro, Bearzot ha rifiutato ieri l’annuncio ufficiale della formazione. Ma tutto questo non arriva a negarci l’attesa. Così come non arriva a vietarci di credere che gli azzurri possano costruire, sul rasserenante mattone di un pareggio contro i polacchi, l’edificio di una soddisfacente promozione alla seconda fase del campionato del mondo.

Avevamo altrettanta paura e altrettanta tensione in Messico, nel 1970, quando superammo con un solo gol in tre partite il primo turno di un mondiale, che doveva vederci finalisti contro il Brasile. Perché non credere al bis di un miracolo?” (…). In questa cornice non esaltante era previsto l’esordio il 14 giugno contro la Polonia. Avrebbe arbitrato il francese Vautrot, un ispettore scolastico trentasettenne, appassionato di filatelia.

Frattanto, i mondiali il giorno precedente erano iniziati con un clamoroso avvio, con il Belgio che batteva i campioni uscenti dell’Argentina. Il nostro avversario, la Polonia, sulla carta era da considerare di difficoltà quantificabile come superiore alla media: nell’ultimo decennio la nazionale polacca aveva acquisito una discreta maturità, che, tra l’altro, le aveva permesso un ottimo e incoraggiante terzo posto nel mondiale tedesco del ‘74. Fra i giocatori italiani la tensione era palpabile: e si può comprenderne il perché.

Tutti gli attacchi mediatici, inauditi e spropositati, che lambivano il personale, per quanto offensivi, di quei giorni facevano parte di una realtà che durava da mesi, o, meglio, da anni; ma in quei frangenti erano diventati più veementi e virulenti, avvilenti e deprimenti, anche perché provenienti (anche o persino) dalla Federcalcio: potevano lasciare il segno anche perché nell’occasione si sommavano alla consapevolezza di non aver ancora conseguito la forma fisica ottimale. La paura di non potercela fare, di fallire, cominciava a farsi strada tra i giocatori.

Si può raccontare di come una gran tensione li contagiasse, con la conseguenza che qualcuno avrebbe firmato per un pareggio, quasi per disperazione, dato che si trattava di uno degli scorci più complessi e tortuosi della nazionale, con lo spettro della Corea in agguato. Un’eventuale sconfitta con la Polonia sarebbe stata un disastro da un punto di vista psicologico.

Bearzot, che riconosceva la compattezza e la forza fisica dei polacchi e che forse avrebbe concordato per il pari, si rendeva conto del contesto poco felice e cercava da un lato di non concedere vantaggi di sorta ai polacchi, di cui temeva soprattutto Boniek. Così, evitava qualsiasi confronto con la stampa. In questo senso si potrebbe spiegare la mossa di non rendere nota la formazione per non scoprire le carte: forse contro i polacchi la sorpresa avrà funzionato; ma rispetto alla stampa italiana la circostanza non venne ben accolta e meno che mai accettata, generando malumori e disagi.

Peraltro, Bearzot non poteva neanche dare la formazione per un altro motivo: giocando in parte a uomo, voleva prima sapere con chi si sarebbe imbattuto; per cui avrebbe aspettato l’annuncio della formazione polacca (che avrebbe fatto a meno di Matysik e Majewski). Ovviamente, Bearzot fece presente per tempo, la sera prima, ai possibili interessati di tenersi pronti per l’incombenza. Zoff, Gentile, Cabrini, Marini, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani, ovvero la classica formazione di quel periodo, al netto di infortuni e squalifiche, con l’unica variante costituita dal fatto che al posto di Marini ci sarebbe potuto essere Oriali (che sarebbe, invece, andato in panchina).

La presenza di Oriali era data da chi credeva che Boniek potesse essere marcato dallo stesso (la cosa non avrebbe impressionato l’interista, che anni prima aveva incrociato niente di meno che Crujiff). I due interisti in mediana potevano essere intercambiabili; e, peraltro, nessun supposto caso, che li avrebbe dovuto vedere protagonisti e pronti a farsi le scarpe per un posto in formazione, almeno a detta di quei giornalisti che montarono la querelle, si era verificato.

Marini disse espressamente che non ci sarebbe stato problema qualora avesse giocato il suo compagno di club: se avesse giocato Oriali, ciò non sarebbe stato per mancanza di fiducia da parte di CT nei propri confronti. Uno dei casi con poco fondamento di verità che in quei giorni furono sbandierati al vento con lo scopo di dimostrare come la nazionale fosse allo sbando e ormai prossima a implodere.

Capitava, invece, che ci fosse Causio a difendere i propri compagni in maniera convinta, facendo notare come ci fosse pessimismo circa la nazionale anche alla vigilia dei mondiali argentini. Egli, peraltro, rimproverava i giornalisti di scrivere bufale, prendendo spunto dal pettegolezzo circa la presunta liaison tra Cabrini e Rossi.

Per Causio chi giocava, giocava ed era giusto che giocasse; era sufficiente solo che ci credesse. (E dava consigli anche agli attaccanti, dicendo come fosse facile transitare dalle parti di Zmuda, stimandolo molto lento o addirittura “ingolfato” per causa dell’imponente stazza). Bearzot, come avrebbe operato successivamente in vista di squadre di un certo livello (e, in fondo, la Polonia era valutata di discreta levatura), predispose un sistema tattico tale da renderla inoffensiva, per poi cercare di sfruttarne i punti deboli per agire di rimessa.

Il CT rimarcava le criticità della Polonia, chiedendo concentrazione e risolutezza. E Gentile avrebbe dovuto controllare Smolarek, Cabrini doveva vigilare dalle parti di Lato, giocatore furbo e imprevedibile, Tardelli, che non si dimentichi era “nato” come terzino, prima che Trapattoni nella stagione 1976 – 77 nella Juve lo trasformasse in un mediano davvero completo, capace di ricoprire molti ruoli, sia di natura difensiva che offensiva, avrebbe dovuto disinnescare Boniek (veniva esclusa ogni ipotesi Massaro).

La velocità nelle ripartenze sarebbe stata fondamentale: altrimenti si rischiava che i due incursori Cabrini e Tardelli finissero sacrificati in marcatura, senza poter creare gioco; il che avrebbe spuntato gli azzurri, dal momento che Antognoni era un rifinitore, ma non un alimentatore di gioco in senso lato. Tutti, comunque, avrebbero dovuto rendere oltre la sufficienza da un punto di vista atletico. Zoff avrebbe giocato la sua centesima partita con la maglia azzurra.

Prima di scendere in campo Conti si rese protagonista dell’”invenzione” di una sorta di rito propiziatorio, che porterà fortuna e che verrà ripetuto sempre, con una piccola variante nella finale contro la Germania Ovest: il medesimo Conti si metteva in ginocchio, domandava agli altri di toccarlo in testa e poi gridava: “Chi si ritira dalla lotta…”, a cui in coro si ribatteva “È un gran figlio di mignotta”.

Lo 0-0 finale, a dispetto di certi timori iniziali dovuti alla tensione e alle paure di cui si è accennato, in realtà poteva stare stretto agli azzurri, che, idealmente, ai punti avrebbero vinto una partita non proprio spettacolare. E benché alla vigilia Boniek si fosse permesso di tratteggiare la Polonia come superiore, più in forma atleticamente, meglio disposta tatticamente, e più decisa psicologicamente, pronosticando un 2-0 o un 2-1 per la propria squadra, e Lato fosse molto fiducioso, il CT Piechniczek a fine gara si complimentava con gli azzurri. “Abbiamo passato un pomeriggio di inferno.

Non credevo sapeste giocare così bene. Ci avete surclassato in tutto. Graziani e Rossi in particolare erano una minaccia costante. Siamo stati fortunati a rimediare almeno un punto: meritavate davvero di vincere”. Gli azzurri avevano dominato e, nonostante il parere avverso di Boniek, autore di una prova non eccezionale in rapporto alla propria fama corrente (ma, a onor di verità, è da dire anche che aveva giocato pur tormentato da un leggero, ma fastidioso malanno, una vescica a un piede), si erano dimostrati superiori sia tecnicamente che atleticamente.

Solo l’Italia aveva operato attacchi degni di nota, e Zoff quasi era stato inoperoso. L’Italia, che Bearzot aveva definita nei giorni precedenti fatta per nove undicesimi (solo due giocatori erano in discussione, a differenza dei 7 della prima partita del Mundial argentino), aveva convinto. La Polonia era apparsa persino impaurita. Così, nella “Gazzetta dello Sport” del giorno successivo poteva legittimamente figurare il titolo “La nazionale si è svegliata”.

La partita, in sintesi: al 9’ Antognoni con un’ottima punizione impegnava il portiere polacco Mlynarczyk, che riusciva a parare in due tempi. Tre minuti più tardi Graziani si segnalava con tiro insidioso: lo stesso centravanti si ripeteva al 17’ con un altro tiro che il portiere avversario respingeva. Conti si faceva notare per una conclusione al 23’, oltre che per diversi dribbling da par suo, che lo mettevano in condizione di creare diverse occasioni per Rossi e Graziani.

Un paio di minuti dopo Antognoni dava a Rossi una palla che si sarebbe potuta rivelare interessante se Lato non avesse recuperato in extremis. Peraltro, la posizione piuttosto arretrata tenuta in campo dallo stesso Lato per quasi tutta la partita, favoriva le incursioni del suo marcatore Cabrini. Sul finire del primo tempo Rossi si faceva notare per un colpo di testa su spunto di Graziani al 42’.

La ripresa forniva meno emozioni del prima parte del match e la partita scorreva mollemente, con le squadre che si fronteggiavano in maniera piuttosto blanda, soprattutto nel centrocampo, con un gioco piuttosto lento. Normale che non si registrasse nessuno spunto degno di nota: almeno nei primi venti – trenta minuti l’Italia sembrava essersi nascosta (Nando Martellini nella sua telecronaca parlerà di “bellissimo primo tempo” e di “squallida ripresa”) e la Polonia non è che facesse vedere più di tanto, a parte qualche velleitario tiro da lontano.

All’’81’ doppio sussulto azzurro: su un angolo di Antognoni, Collovati colpiva di testa in piena area di rigore; sulla respinta del centrale polacco Jalocha, riprendeva Tardelli che colpiva con un tiro al volo una traversa. La partita poi si avviava alla conclusione con gli azzurri in attacco, ma senza eccessivi pericoli per la porta avversaria. In sintesi: l’Italia era riuscita a imporre una certa superiorità qualitativa a centrocampo, dove risultava protagonista il citato Tardelli. Antognoni dava il meglio di sé nella prima mezz’ora; poi qualche imprecisione di troppo nelle conclusioni.

Marini forniva una buona prestazione in fase di interdizione. La difesa assolveva egregiamente il proprio compito e Scirea risultava il migliore in campo (con Gentile e Conti), scacciando ogni pericolo. Bearzot si poteva dire soddisfatto per aver ritrovato una squadra quanto meno accettabile: la stessa aveva avuto alcune occasioni, anche se non sfruttate.

Ma condizione e convinzione c’erano e si poteva migliorare. Bearzot ammetteva che vi era stato un po’ di sbandamento all’inizio della ripresa. Si poteva ritenere che il turno potesse essere superato senza grandi difficoltà. Difendeva Rossi: si era mosso bene ed era risultato un’insidia costante per la difesa avversaria, rammentandone l’occasione di testa a fine primo tempo.

Era il Rossi che si aspettava, ma il gol non era venuto (Pablito avrebbe detto di aver solo pizzicato la palla, senza colpirla in pieno). Ne apprezzava l’impegno, ma riconosceva le difficoltà incontrate dal giocatore quando era andato in debito d’ossigeno negli ultimi 10 minuti, fallendo qualche occasione. Lodava la combattività di Graziani. Rimarcava la prova di Tardelli, uno a cui non avrebbe mai rinunciato, se non per ordine del medico: lo juventino aveva contenuto bene Boniek, annullando nel contempo le potenzialità del centrocampo avversario.

Il CT apprezzava, peraltro, la compattezza polacca e le qualità di Boniek, che aveva avuto – diceva – la sfortuna di trovarsi davanti uno come Tardelli. Precisava, inoltre, che alla fine aveva dovuto richiamare la squadra, un po’ stanca, poiché non era il caso di rischiare. Nebiolo faceva i complimenti a Bearzot, per la buona condizione atletica, che aveva permesso alla squadra di correre tanto (la capacità atletica italiana sarà uno degli ingredienti principali per la vittoria finale). Sordillo poteva dire che era quella la compagine che si aspettava.

Più precisamente nel “Corriere della Sera” del 15 giugno 1982 riportava quanto detto dal nostro presidente della Federcalcio: “Questa è la mia nazionale, non quella del collaudo di Braga. Non ho mai avuto timori, comunque, neppure nei momenti meno felici. Ho sempre creduto in questa squadra che, infatti, contro la Polonia ha dimostrato un notevole valore atletico e anche una grande coesione morale. Meritavamo la vittoria, a mio parere”.

Per finire con un “Abbiamo un buon collettivo e parecchie possibilità”. Rossi diceva di non essere ancora quello di due anni prima, altrimenti non sarebbe andato in affanno a fine partita e non si sentiva pienamente soddisfatto di se stesso, benché potesse ritenersi comunque contento. Lo era soprattutto del collettivo italiano, capace di creare 5 palle gol. Ed evidenziava soprattutto la capacità di controllare la partita e di saper agire di rimessa.

Ma ammetteva di non aver giocato bene. Tuttavia, era ottimista e sicuro di potercela fare, chiedendo altre occasioni, altre opportunità. Quindi, che non lo stroncassero! E se Bearzot e i giocatori in linea di massima si dimostravano soddisfatti, pur con le precisazioni e i distinguo particolari, come quello di Rossi, la stampa, alla vigilia preoccupata e timorosa circa le chances azzurre, tirava un sospiro di sollievo, non mancando di evidenziare qualche pecca in attacco e, tra le righe, una debolezza strutturale, di fondo, che era la fonte dello scetticismo “di base” riguardo alle possibilità della squadra. (Poi, che Bearzot potesse non essere d’accordo circa i dubbi sostanziali nutriti e avanzati relativamente alla squadra e avesse altre convinzioni e visuali, è altro discorso).

Emblematico, quindi il titolo di un articolo de “La Gazzetta dello Sport” pubblicato il 15 giugno a firma di Gianni de Felice, titolato appunto “Un sospiro di sollievo”. Esso iniziava direttamente con un “Tiriamo un profondo sospiro di sollievo. Il miracolo l’Italia l’ha sfiorato. O meglio: l’ha fatto a metà, che non è poco. Ha costruito almeno tre occasioni da gol nel primo tempo, quando i temuti polacchi non hanno mai impegnato Zoff. E a dieci minuti dalla fine hanno fallito due volte per un soffio il successo”.

I due più insidiosi assalti alla porta polacca venivano portati dallo stopper Collovati e del centrocampista Tardelli (sotto quest’ultimo punto Bearzot, diversamente della stampa, non avrebbe visto il bicchiere mezzo vuoto, costituito dalla circostanza che non avessero condotto le incursioni gli attaccanti – per quello non si stancava di ripetere che c’era da avere solo pazienza – ma il bicchiere mezzo pieno, ovvero che potessero agire in area avversaria anche difensori e centrocampisti, quindi, al momento, tutto bene). Ma, in generale, con lieve difformità rispetto a quanto pensato dai CT italiano e polacco, per i quali tutti i giocatori italiani avevano ben meritato, la stampa italiana distribuiva sufficienze a tutti i giocatori, tranne che a Rossi (soprattutto) e (ma in diversi non lo biasimavano più di tanto) a Graziani.

Per il primo si stigmatizzava quanto meno la mancanza di condizione e l’episodio durante il quale non era riuscito a mettere in rete un pallone apparentemente facile (questo sebbene qualche altro azzurro, come per esempio Altobelli, lo avesse visto scattante), per il secondo, a parte i primi venti minuti di un certo livello, si rilevava qualche imprecisione e la tendenza a retrocedere verso il centrocampo: nonostante se ne apprezzasse lo spirito di servizio nei confronti del collettivo.

Ma tuttavia da lui si esigeva maggiore incisività in attacco. In una parola, i gol. Infine, si lamentava quella che veniva valutata come la non perfetta sintonia tra le due punte azzurre. Ma tant’è. Quindi, questo pareggio obiettivamente, come anche rilevato dai giornali, suonava come una liberazione, dati gli scenari che si erano prospettati alla vigilia, certamente non esaltanti e confortanti, con il rischio e l’incubo di ritornare a casa anzitempo, ma costituiva anche una delusione perché la partita si sarebbe potuta vincere, anche se alla fine poteva apparire già soddisfacente il non aver perso.

A questo punto si sarebbe potuta fare una considerazione di carattere pratico, realistica, che suona pressappoco così: abbiamo superato in maniera indenne, anzi con qualche applauso e qualche onore, l’avversario più forte; ergo, le due successive partite ragionevolmente sono alla nostra portata e il peggio potrebbe essere passato. Teoricamente.

Nello stesso giorno, ma 4 anni prima, al mondiale argentino, si era registrata Italia – Germania Ovest, finita 0 a 0. Austria, Germania Ovest, Italia e Olanda: un girone il cui vincitore va in finalissima con chi arriva primo nell’altro gruppo. Sarebbe utile una vittoria. Ma finisce 0 a 0. Un pareggio ingiusto per gli italiani: due grandi occasioni per Bettega, un palo di Cabrini, un gran colpo di testa di Zaccarelli respinto da uno strepitoso Mayer. Catenaccio tedesco che regge, pareggio che non accontenta un’Italia che ha dominato.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)

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