Se si pensa ad Ajax e Benfica la memoria viaggia veloce nel passato, quando le due squadre dominavano in Europa collezionando vittorie su vittorie nella competizione più ambita del vecchio continente. Eusebio contro Cruijff, la tradizione contro l’innovazione, il lusotropicalismo coloniale contro la rivoluzione culturale del 1968.
Nel segno del ‘68
Il primo grande scontro tra le due squadre avviene durante i Quarti di finale 1968-69. È un’edizione influenzata profondamente dagli echi del Sessantotto. Prima del fischio di inizio, infatti, non si è ancora concluso quello che, probabilmente, è l’anno più irripetibile nella storia dell’umanità. È l’anno dei movimenti studenteschi, della Primavera di Praga, del Maggio francese, della Rivoluzione culturale in Cina, degli assassini di Martin Luther King e di Bob Kennedy, e ovviamente dell’iconico pugno alla storia dei due afroamericani Tommie Smith e John Carlos.
I fermenti politici che stanno infiammando mezza Europa hanno coinvolto anche il mondo del pallone. A Parigi si sono alzate barricate persino in sostegno del calcio. A maggio, un centinaio di giocatori hanno protestato contro l’autoritarismo della Federazione francese e, dopo averne occupato la sede, dal balcone principale hanno esposto un enorme striscione con su scritto: «Le football aux footballeurs», il calcio ai calciatori. La protesta ha preso forza soprattutto grazie al volto più noto dei manifestanti, Just Fontaine, il bomber che ha segnato più gol di tutti in un sola edizione dei Mondiali. Insieme al pied-noir franco-algerino, si manifestava per ottenere la previdenza sociale, nonché l’assistenza sanitaria in caso di malattia o infortuni. Lo stesso faranno mesi più tardi i colleghi italiani, capeggiati da Rivera e Mazzola che, insieme a tanti altri, daranno vita all’Associazione calciatori.
È dunque questo il clima che aleggia attorno alla Coppa in vista dei sorteggi del turno preliminare. La delicata situazione internazionale spinge i dirigenti del Celtic a suggerire una separazione tra le squadre occidentali e quelle orientali, in modo da evitare viaggi potenzialmente pericolosi oltre cortina. La Uefa accetta, ma la risposta sdegnata delle squadre dell’Est si tramuta in un vero e proprio boicottaggio della competizione, del tutto simile a quello avvenuto in occasione delle Olimpiadi di Città del Messico. Si ritirarono Dinamo Kiev, Ferencváros, Levski Sofia, Ruch Chorzów e Carl Zeiss Jena. Tali defezioni spianano la strada a Celtic, Milan e Benfica che, in tal modo, si ritrovano senza troppe difficoltà catapultate nei Quarti di finale, proprio dove i portoghesi incontreranno gli olandesi dell’Ajax.
Il Benfica di Eusebio
Tra il 1968 e il 1969 si era da poco conclusa quella lunga e dolorosa parentesi dittatoriale che per oltre cinquant’anni aveva recintato il Portogallo nella miseria e nell’arretratezza imposta da António Salazar. La sua morte (avvenuta nel ‘70) avrebbe presto dato il via ai moti di indipendenza angolana attraverso la famigerata Rivoluzione dei Garofani, madre di quel flusso di migliaia e migliaia di portoghesi residenti all’estero, i cosiddetti retornados.
Per il momento, però, nel Paese imperava ancora la triade simbolica delle tre F: Fado, Fatima e Futebol. Sì, perché era stato proprio o futebol, durante tutti gli anni Sessanta, a togliere dal fango della guerra di decolonizzazione un intero Paese che vedeva nello sport la via verso la modernità. La Mocidade Portuguesa, l’organismo sportivo della Gioventù portoghese, aveva autorizzato le squadre ad attingere a piene mani dal vivaio coloniale. Così, dall’Angola a Capo Verde, dalla Guinea al Mozambico, arrivarono bastimenti pieni di campioni, in grado di accendere la passione dei tifosi che ogni domenica riempivano gli spalti dei nuovi e monumentali stadi fatti costruire appositamente per non far mancare al popolo i necessari panem et circenses.
Tra i tanti campioni africani giunti in Portogallo, quello destinato a incidere maggiormente nel Paese dei grandi esploratori fu naturalmente Eusebio. Sbarcato a Lisbona a soli 19 anni, al suo primo anno con il Benfica era stato capace di siglare una doppietta decisiva nella finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid, vinta per 5-3. A suon di gol si era così guadagnato il soprannome di Pantera nera, nonché il titolo di primo giocatore di origine africana a ottenere il Pallone d’Oro, per poi accaparrarsi anche il ruolo di protagonista assoluto ai Mondiali inglesi del 1966, detronizzando persino Pelé.
Undici campionati nazionali, due Coppe dei Campioni e un terzo posto ai Mondiali. Eusebio e i suoi compagni vengono esibiti da Salazar come i migliori prodotti del “lusotropicalismo”, simbolo di una società multirazziale, sedicente ed egualitaria, dove vivono armoniosamente cittadini e giocatori dalla pelle di colori diversi. Viaggiando e vincendo per tutta Europa, sotto la guida di Bela Guttmann, sono pedine utili al regime, benché sempre accompagnati e controllati a vista dalla Pide, la polizia politica portoghese incaricata di proteggerli da un possibile contagio rivoluzionario.
La rivoluzione olandese
Nel 1969 l’Ajax del giovane Johan Cruijff e dell’allenatore Rinus Michels si stava apprestando a vivere il periodo più esaltante della propria storia che, nel giro di cinque anni, l’avrebbe vista protagonista in patria e in Europa grazie alla conquista di sei scudetti, quattro coppe nazionali, tre coppe dei campioni e una coppa intercontinentale. Michels stava forgiando una sorta di orchestra sinfonica. Un complesso dove ogni individualità veniva messa al bando. L’Ajax appariva, invece, come un collettivo, in cui il gioco di ognuno era al servizio della squadra. Un gioco teso a creare in campo spazi dove prima non c’erano. E su questo principio tutto olandese Michels edifica il suo Calcio Totale, cambiando per sempre la storia del calcio attraverso il più perfetto e innovativo gruppo di giocatori mai assemblato. Semplicemente non è mai esistito qualcosa che abbia cambiato così profondamente il calcio moderno.
Ad Amsterdam è in atto una rivoluzione calcistica che procede a pari passo con le trasformazioni in atto nel Paese. Quella generazione di giocatori fenomenali, per la prima volta attira sugli spalti dello stadio pittori, scrittori, musicisti e persino danzatori, tra cui Rudolf Nureyev che, giunto nella capitale olandese, paragonerà Cruijff a un danzatore. Nonostante avesse solo ventidue anni, Cruijff sembrava già un calciatore maturo in grado di occupare le zone del campo come un veterano. Non era particolarmente veloce ma riusciva sempre ad anticipare i suoi avversari, liberandosene spesso con la celebre «Cruijff draai», il suo marchio di fabbrica: la finta con cui saltava l’avversario portandosi con il tacco la palla alle spalle. Cruijff apparve a tutti come «un dono di Dio all’umanità», destinato a diventare il più influente uomo di calcio della storia.
Comincia così a serpeggiare l’idea che Cruijff e compagni non stessero semplicemente giocando a calcio, ma stavano compiendo un qualcosa di molto simile all’arte. La fama dell’Ajax valica così i confini nazionali e giunge nel resto del pianeta di fianco a nomi illustri come Vermeer, Rembrandt e Van Gogh. Il loro modo di giocare e di pensare, così diverso da quello dei noiosi predecessori, rispecchia quello di un’intera generazione. Cruijff sembra divertirsi in campo mentre provoca l’ordine costituito. Proprio come fanno i giovani nelle piazze, i provos per l’appunto, i provocatori, che nel 1966 guidano il primo vero moto di ribellione giovanile nato in Europa.
La capitale olandese, insieme a Londra, diventa il magisch centrum, il cosiddetto centro magico d’Europa. In largo anticipo rispetto a Parigi e all’Italia, il Sessantotto germoglia prima qui, preparando quel devastante impatto di protesta destinato nel giro di pochi anni a incendiare l’intero continente. Dopo aver boicottato il matrimonio della principessa Beatrice con l’ex nazista Claus van Amsberg, i provos diventano il simbolo di una delle città più tolleranti d’Europa. Da ovunque giungono orde di trasandati hippie che di lì a poco avrebbero trasformato piazza Dam e Vondelpark in giganteschi dormitori dove si comincerà a fare ampio uso di droghe leggere, fino all’apertura del primo coffee-shop, il famigerato Mellow Yellow che prenderà il nome in prestito dall’omonima canzone del musicista scozzese Donovan. L’apertura alle droghe leggere, e presto anche a un intero quartiere a luci rosse per il controllo governativo della prostituzione, avrebbe presto attirato in città ribelli e artisti di ogni risma, compresi John Lennon e Yoko Ono che nel 1969 invocheranno la pace nel mondo comodamente sdraiati su un letto di una stanza del nuovo Hilton Hotel di Amsterdam.
Eusebio vs Cruijff
Nel 1969 il Benfica giunge ai Quarti di finale di Coppa dei Campioni dopo aver centrato, ancora una volta, una splendida doppietta vincendo campionato e Coppa nazionale. Ciò nonostante, non è stato l’anno migliore per Eusebio: per la prima volta dopo cinque anni consecutivi, non ha vinto la classifica marcatori e per questo motivo è stato escluso, dopo otto anni di costante partecipazione, dalla lista dei pretendenti al Pallone d’oro.
L’Ajax, dall’altro lato, aveva cominciato a mostrare seriamente il suo gioco rivoluzionario e anche il suo maggior profeta: Cruijff. Nel giro di soli tre anni la sua vita era cambiata radicalmente. Si era sposato, aveva avuto il primo figlio ed era al centro del progetto di Michels. Sembrava inarrestabile.
In questo contesto matura il primo incontro-scontro tra i due campioni di generazioni diverse: Eusebio e Cruijff. Durante l’incontro d’andata, giocato ad Amsterdam, i veterani del Benfica si fanno beffe dei giovani olandesi e vincono abbastanza agevolmente per 3-1.
Sette giorni dopo, si vola in Portogallo. Quelli del Benfica sono realmente convinti che il passaggio del turno sia a porta di piedi, ma non hanno ancora fatto i conti con Cruijff e compagni: i lancieri recuperano portandosi in vantaggio di tre reti a zero. Sembra finita, ma Carlos Alberto Torres, una sorta di pivot quasi immarcabile, a venti minuti dalla fine salva capre e cavoli segnando il gol che porterà le due squadre a scontrarsi per la terza volta nel giro di dieci giorni. Si rigiocherà, dunque, questa volta, in campo neutro (a Parigi) per decidere quale sarà la squadra a passare il turno.
In Francia i portoghesi per 90 minuti resistono agli attacchi degli olandesi, poi, nei supplementari, vengono annientati. Nel giro di dieci minuti l’Ajax segna tre volte. Ancora Danielsson e Cruijff. L’Ajax, come sappiamo, giungerà in finale ma perderà con il Milan di Rivera e Prati. Anche se la strada del successo era ormai segnata.
Eusebio vs Cruyff, parte seconda
Nel 1972 le Aquile di Lisbona hanno colto un altro double, trascinate dai 20 gol di Eusebio che, a trent’anni, è ritornato in maniera prepotente nella lista del Pallone d’oro. Sulla panchina del Benfica non c’è più Bela Guttmann, così come su quella dell’Ajax non c’è più l’architetto Michels, che ha deciso di travasare l’ideologia del Calcio Totale sulle ramblas di Barcellona.
Al suo posto, è arrivato il romeno Stefan Kovacs, che molti considerano come il vero artefice della grande Ajax. In realtà, il suo lavoro sarà più di perfezionamento che creativo. Rispetto a Michels, Kovacs privilegia un gioco più libero, affidato al talento individuale. Cruijff, con lui, assumerà quindi un’importanza ancora maggiore, diventando il vero “padrone” della squadra. Ma se nella stagione precedente l’Ajax aveva percorso un cammino sostanzialmente agevole, per arrivare alla sua seconda vittoria in Coppa dei Campioni deve affrontare avversari fortissimi. Su tutti, l’Arsenal e il Benfica.
Nei Quarti di finale supera i gunners, la seconda squadra di Londra ad aver raggiunto le fasi finali della competizione, dopo che gli occhi di tutta Europa sono stati puntati per settimane sull’isola di Albione a causa della sanguinosa indipendenza irlandese tracimata nel tristemente noto Sunday Bloody Sunday.
La semifinale, dunque, è l’ultima volta che vede scontrarsi Cruijff ed Eusebio. A differenza di tre anni prima, però, le partite sono meno spettacolari e avare di gol. Dopo lo 0-0 di Lisbona, al ritorno ad Amsterdam decide un gol di Swart.
L’Ajax si avvia così a vincere la sua seconda Coppa dei Campioni, ma dopo quella vittoria sui resti del grande Benfica che fu, non tutti si resero conto di quel che invece stava realmente accadendo, ovverosia: un epocale scambio di consegne, quello tra il grande Eusebio e Cruijff, nonché l’inizio di una nuova affascinante era nella storia della Coppa dei Campioni.
Nato a Cosenza, classe 1985, è storico, regista cinematografico e scrittore. Autore di diversi saggi e documentari sulla storia dello sport, è anche membro della Siss e dell'Anac. Da qualche anno lavora come supplente a Torino e ha da poco fondato la propria casa di produzione.