GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Giovannone) – Quella del Bologna Football Club 1909 è una storia gloriosa e costellata di successi, che racconta di ben sette scudetti conquistati principalmente tra il 1925 ed il 1941, mentre l’ultimo conquistato nella stagione 1963-1964.
La serie di titoli vinti nel periodo antecedente la Grande Guerra, permette al Bologna di diventare «lo squadrone che tremare il mondo fa» e di entrare, di diritto, tra le società italiane più vincenti di sempre. I fasti cominciano però a sbiadirsi a partire dal dopoguerra quando si apre un periodo di limbo (caratterizzato, però, anche da piazzamenti d’onore) che termina soltanto all’alba dei prosperosi anni ’60. Siamo negli anni del triumvirato Juventus-Inter-Milan che, si spartiscono in maniera più o meno equa gli scudetti, e lasciano le briciole alle altre squadre. Tra queste si inserisce il Bologna, che riesce a compiere un’impresa, vincendo un tricolore del tutto inaspettato, in un periodo, come anticipato, caratterizzato da un forte oligopolio.
Ci proponiamo di rivivere, proprio, la trionfale e rocambolesca cavalcata del Bologna nella stagione calcistica di serie A del 1963/1964. Si tratta di una storia che vale la pena rimanere ad ascoltare.
La squadra è presieduta dall’imprenditore Renato Dall’Ara, che rimane alla guida del club per un trentennio, dal 1934 al 1964 precisamente, una militanza estremamente lunga e gloriosa, roba d’altri tempi, se pensiamo agli schizofrenici avvicendamenti in capo alle società, al giorno d’oggi.
È doveroso iniziare il racconto, introducendo proprio la figura di Renato Dall’Ara, classe 1892, emiliano Doc, nato a Reggio Emilia.
Renato è un prospero imprenditore self made di provincia, che opera nel settore della maglieria, un “magliaro” come si dice in gergo, un imprenditore dai modi spicci, semplici, qualcuno lo bolla, addirittura, come un sempliciotto, per via delle sue espressioni verbali non esattamente in linea con le regole impartite all’Accademia della Crusca: «Sine qua non, siamo qua noi!», «Fiat lux, faccia lui!», «Tot capita, capitano tutte a noi», sono solo alcune delle chicche che ci regala il patron rosso blu nel corso degli anni.
Come anticipato, dopo i numerosi titoli conquistati nei primi anni della sua presidenza (Dall’Ara porta a Bologna ben quattro titoli nei primi sette anni alla guida del club), il Bologna fatica molto a ritrovare la strada del successo, ma Dall’Ara mantiene un buon livello tecnico della squadra, continuando ad investire. Nonostante le difficoltà, non rinuncia all’idea di restituire al Bologna il blasone che merita. Proprio all’inizio degli anni Sessanta raccoglie i frutti della sua perseveranza, le chiavi del successo vanno ricercate nella cura di un settore giovanile di eccellente livello, nel potenziamento di una rete di osservatori in grado di accaparrarsi i migliori talenti sparsi in Italia e non solo, e, soprattutto, nel suo innato senso degli affari. Pur non essendo sempre stato uomo di calcio, ha delle intuizioni brillantissime, tra cui quella di comprendere che soltanto un uomo può riportare il Bologna sul gradino più alto, e quell’uomo risponde al nome di Fulvio Bernardini.
Renato e Fulvio non si piacciono, sin dall’inizio sono il giorno e la notte, ma comunque si rispettano in nome del bene comune.
Al momento di ingaggiare Bernardini, Dall’Ara afferma «Mi hanno parlato bene di quel Bernardini … ma sì, ma certo, ha vinto lo scudetto con la Fiorentina. Bella forza, con Julinho e Montuori lo vincevo anch’io …».
Bernardini è la negazione di Dall’Ara, romano di nascita, è un tipo distinto, acculturato (ha una laurea in scienze politiche conseguita dopo aver appeso gli scarpini al chiodo), dall’aria vagamente snob, anche per via delle sue origini aristocratiche. Ex grande calciatore, vanta diverse presenze in Nazionale dove, però, viene tagliato fuori da Pozzo, CT dell’epoca, semplicemente perché seppur palesemente troppo bravo, risulta essere (e qui se ne potrebbe parlare all’infinito) troppo individualista per cantare nel coro di una squadra. Da allenatore professa un calcio di proposta, spumeggiante, ma comunque attento alla fase difensiva, tanto che le sue squadre sono caratterizzate, li dietro, da vere e proprie linee Maginot. Bernardini, soprannominato da Gianni Brera il “Dottor Pedata”, è l’uomo che dopo aver portato lo scudetto per la prima volta a Firenze nel 1956, riesce a bissare la vittoria di un tricolore, col Bologna, al di fuori dell’asse Torino-Milano.
Per via dei caratteri dissimili non tardano ad arrivare i dissidi tra il presidente e l’allenatore.
Dall’Ara, abituato a rapporti informali coi i propri dipendenti, confida a persone a lui vicine: «Quell’uomo lì quasi quasi lo odio. Mai che mi venga a far visita, mai che mi racconti chi farà giocare domenica, mai che mi metta in squadra assieme Vinicio e Nielsen, per la miseria … E poi il suo calcio poetico del cavolo … Io voglio il catenaccio metropolitano, altro che i suoi fioretti di San Francesco».
Dall’altra parte Bernardini replica: «Se vuole un tattico, prenda Rocco … Se vuole un servo che vada a giocare a briscola nel suo ufficio, prenda una delle sue segretarie … E Vinicio insieme a Nielsen non lo faccio giocare perché non mi va e mai mi andrà, punto e basta».
Le prime due stagioni del “Dotur” (così lo chiamano Bernardini, i tifosi rosso blu) sono buone e rappresentano la base per il successo del 1964. Il Bologna si piazza per due volte al quarto posto, ma la cosa davvero importante, è che gli automatismi cercati dal tecnico romano cominciano ad entrare nel DNA dei felsinei. Il valore aggiunto di quella meravigliosa annata è però dato dalla campagna di rafforzamento estiva. Ai campioni già presenti in rosa, come Nielsen, Pascutti e Bulgarelli, si aggiungono il nazionale della Germania Helmut Haller (voluto fortemente da Dall’Ara), e il portiere William Negri, già nel giro della nazionale azzurra.
La stagione parte bene, benissimo anzi, e da subito salta agli occhi la grande intesa tra il tedesco Haller e la coppia d’attacco Nielsen-Pascutti. Questi ultimi, sin dall’inizio, supportati anche dall’ottimo esterno Perani, mettono a segno molti goal e proiettano la squadra verso le posizioni di vetta. Il primo passo falso arriva, però, con i diretti concorrenti del Milan: il Bologna gioca in casa ed è avanti per due reti a zero, si tratta di una occasione d’oro per distanziare i campioni d’Europa in carica, ma il braccino corto prende il sopravvento, e i rosso neri riescono, grazie ad un’autorete di Capra, a pervenire al pareggio al novantesimo. La botta si sente eccome, tre giorni dopo, nel turno infrasettimanale, la squadra di Bernardini è di scena a Genova, sponda blucerchiata, e rimedia l’unica sconfitta di un girone di andata, comunque, eccellente. All’ultima giornata, prima del giro di boa, il Bologna asfalta in casa la malcapitata Roma con un roboante 4-0, mentre il Milan ha la meglio sui cugini interisti nel derby (2-0). La classifica recita: Bologna e Milan appaiate a 27 punti, Inter 25.
In quella stagione un’altra carta sembra giocare a favore dei ragazzi di Fuffo Bernardini (così lo chiamano dalle parti di Testaccio), infatti le milanesi sono entrambe in Coppa dei Campioni e l’impegno, inevitabilmente, si fa sentire sulle gambe. Ne approfitta quindi il Bologna, che arriva alla 23ma giornata a quota 36 punti, più due sull’Inter e più 3 sul Milan.
Sembra davvero l’anno buono, la gente rosso-blu comincia a credere con convinzione nel tricolore, quando, invece, il 4 di marzo del 1964 accade l’inverosimile e piomba sulla testa dei felsinei un’accusa pesantissima lanciata dalla Federazione Giuoco Calcio, che attraverso un comunicato ufficiale dichiara:
«Le analisi effettuate dalla competente commissione sono risultate, all’analisi per le sostanze anfetamine-simili, positive per i cinque giocatori del Bologna Fogli, Pascutti, Pavinato, Perani e Tumburus, sottoposti a controllo dopo la partita Bologna-Torino del 2 febbraio scorso …».
Una vera e propria tegola, la Federazione commina al Bologna la sconfitta 0-2 col Torino (la partita ai tempi regolamentari finisce 4-1 per i rosso blu) ed un punto di penalizzazione.
La situazione sembra precipitare quando, nello scontro diretto del 29 marzi nell’allora “Comunale” di Bologna, i padroni di casa soccombono di fronte all’Inter versione corsara, grazie alle reti di due giocatori per niente male, come Corso e Jair.
Il Bologna però non demorde e, oltre a presentare ricorso per la vicenda doping, continua a tenere testa all’Inter in classifica, mentre il Milan si defila dalla corsa scudetto, per via di un paio di risultati negativi. Nonostante la tenacia dei felsinei, alla quart’ultima di campionato lo svantaggio nei confronti dei nero azzurri sale a tre punti, in virtù del pareggio che i ragazzi di Bernardini rimediano a Mantova e della vittoria interista contro la Juve. Soltanto l’accoglimento del ricorso del Bologna al CAF può risistemare una classifica ormai compromessa. Il miracolo avviene il 16 di maggio, quando l’appello dei bolognesi viene accolto, prosciogliendo tutti i protagonisti della vicenda e dando alla stessa i contorni di un grossolano complotto per favorire Milano. Quello che si legge negli incartamenti della Magistratura non lascia, infatti, spazio a molti dubbi: viene riscontrata, oltre ad una compromessa conservazione delle provette contenenti i campioni, una quantità di anfetamine, presenti negli stessi, così elevata da uccidere un cavallo (si un cavallo!). A corredo di questa sentenza, come ulteriore suffragio morale (non che ce ne fosse bisogno), arrivano anche le parole dell’allenatore del Torino, sconfitto in occasione della partita incriminata: «Il Bologna quel giorno non aveva drogati, aveva super giocatori e basta», firmato Nereo Rocco, non uno qualunque.
Con il rovesciamento della sentenza, Bologna ed Inter si trovano dunque, ora, appaiate al vertice, e ci rimangono fino al termine del campionato, che chiudono con 54 punti ciascuna. È necessario uno spareggio che si disputa allo stadio Olimpico di Roma il 7 giugno 1964, che sembra essere davvero l’ultimo atto di un torneo, tanto intricato quanto avvincente. Ma, all’improvviso, un evento funesto sconvolge la vigilia, quando il Presidente Dall’Ara, durante un’accesa discussione proprio per la definizione dei dettagli dello spareggio, con Angelo Moratti, patron dell’Inter, e alla presenza del Presidente di Lega Perlasca, viene colto da un infarto che è letale al suo cuore già malandato. Un evento che getta nello sgomento una città intera, che da una parte piange la perdita del grande Presidente, e dall’altra freme per un incontro che sa già di leggenda (l’Inter nel frattempo si laurea per la prima volta Campione d’Europa, battendo, in finale di Coppa Campioni, il Real Madrid).
I funerali del povero Dall’Ara si svolgono il 5 giugno, e la Lega non ne vuole sapere di posticipare l’incontro di qualche giorno, in modo da permettere ai giocatori rosso blu di partecipare alle esequie del loro Presidente. Soltanto Pascutti, infortunato, partecipa alla Messa, in rappresentanza della squadra, che rimane, invece, concentrata nel ritiro di Tor di Quinto, con l’obiettivo di regalare all’amatissimo Presidente, da poco scomparso, lo scudetto che lo avrebbe reso felice.
Arriva il 7 di giugno e, mentre Helenio Herrera decide per la continuità, schierando l’undici laureatosi giorni prima campione d’Europa, Fuffo Bernardini tenta una mossa a sorpresa, quella di schierare al posto di Pascutti, il terzino Capra, con l’obiettivo di rafforzare la difesa, di fronte agli attacchi dei fortissimi avanti interisti. La partita, che si gioca in uno stadio infuocato ed in un clima torrido, è equilibrata nel primo tempo, mentre volge a favore del Bologna nella seconda parte, quando l’eroe che non ti aspetti, Fogli, oltre che a francobollare con successo il fuoriclasse nero azzurro Suarez, mette dentro una punizione dal limite dell’aria, quando manca ormai solo un quarto d’ora al termine. Ci pensa poi Nielsen al minuto ’83 a raddoppiare e a chiudere i giochi: Il Bologna è campione d’Italia 1963/64 a distanza di 23 anni dall’ultimo titolo raggiunto.
La gioia del popolo rosso blu è tanta, ma è tanta, alla stessa maniera la tristezza di non poter condividere il successo con colui che ne è l’artefice, quel reggiano stranamente innamorato del Bologna, a volte contestato, a volte, addirittura, accusato di essere attaccato al soldo.
Il tempo è signore caro Renato, e da quel 7 giugno 1964, tu come pochi altri, sei diventato immortale.
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Il biglietto della partita appartiene alla Collezione di Valerio Tassoni, le altre foto sono presenti in internet
Innamorato del calcio, tifoso della Roma e di professione bancario. Sono qui perché mi hanno sempre appassionato il giornalismo e la scrittura.
Ad maiora.