GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) –
Guerra: l’unica costante che ha da sempre caratterizzato la Storia dell’uomo, che ne ha segnato l’esistenza
Fin dalla notte dei tempi l’essere umano ha dovuto avere un nemico, un altro con cui misurarsi, fino a trovare in sé stesso il suo nemico più acerrimo e costante.
La guerra ha talmente permeato l’esistenza dell’umanità da traslarla, in forma meno cruenta, nei giochi e nello sport, fino a trovare nel calcio la sua sublimazione.
La partita di calcio come simulazione di guerra, quindi, e il retaggio più evidente è nel linguaggio, ma in qualche caso è diventata essa stessa guerra, o la miccia per scatenarla.
Uno dei punti più “caldi” delle terre emerse di questo nostro bistrattato mondo dove è arrivato l’uomo e il suo presunto progresso, è il Centro America.
Da sempre qui il popolo povero, affamato, con scarse risorse, è stato vittima di pochi che hanno pensato di dominarlo, instaurando dittature militari che non conoscevano pietà, capace solo di nutrirsi del sangue dei loro stessi connazionali, per pura bramosia di potere.
Non era diverso in Honduras e El Salvador.
Più esteso il primo, era sempre in lotta con il secondo per una questione di confini, con quest’ultimo che mal vedeva, e mal sopportava, la maggiore estensione honduregna.
Un momento di apparente accordo sembrò essere raggiunto nel 1967: gli Stati Uniti avevano mostrato un particolare interesse a investire in risorse agricole nei cinque stati centroamericani (oltre a El Salvador e Honduras, Costa Rica, Guatemala e Nicaragua), le multinazionali statunitensi, però, senza controllo, investirono maggiormente su El Salvador.
Questo comportò un improvviso arricchimento del paese, ma tutto concentrato nelle mani di pochi latifondisti, condizioni di vita comunque migliori, ma sempre con poca e meno terra da coltivare.
Un grande problema, perché il territorio restava piccolo, ed allora, in quel 1967, i due paesi raggiunsero una “Convenzione bilaterale sull’immigrazione”, con i campesiños salvadoregni che erano liberi di andare in Honduras e stabilirvisi, con il permesso di sfruttare la terra.
Furono circa trecentomila ad attraversare il confine, e naturalmente non furono contenti, in questo caso, i campesiños honduregni.
Nell’aprile del 1969, contravvenendo alla precedente convenzione, il governo dell’Honduras, anche per prevenire una rivolta interna, decise di cacciare quelli del Salvador, e di confiscare le loro terre.
A questo punto si ferma l’inquadramento storico, perché è in questo contesto di grave instabilità, politica e sociale, che Eupalla decise di metterci lo zampino.
Capitava che il mondiale del 1970 era stato assegnato al Messico, per la prima volta un paese centroamericano organizzava la grande manifestazione calcistica, qualificata quale paese ospitante quella nazionale occorreva qualificare un’altra squadra di quella confederazione (Concacaf), il caso, il destino, la stessa Eupalla o chi per essi fecero capitare in semifinale proprio l‘abbinamento tra Honduras e El Salvador.
Naturalmente quelle furono tutto tranne che partite di calcio: di quello, magari, si sarebbero dovuti occupare i ventidue cristi che dovevano scendere in campo, ma la loro principale preoccupazione sarebbe stata soprattutto di salvare la pelle.
La gara di andata fu giocata l’8 giugno del 1969 all’”Estadio Nacional” della capitale honduregna, Tegucicalpa, la nottata dei giocatori di El Salvador fu movimentata da incidenti e tumulti, così come il tragitto fino allo stadio, dove fu danneggiato il bus che li trasportava.
La partita si svolse in un clima teso e intimidatorio, prevalsero i padroni di casa con una rete di Leonard Wells all’ultimo minuto.
Al ritorno, in programma il 15 giugno allo “Estadio de la Flor Blanca” di San Salvador, ci fu l’ovvia “vendetta” dei salvadoregni, anche più dura e cruenta.
Ancora incidenti durante la notte prima della partita intorno all’hotel che ospitava i biancocelesti ospiti, ci scappò anche il morto, i giocatori dovettero fuggire e furono scortati nei carri armati dell’esercito allo stadio.
Poi la partita – farsa andò in scena, i locali vinsero tre a zero, con reti tutte nel primo tempo di Martinez su rigore, Acevedo e ancora Martinez.
“Meno male che abbiamo perso”, dichiarerà poi il tecnico honduregno, Griffin.
Finita? Per niente.
Il regolamento dell’epoca prevedeva la gara di spareggio, sede fu l’”Azteca” di Città del Messico.
Il glorioso stadio, vero monumento al calcio, che avrebbe visto le imprese di Italia e Germania, la partida do siglo, il gol do siglo di Diego Armando Maradona e la sua mano de Dios, il 26 giugno del 1969 fu scenario di una vera e propria guerriglia urbana.
In campo, stavolta, fu partita vera, le due squadre si impegnarono al massimo, Martinez portò due volte in vantaggio El Salvador, due volte pareggiò l’Honduras, prima con Cardona poi con Gomes, ai supplementari decise la rete salvadoregna di Rodriguez.
Nonostante lo spiegamento di forze militari messicane, le tifoserie vennero a contatto con gravi incidenti, la sera stessa Honduras ruppe le relazioni diplomatiche con El Salvador, sul suo suolo iniziò la caccia al salvadoregno.
Erano solo i prodromi della guerra che iniziò con l’invasione da parte di El Salvador il 14 luglio 1969, il 18 ci fu già il cessate il fuoco.
La guerra de las cien horas.
Alla fine, questa tra El Salvador e Honduras fu solo una guerra tra poveri, probabilmente fomentata dalle stesse dittature per rinforzare sé stesse.
Resta valido quanto scritto da Ryszard Kapuscinski, inviato polacco in quelle zone: “I piccoli stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Strano, ma vero”.
La guerra: follia imperitura dell’uomo.