La prima volta di una vittoria sportiva è come la prima volta di un qualsiasi avvenimento della vita, resta l’indelebile primo passo verso l’effimero del fatto episodico o verso il successo duraturo e splendente nel tempo.
All’epoca in cui è ambientata la nostra, l’Italia stava lentamente uscendo dalle devastazioni della guerra e lanciandosi piena di speranza verso il boom degli Anni Sessanta.
I sogni erano tanti, di sogni era lastricata ogni strada di quel periodo, non tutti si avveravano, ma fornivano la speranza per andare avanti.
Nel calcio, nel nostro calcio di quel tempo, i sogni e le speranze abitavano tutti al Sud, perché il Nord si nutriva delle vittorie che l’opulenza garantiva.
Lo insegna la Storia, solo in piena guerra, nel 1942, il titolo era sceso al Meridione, quando a fregiarsi del suo primo tricolore era stata la Roma.
C’era in tutto quello un’anomalia: tra le grandi città che avevano vinto il campionato di calcio, Roma compresa, mancava Firenze, che poi a sud non era.
La patria di Dante aveva sempre rappresentato la seconda, se non terza, fascia dei valori calcistici nostrani, ed era un’onta: in riva all’Arno era nato il Calcio Fiorentino, tra gli antesignani di quello che avrebbero regolamentato gli inglesi, eppure non c’erano state vittorie, né c’era una grossa tradizione pedatoria per i compatrioti del Divin Poeta, quasi un contrappasso, bravi nelle altre arti, sempre in attesa di un Rinascimento nel calcio che non arrivava mai.
Fino a quella metà degli Anni Cinquanta, quando è ambientata la nostra storia.
Come già abbiamo visto in altre situazioni simili, e come ancora vedremo in futuro, affinché scocchi la scintilla, agognata quanto inconsapevole, occorre che si creino una serie di circostanze, a volte eventi casuali, altre congiunture astrali inattese quanto fortuite.
L’ACF Fiorentina era nata all’alba del Ventennio fascista, quando il regime incominciò a interessarsi profondamente dello sport e del calcio in particolare, quest’ultimo soprattutto come mezzo di propaganda.
Al fine di dare la visione di una nazione veramente unica e unita agli occhi del mondo, il primo intervento fu la costituzione di un girone unico che coinvolgesse tutta la penisola; poi, per aumentare il tasso tecnico delle squadre del Centro – Sud, sempre impari di fronte a quelle del Nord, favorì la fusione tra società.
Quella tra le sezioni calcistiche del Club Sportivo Firenze e della Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas portò alla nascita, il 29 agosto del 1926, dell’attuale Fiorentina.
Poche furono le soddisfazioni in quei primi anni di attività, un paio di vittorie di campionati di Serie B con conseguenti promozioni, l’unico successo vero la vittoria della Coppa Italia del 1940.
Nel dopoguerra, precisamente nel febbraio del 1952, la società passò dalla presidenza di Carlo Antonini a quella di Enrico Befani.
Imprenditore tessile di alto livello, egli diede alla società una gestione manageriale e la sua prima mossa fu di assumere come allenatore Fulvio Bernardini.
Questi era un vero genio calcistico, con un’intelligenza fuori dal comune, tanto da essere tra i primi laureati tra i calciatori, da cui il soprannome, tra gli altri, di Dottor Pedata.
Talmente bravo da ricoprire in pratica tutti i ruoli in campo da calciatore, da portiere ad attaccante, per finire centrocampista.
Talmente bravo che pare, versione sua, Vittorio Pozzo, CT della Nazionale, non lo convocasse perché gli altri non comprendevano la sua visione del calcio.
Verità o leggenda, Bernardini un genio del calcio continuò a dimostrare di esserlo anche come allenatore, iniziando proprio dalla Fiorentina.
La squadra che disputò quella stagione 1955/1956 fu costruita pezzo dopo pezzo dalla sagacia di Bernardini e dalle segnalazioni estemporanee come capitava all’epoca, quando un sacerdote segnalò dal Cile le prodezze di un argentino di origini italiane, Miguel Angel Montuori, che si unì all’arrivo di Julinho, funambolica ala brasiliana, fortemente voluto dallo stesso allenatore.
Fu poi il Dottore a costruire il meccanismo adatto alla squadra, con idee rivoluzionarie e valide ancora oggi, come le rotazioni tattiche e l’attacco agli spazi.
In più vi aggiunse le intuizioni nelle scelte dei giocatori, dal giovane Giuliano Sarti in porta alla duttilità di Francesco Rosetta in difesa, dal dinamismo di Giuseppe Chiappella e Maurilio Prini a centrocampo alle rifiniture di Armando Segato per le conclusioni spesso vincenti per Montuori e Giuseppe Pecos Bill Virgili in attacco, con la ciliegina finale dei virtuosismi di Julinho.
Un meccanismo perfetto, che rese senza storia quel campionato, il gioco irresistibile condusse la Viola in testa alla settima giornata, posizione che non lasciò più fino alla fine del torneo, con tre tappe fondamentali: la vittoria in casa del Milan campione uscente alla decima giornata di andata (2-0); la vittoria in casa dell’Inter alla quarta di ritorno (3-1); la vittoria contro il Milan alla decima di ritorno (3-0), che sancì il definitivo passaggio di consegne.
Alla fine i numeri saranno eloquenti circa il dominio viola: primo posto a cinquantatre punti; una sola sconfitta stagionale, all’ultima di campionato in casa del Genoa (3-1); un distacco inflitto di ben dodici punti al Milan, secondo classificato; imbattibilità casalinga; minor numero di reti subite (20).
A questi primati va poi aggiunto che questo scudetto era solo il secondo vinto da una squadra del Centro – Sud, come già scritto, e andava ad interrompere l’egemonia di Milano e Torino che durava da undici campionati.
Un successo dovuto alla sagacia del presidente Befani ma soprattutto alle intuizioni calcistiche di Fulvio Bernardini, che si sarebbe ripetuto riportando lo scudetto a Bologna nella stagione 1963/1964, non prima di aver guidato la Viola, prima italiana, fino alla finale della Coppa dei Campioni 1956/1957, persa contro il grande Real Madrid di Alfredo Di Stefano e Francisco Gento. Un vero Rinascimento Viola.
Questa la rosa completa di quella squadra:
Portieri: Giuliano Sarti, Riccardo Toros
Difensori: Giampiero Bartoli, Sergio Cervato, Ardico Magnini, Francesco Rosetta
Centrocampisti: Sergio Carpanesi, Giuseppe Chiappella, Guido Gratton, Bruno Mazza, Alberto Orzan, Maurilio Prini, Aldo Scaramucci
Attaccanti: Claudio Bizzarri, Julinho, Miguel Montuori, Giuseppe Virgili
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.