Lo Scudetto dell’Inter nel 1971
Dopo essersi tenuto Il Mondiale in Messico, il campionato 1970 – 71 avrebbe potuto “cantare” ancora Cagliari (del resto Scopigno diceva che l’anno programmato per lo scudetto del Cagliari era il 1971).
La squadra era quella dell’anno precedente, a esclusione di Zignoli, che il Milan richiamava in Lombardia. Venivano acquistati da parte dei sardi De Petri dal Lanerossi Vicenza, terzino che Scopigno conosceva, per sostituire Zignoli (ma il nuovo elemento finiva vittima di un grave infortunio e non rese per quanto si sperava, giocando solo 12 partite), e Giampaolo Menichelli, fratello del ginnasta olimpico Franco, al fine di sostituire Riva dopo l’infortunio di Vienna.
Ma ormai Menichelli, essenziale per la conquista dello scudetto della Juve nel 1967, era al declino: a Cagliari avrebbe giocato 8 partite e poi a fine stagione si sarebbe ritirato. Nelle prime 4 giornate del campionato il Cagliari faceva paura. Le vittorie contro Sampdoria, Lazio e, soprattutto, contro l’Inter erano biglietti da visita pesanti e minacciosi nei confronti delle avversarie.
È vero che si era registrato il mezzo passo falso casalingo contro il Varese, ma la vittoria a Milano il 25 ottobre 1970 contro l’Inter fece impressione e scalpore per la forza e la sicurezza manifestata dai sardi. Un 3 a 1 inequivocabile, un dominio assoluto, una straordinaria esibizione di potenza coronata da una doppietta di Riva e da un gol di Domenghini, appena “mitigati” da una rete interista di Mazzola a due minuti dal termine. Si racconta che i giocatori dell’Inter, o almeno alcuni di loro, avessero chiesto a Riva di non “esagerare” per evitare un’imbarazzante umiliazione. Dopo questa partita Riva per Brera diventerà “Rombo di tuono”. Quella partita forse rappresenta la più bella recita del Cagliari di quell’epoca dello scudetto.
Ma era destino che quella vetta titanica fungesse in un certo senso anche da inizio della fine di quel grande Cagliari (per quanto il campionato 1971 – 72, con il quarto posto finale e con il ritorno a pieno ritmo di un Riva quasi pienamente rimesso a nuovo e incisivo come non mai, capace, inoltre, di divenire vice capocannoniere con 21 reti, potesse ancora destare sensazioni di forza elevata e regalare illusioni di un futuro se non di vertice, almeno di radiosa, vera, bella grandezza).
Il 31 ottobre a Vienna Hof letteralmente spaccava una gamba a Riva. E per quanto questi l’anno dopo potesse riapparire “rinato” atleticamente, comunque, il danno sarebbe stato non del tutto recuperabile, incidendo sulla sua carriera, perché un tendine era stato accorciato. La stagione 1970 – 71 era compromessa sia per il giocatore, che, comunque, sarebbe riuscito a giocare in campionato complessivamente 13 partite con 8 gol, sia per il Cagliari, che era possente e a tratti inarrestabile, ma troppo Riva dipendente, anche se fino alla fine del girone d’andata la squadra in qualche modo reggeva (risultava ancora terza classificata).
Ma poi doveva prendere atto che senza Riva era carente di tanto, di troppo. Questo, senza escludere qualche girata a vuoto, a prescindere dalla presenza o meno del fuoriclasse di Leggiuno, come quando si assisteva alla sconfitta bruciante contro il Milan per 4 a 0, evento agevolato, però, da qualche errore di Albertosi. Peraltro, riguardo al Cagliari, una non proficua decisione “di carattere generale”, in prospettiva del possibile conseguimento di grossi risultati sportivi a venire, è l’abbandono con la stagione 1970 – 71 del fortino dell’Amsicora per eleggere come propria “casa” il Sant’Elia (altre questioni sono le possibili opportunità di carattere economico che siffatta scelta sottintendeva). Diverse partite negli anni precedenti erano state vinte proprio perché giocate all’Amsicora.
Non sbaglia, credo, chi dice che il Cagliari non ha più vinto altri scudetti anche per causa dell’abbandono del vecchio stadio, a parte la circostanza dell’infortunio di Riva a Vienna. Ma escluso questo dato, anche il Napoli nel 1970 si rende protagonista di un ottimo inizio di campionato. Quest’ultimo, sotto la guida di Giuseppe Chiappella, si rafforza con giocatori come Sormani, Ghio, Ripari e Abbondanza, e sino all’ottava giornata (cronologicamente, siamo a fine novembre 1970) conduce solitario in classifica (e, comunque, sino alla ventunesima giornata – 14 marzo 1971 – riesce a mantenersi a non più di 3 punti dalla vetta.
Non si dimentichi che annovera gente come Hamrin, Sormani, Altafini, Juliano, Zoff, Pogliana, Panzanato o Bianchi. Successivamente, il 21 marzo, si gioca Inter – Napoli, scontro diretto per designare chi nel momento doveva fungere da prima e più diretta contendente del Milan. La partita si rivela cruciale per la stagione in corso ed è caratterizzata, nella seconda frazione di gioco, da decisioni arbitrali che appaiono quantomeno discutibili anche agli spettatori neutrali, dopo l’ormai famosa incursione di Mazzola e compagni negli spogliatoi dell’arbitro alla fine di un primo tempo, chiusosi con gli azzurri in vantaggio per 0 a 1, a cui segue l’assegnazione di un rigore all’Inter piuttosto dubbio.
Il Napoli a fine stagione fa suo un ottimo terzo posto. Il campionato, quindi, passa agli annali del calcio per una lunga lotta tra Inter e Milan per contendersi il titolo. Le due squadre ai nastri di partenza del campionato sono chiaramente tra le più accreditate per il titolo, come pure la Juve.
Quest’ultima, per inciso, assume come allenatore un ex recente stella della grande Inter, Armando Picchi. Potrebbe essere l’inizio di una valente carriera da allenatore. Poco effetto fa la voce che egli, ancora giovane, starebbe “scaldando” la panca al suo ex tecnico in maglia nerazzurra Helenio Herrera. Questi non sarebbe mai approdato alla vecchia Signora. Purtroppo, invece, il 26 maggio un terribile male stronca Picchi; le prime avvisaglie della patologia a gennaio, poi, a poco a poco, gli eventi precipitano.
La Juve finisce in mano all’allenatore della Primavera Cestmir Vycpalek. I bianconeri finiranno quarti dopo una campagna acquisti sontuosa, ancorché ai fini della conquista dello scudetto, ancora non risolutiva. Il presidente Boniperti e il general manager Italo Allodi, ex grande Inter, conducono a Torino, fra gli altri, i romanisti Capello, Landini e Luciano Spinosi. Arrivano anche Zaniboni, Marchetti, Gian Luigi Savoldi, rientrano dai prestiti, rispettivamente da Varese e Palermo, Roberto Bettega e Franco Causio. Una rivoluzione che per il momento non regala la vittoria finale, ma che pone solide basi per successivi trionfi in campionato. Il Milan si rafforza con Zignoli, Benetti e Biasiolo.
L’Inter opera almeno due rivoluzioni che hanno come protagonista l’allenatore schierato inizialmente, di cui una, suo malgrado, con stagione in corso. Come allenatore presenta HH2, ovvero il ginnasiarca paraguaiano Heriberto Herrera, “sintetizzato” con la “formula” di cui sopra per distinguerlo dal più noto HH, ovvero Helenio Herrera (Brera parlava di “accacchino” e “accaccone”).
Heriberto Herrera forse non era eccessivamente amato nell’ambiente nerazzurro in quanto allenatore di quella Juve “operaia”, senza tanti nomi eccelsi che nel 1967 aveva vinto, pur non avendo il migliore organico fra tutte le squadre in lizza, un titolo significativo, storico, forse ormai ingiustamente dimenticato anche dagli stessi bianconeri, che con il tempo si sono abituati a scudetti più “vistosi”, tronfi, o più “densi” per via di certe dinamiche di conquista degli stessi.
Quello del ’67 è scudetto che l’Inter perde a Mantova per via di un errore divenuto proverbiale da parte del proprio portiere Sarti (ormai la storia calcistica l’ha archiviata come la papera di Sarti) e che “convenzionalmente” segna la fine della grande Inter di Herrera e di Angelo Moratti, che nel giro di poche settimane si vede sfuggire anche Coppa dei Campioni e Coppa Italia.
La Juve di Heriberto Herrera, certamente meno appariscente come organico rispetto ai nerazzurri, ebbe il grandissimo merito di essere se stessa, di procedere, comunque, per la propria strada, senza farsi condizionare o impressionare della potenza altrui, di fare dell’umile lavoro di gruppo il proprio inno di battaglia: lo scudetto solo per questi valori era un giusto premio, al di là degli sbagli o dei cali dell’Inter. Successivamente Heriberto Herrera sarebbe saltato dalla panchina bianconera perché osteggiato per la sua ferrea disciplina professionale ed etica, che lo che lo ha condotto a fratture con giocatori dallo spirito più libero (si pensi a Sivori, ceduto al Napoli), ma aveva il privilegio di accasarsi presso un’altra grande squadra, l’Inter che nel frattempo passava di proprietà a Ivanoe Fraizzoli e che rompeva con Helenio Herrera, il quale transitava alla Roma a peso d’oro e che “pagava” il crollo del 1967.
Bisogna riconoscere che Heriberto Herrera non si è visto riconosciuto né nella Juve prima, né all’Inter dopo i propri grandi meriti. È stata un persona di grande spirito e cultura; come professionista è stato uno che – all’epoca non si poteva saperlo – ha anticipato i tempi di 40 o 30 anni. Il suo “movimiento”, se vogliamo è l’antesignano del tiki taka che tanta fortuna avrebbe incontrato molto tempo dopo nel Barcelona e che tanti trionfi avrebbe recato a quest’ultima.
Ma non solo: la severa disciplina professionale, tutto lavoro, fatica ed esercizio, non è stata l’anticipazione di certe severe regole di squadra delle ultime generazioni calcistiche? O si è davvero convinti che certe “cose” le abbiano “inventate” così, ex abrupto, Sacchi, Lippi, Guardiola o Conte? Il fatto è che Heriberto ai suoi tempi era troppo “diverso” con le sue idee e metodologie, appariva “rivoluzionario” per un lato e “feroce” dall’altro.
Per lui prima ancora del nome blasonato del giocatore contavano il sudore dell’applicazione, il sacrificio negli allenamenti, lo spirito collettivo nelle partite. All’Inter della stagione 1970 – 71 tutto questo ebbe effetti dirompenti. Intanto HH2 pone in essere un’autentica rivoluzione nel calciomercato mercato interista. Questa è la prima rivoluzione a cui ho alluso sopra.
La grande Inter perde qualche pezzo e rischia di essere liquefatta. Come stopper egli vuole Mario Giubertoni, che da anni si distingue nel Palermo come marcatore preciso ed efficace. Insieme con lo stesso arriva, sempre dal capoluogo siciliano, Pellizzaro (che a novembre rientra tra i rosanero).
Ma per l’operazione Giubertoni, l’Inter si priva della colonna della grande Inter Aristide Guarneri, che, per un motivo o un altro, non va in cambio in Sicilia, in “B”, e preferisce prendere la strada di casa di Cremona, ma in serie “D”.
Viene giubilato un altro “grande” dell’Inter dei trionfi morattiani, ovvero Luis Suarez, dirottato alla Sampdoria, avendone in sostituzione Mario Frustalupi, un grande regista, forse in carriera troppo sottovalutato, che a Milano, comunque, non avrà soverchia fortuna e che verrà nel 1972 ceduto alla Lazio, dove “esplode” come uomo d’ordine in campo e come uomo di spogliatoio, capace di fare da filtro tra i due clan contrapposti della Lazio di Maestrelli (nel 1975, posteriormente alla malattia del tecnico dello scudetto laziale, anche i biancocelesti inopinatamente si “libereranno” del centrocampista, mandandolo a Cesena, dove dimostrerà di non essere ancora finito e dove sarà uno dei protagonisti della straordinaria stagione dei romagnoli).
Ma, in generale, al di là delle partenze di Guarneri e Suarez, Herrera vorrebbe mettere in sordina, in pratica quasi accantonandoli, i vecchi leoni (o una parte di essi) della grande Inter di pochi anni prima (ne fanno le spese in particolare Bedin, Jair e Corso), tentando un ricambio generazionale.
Ma il progetto di Heriberto non riesce: a parte la grave sconfitta casalinga alla quarta giornata contro il Cagliari, di cui sopra si è detto, il successivo turno, il quinto, l’8 novembre 1970, l’Inter subisce la grave umiliazione nel derby, perdendo 3 a 0. Le prime partite dei nerazzurri sono per lo più negative e i pronostici volgono al peggio. A quel punto il nocciolo duro della grande Inter chiede o, comunque, convince, direttamente o indirettamente, Fraizzoli a esonerare Herrera. Gli subentra il tecnico in seconda Gianni Invernizzi, che avrebbe dovuto operare “temporaneamente”. Questa è la seconda rivoluzione interista. Ma il nuovo tecnico lega con la squadra, recupera la “vecchia guardia”, che lo ritiene congeniale alle proprie aspettative, e rigenera l’Inter.
La stessa riparte con Vieri in porta, Bellugi ottimo terzino destro che si accompagna a Facchetti a sinistra, Bedin viene riproposto e si conferma solito grande mediano, inizialmente messo da parte da Heriberto per dar largo a Fabbian, Giubertoni agisce da stopper, protetto, dal “nuovo” libero Burgnich, richiamato al posto di Cella, che antecedentemente aveva goduto i favori di Herrera. Burgnich sarà portentosa sorpresa da numero 6. Bertini supporta a centrocampo Mazzola, che fa da regista, Jair ritorna la veloce ala di sempre, Corso, che non deve più temere i due Herrera, che per motivi diversi, volevano scartarlo ambedue, giganteggia a centrocampo, libero di esprimere tutta la propria immensa, innata classe, e tutti mettono a suo agio Boninsegna, che si consacra definitivamente come superbomber, capace di segnare 24 reti in 28 partite.
Tutti i giocatori danno l’anima per giungere alla vittoria del campionato, aiutando Invernizzi in una grande impresa, anche per dimostrare a Herrera di non essere in declino. Il girone di ritorno sarà eccezionale, grazie a un sublime Corso e l’Inter inanella vittorie su vittorie che spingono sempre più in avanti la squadra meneghina. Questa con la sua costanza approfitta anche del calo del Milan, che fino a un certo punto del campionato sembrava potercela fare. L’Inter, vincendo lo scudetto che sembrava a un certo punto pregiudicato, in un certo senso si riscatta rispetto alla stagione 1966 – 67, quando aveva perduto un titolo già quasi vinto.
È l’ultimo colpo di coda della grande Inter di sempre; la vittoria matematica a 46 punti si appalesa il 2 maggio 1971, giorno del compleanno del presidente Fraizzoli, e a due settimane dal termine del torneo; l’anno successivo la compagine milanese giunge a un passo dalla vittoria in Coppa dei Campioni. Nel frattempo si segnalano due futuri “grandi” nerazzurri: Oriali, che inizia da terzino e che poi sarà figura eclettica dei nerazzurri per più di un decennio, e il portiere Bordon, ambedue futuri campioni del mondo in Spagna nel 1982.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)