GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Sono trascorsi quarant’anni dal 20 febbraio del 1979, giorno in cui l’Italia tutta perde un uomo che ha scritto la storia di questo paese, una storia che va oltre il calcio. Si, perché quel giorno è venuto a mancare non un allenatore o un giocatore, fatto che sarebbe stato comunque grave, ma viene a mancare una filosofia, un punto di riferimento, un punto di partenza e al contempo un punto di arrivo. Quel giorno di quaranta anni fa è mancato Nereo Rocco, un nome che ancora oggi sa di inventore, di carisma, di bontà, di vittoria, di umorismo, di sacrificio… che sa di calcio “vecchie maniere”, il calcio che piace a noi.
Quel giorno il calcio si è impoverito… quel giorno, in un letto dell’ospedale maggiore di Trieste, l’Italia ha perso il suo “Paron”.
Unione Sportiva Triestina – 1930s – Nereo Rocco
Nereo Rocco nasce a Trieste il 20 maggio 1912, in una famiglia piuttosto agiata di origini austriache. Il cognome originale, Roch, nel 1925 viene modificato in Rocco per le note vicende legate alle restrizioni vigenti in quel periodo verso coloro che possedevano nomi e cognomi non italiani. E’ stato un ottimo calciatore e, nel ruolo di mezz’ala, a soli diciotto anni diventa titolare della Triestina. Vestirà la maglia alabardata sino al 1937: otto stagioni, 232 partite, 66 reti. Passa poi al Napoli dove in tre anni disputa 52 incontri segnando sette gol. Termina la carriera di calciatore professionista al Padova in Serie B dove rimane per due stagioni, dal 1940 al 1942, per poi terminare l’ultima stagione in C con il Gruppo Sportivo 94° Reparto Distrettuale, una squadra con sede a Trieste. Nel dopoguerra, per un breve periodo, diviene anche allenatore e giocatore della Libertas Trieste in serie C.
Nel 1934 gioca anche con la Nazionale, l’incontro con la Grecia, ma poi non risulterà tra i convocati che quel mondiale lo vinceranno.
Ottimo calciatore si diceva, ma è come allenatore che riesce ad esprimere il meglio di se.
Nella stagione 1946/47 la Triestina termina all’ultimo posto in classifica ma viene ripescata in relazione della situazione molto difficile in cui la città si trova nel dopoguerra. Sulla panchina si siede Rocco e, nonostante la sua giovane età e grazie al suo innovativo e se vogliamo rivoluzionario approccio, un modulo difensivo spiccato insieme alla figura di un battitore libero, ottiene un miracoloso e imprevedibile secondo posto alle spalle del Grande Torino. È già per tutti il “Paron”…
Passa poi alla guida del Treviso in Serie B e poi di nuovo in A con la Triestina ma viene esonerato nel 1953-54. Dal 1954 al 1961 è l’allenatore del Padova che porta nelle posizioni più alte della classifica guadagnandosi la chiamata del Milan.
Con il Milan si apre un capitolo leggendario: pronti e via …ed è subito scudetto al primo anno e, nella stagione successiva, “alza” la prima Coppa dei Campioni del Milan, e di tutto il calcio italiano, battendo a Wembley il Benfica di Eusebio grazie alle due reti, a distanza l’una dall’altra di dodici minuti, di José Altafini che ribalta il risultato.
Si trasferisce al Torino per tre stagioni per poi ritornare al Milan nel 1967 per terminare quanto aveva iniziato. Conquista di nuovo lo scudetto a cui aggiunge la Coppa delle Coppe.
La stagione successiva vince ancora la Coppa dei Campioni in finale contro l’Ajax di Cruijff grazie a una tripletta di Pierino Prati e arriva anche l’affermazione a livello mondiale vincendo la Coppa Intercontinentale in una finale davvero epica con gli argentini dell’Estudiantes.
Guida i meneghini per ulteriori tre annate, portando “a casa” ancora una Coppa delle Coppe nel 1972-1973 e le Coppe Italia nel 1971-1972 e nel 1972-1973.
Nel 1974 le strade di Rocco e il Milan si dividono e il tecnico passa alla Fiorentina per una sola stagione.
In seguito accetta l’incarico di direttore tecnico nel Padova e poi per due stagioni al Milan. Con i rossoneri torna anche in panchina nel 1977 quando vince la Coppa Italia.
Con dieci trofei ufficiali vinti con il Milan è ancora oggi l’allenatore più vincente della storia della società meneghina, alla faccia del “catenaccio”.
Un uomo descritto come apparentemente burbero ma anche tremendamente buono e simpatico… “Era un uomo che amava scherzare e quindi mi spiace ricordarlo con toni patetici. Preferisco che si ricordi sempre un Rocco con il sorriso sulle labbra” (Cit. Gianni Rivera, l’Unità, 21 febbraio 1979).