GLIEROIDELCALCIO.COM (Pierpaolo Viaggi) – C’era poi chi faceva rilevare che la moglie di Boyè era la sorella di Renè Pontoni, il famoso centrattacco argentino recentemente trasmigrato in Colombia. Il quale, qualche tempo addietro, aveva scritto al cognato informandolo di avere un ginocchio in pessime condizioni, ma che si recava in Colombia dove gli avevano offerto fior di quattrini: non era perciò da escludere che Boyè intendesse raggiungerlo. Fu facile per qualcuno mettere in relazione le due circostanze: il “caso Boyè” forse rientrava nella guerra in atto fra le nazioni calcistiche del Sud America – Argentina in primo piano – e la dissidente Colombia, paese secessionista dalla FIFA e in grado di offrire ai calciatori dei paesi limitrofi allettanti offerte. Era infatti risaputo che l’Argentina stava cercando di ricuperare a suon di dollari alcuni dei suoi assi passati al professionismo colombiano: Boyè avrebbe potuto essere, in quel paese non vincolato, il sostituto di Loustau, rientrato in Argentina.
Dello stretto legame tra Boyè e il cognato, si parla anche nel libro di Lorenzo Galliani “René Pontoni. Il calciatore preferito di Papa Bergoglio”: “Nel tempo libero, Mario e René, già calciatori affermati, lavoravano come fattorini nella fabbrica di pasta “La Delfina” del suocero. Erano proprio altri tempi. Calciatore, allenatore e poi titolare di una pizzeria insieme a Boyé. Venivano da tutte le parti per mangiare nel locale, «La guitarrita», dei due campioni.”
Dal racconto particolareggiato dei colloqui all’aeroporto di Ciampino tra i dirigenti genoani e il calciatore, una frase da questi rivolta al dirigente Danovaro – “Capisco ma non c’è proprio nulla da fare. Se in Italia fossi venuto solo, certo in questo momento non mi sarei trovato in questa situazione” – si era venuta facendo sempre più insistente la versione che tendeva a ricondurre la responsabilità di tutta la faccenda alla giovane moglie. E a questo punto, diventa quasi obbligatorio saperne qualcosa di più di questa donna molto bella e irrequieta alla quale venne (ed è tuttora) addossata la colpa di tutta la faccenda.
“La piccola giovane Elsa – è sempre Aldo Merlo a raccontare – come tutte le giovani donne, pur essendo cognata (in realtà, sorella ndr) di un altro grande calciatore argentino, il Pontoni, ignorava che cosa significasse il “mestiere” del calciatore. (…) Oltre ciò non bisogna dimenticare che i due erano in piena luna di miele. Lì per lì, la prima residenza italiana non dispiacque alla bruna Elsa. Ma presto cominciarono piccole nubi a solcare il soffitto di casa Boyè. Una casa, in verità, assai rumorosa se, ad un certo momento, il compagno Alarcon credette opportuno far le valigie ed andarsene per conto suo. Già: anche Alarcon, con sua moglie, stava in casa Boyè. E anche Aballay, con la sua. E in più c’era la madre di Boyè, una brava, buona mamma di famiglia, venuta a vedere come si sarebbe sistemato il figlio famoso, per poi riprendere la strada dell’Argentina. Tre coppie in una casa! Troppe. Alarcon, il più tranquillo dei tre, la volta che gli fecero osservazione per via del suo cattivo rendimento, non ebbe difficoltà a dichiarare: “No puedo jogar. La notte non mi riesce di dormire… “. Vi era una cert’aria di tensione. La madre capiva che il figlio era innamoratissimo della moglie, ma questa appariva imbastita di un egoismo che rasentava l’impudenza. Già una sera, sotto i portici di Via XX Settembre, dopo una partita in cui gli argentini avevano praticamente fatto “cilecca”, la piccola bruna Elsa scendeva verso casa cantando. Qualcuno le disse che non era opportuno. Lei rispose che non le interessava affatto “Se questo è un paese dove non si può né cantare né ballare, né divertirsi, allora è una prigione. E allora è meglio tornarsene via”.
Quando poi il Genoa, dopo alcune prestazioni non brillanti, comunicò di ritirare i giocatori in allenamento collegiale, la signora Elsa cominciò ad inveire e si racconta che una sera, passando davanti al monumento di Garibaldi in piazza De Ferrari, forse senza neppure sapere chi fosse l’effigiato nella statua equestre, sputò contro il monumento, imprecando all’Italia galera senza sbarre. Peraltro l’ambientamento di Boyè a Genova e nel Genoa cominciò nel frattempo a dare i suoi frutti. Cosicché la giovane sposa finì per convincersi che il sistema del “lamento per il lamento” e l’insistenza nel denigrare l’Italia, le sue città, i suoi abitanti, non faceva più presa sul marito. Il nuovo metodo della signora Boyè consisté, dunque, nell’immaginarsi malanni d’ogni sorta che la stavano affliggendo e distruggendo. Emicranie, idiosincrasie, inappetenza, dispepsia, collassi. Arrivò a credersi malata con tale intensità e convinzione, da risultare davvero a pezzi. Il peso calò paurosamente e in breve volger di tempo, vuoi in finzione vuoi sul serio, si ridusse ai 43 chili. Il suo slogan divenne: o mi riportate in Argentina o “yo me muero”.
Accanto a queste considerazioni, e forse ancor più insistenti, fiorirono altre assai più gravi che, come sottolinea Merlo “non ci sentiamo di sottoscrivere, che sarebbe stato il colmo per una giovane sposa”.
La partenza inaspettata di Boyè aveva ulteriormente messo in imbarazzo la società rossoblù. Per giovedì 12 febbraio, cioè a distanza di poche settimane, era stata programmata una partita tra il Genoa e il Racing di Buenos Aires. In casa rossoblù erano forti i timori che, dopo il gesto inqualificabile di Boyè, il pubblico reagisse con nuovo grave danno per le finanze genoane. Per la partita di Marassi il Racing aveva chiesto infatti un indennizzo di 3 milioni e l’accordo era già stato raggiunto su questa base. C’era chi pensava che pur disputandosi la gara in giorno feriale e anche senza Boyè, l’incasso per coprire le spese non sarebbe mancato, ma c’era pure chi supponeva il contrario e temeva anche che i tifosi potessero abbandonarsi a qualche manifestazione di protesta antipatica nei riguardi dei giocatori argentini. Anche perché, giusto per non farsi mancare nulla, le voci provenienti dall’Argentina parlavano di un interessamento al giocatore proprio da parte dell’ “Academia”. Nella dirigenza rossoblù si dava grande importanza al parere dell’allenatore del Racing, Guillermo Stabile. Soltanto dopo il contatto con l’ex-Filtrador, il Genoa avrebbe deciso se confermare o meno la disputa della partita
All’arrivo a Buenos Aires, Boyè confermò di aver lasciato l’Italia per “questioni familiari di carattere strettamente privato”, rifiutandosi categoricamente di rilasciare altre dichiarazioni ai giornalisti che si erano recati ad incontrarlo all’aeroporto Peròn. Al campo erano accorsi anche dirigenti e tifosi del Boca Juniors, cui Boyè apparteneva in Argentina. Al nugolo di giornalisti che lo assediavano, aveva espresso l’intenzione di voler tornare in Italia, ma che in vista delle reazioni della stampa e dei tifosi al suo gesto, ciò era, almeno al momento, improbabile. Aveva anche riferito di aver confessato al vice-console argentino a Ciampino di non avere alcuna intenzione di lasciare il Genoa. Gli osservatori di Buenos Aires ritenevano che volesse lasciare aperta la possibilità di un ritorno in Italia anche perché aveva elogiato il trattamento ricevuto dal Genoa, smentendo nel contempo di aver ricevuto offerte dalla Colombia (secondo il giornale “El Mundo” aveva rinunciato ad un contratto in base al quale avrebbe percepito la somma di 250.000 pesos per giocare con la squadra del “Santa Fè” di Bogotà) e che la soluzione più probabile potesse essere l’assunzione di Boyè da parte di un undici locale dopo che questo club avesse versato al Genoa la penale dovuta. Quanto alle accoglienze al ritorno in patria, mentre i maggiori giornali avevano avuto per Boyè parole di deplorazione piuttosto crude, i fogli minori avevano salutato la vicenda come il ritorno del figliol prodigo.
Due società della capitale argentina avevano manifestato interesse alle prestazioni del giocatore. Appunto il Racing, che aveva appena concluso col Genoa gli accordi per una gara da disputarsi a Genova alla metà di febbraio. e sosteneva di vantare diritti di prelazione su Boyè. Ma si era fatto avanti anche il Boca Juniors. Entrambe le società si erano naturalmente dichiarate disposte a trattare col Genoa per avere il nulla osta all’assunzione del giocatore, previo compenso del danno materiale subito dalla società italiana. Sulla stampa argentina, peraltro, continuava curiosamente a tornare la notizia, già circolata, poi smentita e poi ripresa, che fossero in corso approcci fra lo stesso Boyè e il Santa Fè di Bogotà. Il ricorrere della notizia dopo ogni smentita veniva etichettata come l’arma segreta del giocatore per ottenere dalle società argentine un trattamento più sostanzioso. Alla fine, Boyè trovò sistemazione nella squadra argentina campione, il Racing. La scelta non apportò al club di Avellaneda e neppure al giocatore alcun miglioramento, così che la sua popolarità andò decisamente declinando.
Severino Varela, Mario Boyé, José Marante y Natalio Pescia (Foto Wikiwand)
A questo riguardo, a conclusione della vicenda, merita essere raccontato un aneddoto al tempo curioso e gustoso, rimbalzato dall’Argentina tempo dopo e ripreso sulla Gazzetta dello Sport.
“Boyè si rifugia nella dottrina spiritistica” era il sensazionale titolo che una popolare rivista calcistica locale gli dedicava. Più suggestivo ancora il sottotitolo: “Spera così di liberarsi dal maleficio che lo perseguita”. Maleficio cui erano da imputarsi le scarse performances del Boyè un giorno “atomico”. La rivista in questione spiegava che fin dal 1948 la polizia bonaerense scoprì nel domicilio di una signora, che si dedicava ad indovinare il destino del prossimo, in un “altarino” l’effigie del popolare calciatore attraversata da due pugnali. A quanto pareva, il maleficio aveva agito se era incominciato da allora il susseguirsi di fatti incresciosi per la formidabile ala, sia nella vita che sui campi di gioco. Così che iniziò a frequentare il tavolo rotondo dello spiritismo alla ricerca del necessario scongiuro. Pratiche che ebbero ripercussioni nella cerchia della società di Boyè e tutti si affrettarono a smentire, attribuendole a scherzi di amici burloni che in qualche modo volevano giustificarne le più recenti non eccelse prestazioni sportive.
Ma una dimostrazione pratica che un maleficio occulto sembrava esserci e che esso era stato debellato – concludeva l’articolo – lo dimostrava il fatto che il giocatore era tornato a far parlare di sé in cronache sportive attraverso due reti con cui il Racing aveva a sua volta rotto il sortilegio di tre partite perdute. Le due reti di Boyè avevano fruttato la vittoria contro il Gimnasia y Esgrima di La Plata, squadra tradizionalmente ostica per il Racing Le due reti del redivivo Boyè avevano dunque spezzato un duplice incantesimo: quello dell’impetuosa ala destra che, pertanto, non avrebbe più dovuto ricorrere ai tavoli più o meno oscuri per ricuperare la forma di un tempo e ridare al glorioso “filtrador” Guillermo Stabile, direttore tecnico del Racing, quella pace cui tanto ambiva dopo la serie di tre sconfitte consecutive.
“Cominciando, abbiamo scritto che volevamo raccontarvi una storia coniugale, una di quelle storie di tutti i giorni che però lasciano un po’ perplessi e un po’ malinconici per l’appunto. La storia di un asso del calcio, dribblato dalla…moglie”. (Aldo Merlo)