AGENZIACOMUNICA.NET (Franco Seccia) – Un nome, una leggenda: Vittorio Pozzo l’inventore del calcio italiano, il mitico allenatore della nazionale italiana di calcio vincitrice di due titoli mondiali consecutivi, nacque a Torino il 2 marzo 1886. La sua una famiglia modesta di origini contadine delle campagne biellesi. Vittorio studiò fino a conseguire la maturità liceale per poi intraprendere gli studi in lingue straniere. Ma la sua vera passione restava il calcio che in quell’epoca parlava solo inglese. Fu anche un discreto calciatore in formazioni francesi, svizzere e inglesi.
A lui si lega la storia del Torino Football Club e la nascita della Figc, la Federazione italiana gioco calcio. Certo negli anni di Vittorio Pozzo il calcio non conosceva l’orrendo mercato e il giro di miliardi che fa rotolare quel pallone. Lui stesso rifiutò gli emolumenti offertigli per il ruolo di commissario tecnico della nazionale di calcio. Credeva nello sport e nel calcio come una disciplina che forgiava i giovani e li rendeva fieri servitori del proprio paese. Lui, tenente degli alpini nella prima guerra mondiale, allenava i “suoi ragazzi” con metodi che potevano lasciar credere all’addestramento di giovani in divisa.
Indro Montanelli così diceva di questo grande allenatore: “Pozzo aveva del calcio un concetto austero e da buon ufficiale degli alpini concepiva la squadra come un plotone che doveva obbedire ai suo ordini e affrontava la sua missione con piglio sacerdotale tanto che a parlare con lui di calcio era come confrontarsi col cardinal Martini sulla Bibbia”. Quando le cose non andavano per il verso giusto era pronto a lasciare ad altri il compito assegnatogli e tornava al suo lavoro alla fabbrica dei pneumatici Pirelli. Ma ogni volta c’era bisogno di lui che richiamato accettava sempre rifiutando onori e prebende.
Nell’epoca in cui la promiscuità internazionale era malvista, difese l’ammissione in nazionale di giovani oriundi italoargentini militari nell’esercito italiano affermando “Se possono morire per l’Italia, possono anche giocare per l’Italia”. Restò fermo nelle sue idee anche da giornalista sportivo e non commentò il suo stupido allontamento dalla nazionale di calcio quando il nuovo corso politico italiano trovò imbarazzante il suo nome legato al titolo dell’Italia per due volte campione del mondo negli anni dell’”era fascista”.
L’ultima sua commovente apparizione pubblica fu per riconoscere i “suoi ragazzi” del Torino accartocciati tra le lamiere del Fiat G.212 precipitato a Superga. Sono occorsi quarant’anni dalla morte di Vittorio Pozzo perché alcuni stadi di calcio italiani fossero dedicati alla sua memoria.
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