GLIEROIDELCALCIO.COM
Per le vie di Vila Fiorito, quel 20 Ottobre del 1976, ci doveva essere una strana aria di rivalsa. Uno dei suoi figli, quello che diventerà il più illustre, stava per esordire nel massimo campionato argentino. Diego Armando, classe 1960, non ancora sedicenne, era stato convocato dal mister Montesi per sedersi sulla panchina dell’Argentinos Juniors.
Diego, quel giorno, uscì di casa intorno alle 10.30, con un pantalone abbastanza “particolare” e con la convinzione che, da quel momento, sarebbe entrato nel calcio dei grandi.
Per dirla tutta, Montesi già lo aveva provato, ripetutamente, con la formazione titolare, giusto per tastare la tenuta di quel fenomeno riccioluto. E Diego aveva sempre risposto presente, grazie alla sua tecnica sopraffina e a quella voglia di emergere che lo spingeva oltre ogni limite.
Quel giorno di Ottobre si giocava l’incontro contro il Talleres, altra formazione di Primera Division. Prima di lui, nessuno era riuscito a calcare il terreno di gioco così precocemente. Dopo di lui, riuscirà a battere quel record soltanto Aguero.
Quando l’allenatore lo chiamò per entrare, gli disse soltanto tre semplici parole: “Nene, a la cancha!” (Ragazzino, vai in campo).
L’esordio di Maradona fu un esordio di un giovanotto catapultato nel calcio dei grandi. Diego non fu particolarmente incisivo, ma si guadagnò comunque la fiducia del suo allenatore. Già si parlava un gran bene di quel fantasista dal sinistro magico e, infatti, a quella presenza ne seguirono altre, sempre con un minutaglie maggiore.
La carriera del più grande calciatore di sempre iniziò proprio su quel terreno di gioco. Da quel momento inizierà una parabola di sport e di vita che condurrà El Pibe verso la consacrazione dell’immortalità sportiva.