GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) – Una delle situazioni più antipatiche, per usare un eufemismo, che può capitare è imbattersi nel razzismo, in qualsiasi forma esso sia espresso e in qualunque situazione ci si trovi.
A maggior ragione se il contesto coinvolge una attività sportiva, sia essa si svolga in un palazzetto dello sport, su un campo di calcio, in qualsiasi arena dove dovrebbero essere esaltati ben altri valori, e dove dovrebbe primeggiare il solo agonismo, con il massimo rispetto dell’avversario, qualsiasi sia il colore della sua pelle.
Purtroppo, dopo aver attraversato lo schiavismo, una guerra civile negli Stati Uniti, avere abbattuto il fanatismo di chi voleva una razza pura, ancora ci troviamo a convivere con questa deprecabile discriminazione.
Nei giorni attuali, dove le cronache ci riportano ancora episodi tristi, attraverso la storia ci piace ricordare, invece, un episodio positivo, tinto anche di qualche venatura ironica, se non comica.
Per fare questo dobbiamo risalire su per l’Europa, attraversare il canale della Manica e arrivare fino in Inghilterra, la patria del calcio moderno. L’anno è il 1921, da noi il calcio sta emettendo i primi vagiti, ma lì è già strutturato dal 1888, quando si era disputata la prima First Division, l’attuale Premier League.
Non è qui che però prende vita e si svolge la nostra storia, ma in Third Division, la terza serie professionistica inglese, dove milita il Plymouth Argyle Football Club, una squadra che meriterebbe una storia a sé stante.
Essa, infatti, è l’unica squadra professionistica a non aver mai militato nella massima serie inglese, e i giocatori hanno un soprannome di importante derivazione: sono chiamati The Pilgrims, perché fu dal porto di Plymouth che il 16 settembre 1620 salpò l’ancora, vele al vento, la Mayflower, la nave che portò i padri pellegrini nel Nuovo Mondo, avventurosa storia che a sua volta ha ispirato libri e film.
Un posto non banale, una squadra non banale, nelle cui fila militava Jack Leslie.
Naturalmente a chi non è tifoso del Plymouth questo nome non dice nulla, ma Leslie avrebbe giocato ben quattordici stagioni con solo i colori nero verdi del club, realizzando anche 134 reti, al quarto posto come marcatore di tutti i tempi della sua squadra, con l’unico cruccio, come scritto, di non aver mai giocato nella massima divisione.
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Nulla di straordinario, una carriera anche importante in un club, ma uguale a tante, soprattutto nel calcio britannico.
Questa è diversa, però, per una particolarità non indifferente: Jack Leslie era un giocatore di colore. Il padre, John Francis Leslie, era un operaio del gas giamaicano, la madre, Annie Leslie, una sarta inglese, e già questa unione mista desta non poca meraviglia, considerando il puritanesimo di cui erano, e sono, ammantati gli inglesi.
Jack nacque il 17 agosto del 1901, iniziò a giocare nel Barking Town, squadra del suo quartiere, prima di trasferirsi, nel 1921, al Plymouth Argyle e iniziare la sua lunga avventura che lo avrebbe portato a indossare per 401 volte la maglia dei Pilgrims.
L’episodio divertente, anche se dal retrogusto amaro, capita nel 1925: il Plymouth è reduce da una brillante tournee sudamericana in cui Jack si è particolarmente distinto, l’eco delle sue prestazioni giunge fino agli uffici della Football Association, la cui Commissione Tecnica decide di convocarlo in nazionale.
Fu l’allenatore dei nero verdi, Bob Jack, a comunicare la notizia a Leslie, ma quando in seno alla Commissione si resero conto che Leslie era un giocatore di colore, la suddetta convocazione scomparve e non se ne fece più nulla.
“Devono aver dimenticato che ero un ragazzo di colore”, fu l’arguto commento dello stesso Leslie qualche anno dopo, l’episodio non turbò minimamente la sua carriera che si concluse felicemente nel 1935.
Jack Leslie ha rappresentato tanto per i tifosi del Plymouth che non si sono mai curati del colore della sua pelle, ma hanno sempre ammirato le sue prodezze da centravanti o da ala sinistra, sempre applaudito ed esultato ai suoi tanti gol, tanto da promuovere, a distanza di più di trent’anni dalla sua morte, avvenuta nel 1988, una raccolta fondi per la costruzione di una statua da dedicargli.
Resta la poca avvedutezza, e la ristrettezza mentale, della Commissione Tecnica della nazionale inglese, che avrebbe ostracizzato i giocatori di colore fino alla convocazione, stavolta senza ripensamenti del primo: a Viv Anderson, roccioso difensore del Nottingham Forrest, spetta il primato di essere stato il primo calciatore di colore a indossare la maglia bianca dei Tre Leoni, il 29 novembre 1978, ben cinquantatré anni dopo quella fantomatica di Leslie.
Una ristrettezza solo inglese: il 12 marzo 1881 il difensore di colore Andrew Watson avrebbe esordito con la nazionale scozzese, nel dicembre del 1931 Eddie Parris, giocatore di colore gallese, avrebbe esordito con la maglia dei Dragoni.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.