La casa d’aste Bolaffi ci propone, nell’asta del 6 dicembre prossimo, un quaderno molto speciale, una raccolta di firme autografe(1949/1953) appartenuto a Giuseppe Moro, uno dei più grandi portieri che il calcio italiano abbia mai avuto.
Un ragazzetto vivace, imprendibile, spericolato; soprannominato “cavalletta”, per via di quel suo modo di saltare con una pertica, tra un frutteto e l’altro.
Inizierà a giocare seriamente a soli 16 anni, con il suo Treviso. Non era bravo con i piedi, ma in porta era un fenomeno. Nei burrascosi anni ’40, l’esperienza della Guerra lo aveva segnato nel fisico e nell’animo, concedendogli, però, quel coraggio e quella prontezza che gli saranno utilissimi nella stagione da atleta.
Il Bari del presidente Annoscia, dopo una stagione vissuta da assoluto protagonista (con tre rigori parati nelle prime tre giornate), lo aveva ceduto per l’incredibile cifra di 53 milioni.
Il Grande Torino, orfano del suo Bacigalupo, lo aveva eletto come degno erede, salvo poi respingerlo al termine di una stagione alquanto travagliata. Travagliata come la vita di Bepi, coraggioso e altruista, ma anche ingenuo e, a volte, sconsiderato.
Moro – Figurina VAV 1950
Anche i maestri inglesi impareranno a conoscere il talento di Giuseppe; nella nebbia dello stadio del Tottenham, quel 30 Novembre del 1949, soltanto la sfortuna impedirà una vittoria storica. Bruno Slawitz, sulle colonne de La Gazzetta dello Sport, lo definirà “lo spettacoloso Moro”, cogliendone la sapienza e l’estro innato.
La prima pagina de La Gazzetta dello Sport del 19 Maggio 1952
Lo stesso estro che ebbe ad esaltare la sottile e pungente penna di Brera, che lo definì un portiere da “grandissima classe”, nel giorno della incredibile parata su Wright, dopo un volo di cinque metri verso l’incrocio dei pali.
Il mito di Bepi Moro, probabilmente, è racchiuso nel suo essere unico, diverso dal calciatore perfetto. Bepi era un uomo, forte e fragile come tutti. Era un uomo quando affrontava gli orrori della guerra, quando scappava dai tedeschi; era un uomo quando decideva di scendere a patti per truccare qualche partita, salvo poi confessarne la vergogna; era un uomo quando decideva di costruirsi una vita fuori da quel calcio che lo aveva sedotto e un po’ trascurato; infine, era un uomo quando “ingannava” gli avversari dal dischetto, con quella finta che incuteva timore e generava paura.
Ci lascerà a soli 53 anni, protetto dal calore di una famiglia sempre vicina e dalla maglia di un uomo speciale, quel Dino Zoff che deciderà di inviare la sua maglia in onore di un “grande artista della porta”.
Alberto, il figlio di Bepi, ci ha raccontato alcuni aneddoti e raccontato di questo splendido e unico documento che è il quaderno in asta con Bolaffi.
“A Roma abitavamo in via Priscilla n. 8”, ci dice Alberto, “e con i miei amici giocavamo a calcio in un cortile dove, puntualmente, ci requisivano il pallone e andavo dalla Polizia. Io andavo regolarmente da mio padre e me ne facevo dare un altro. Un giorno mio padre fu chiamato in questura e, dopo aver saputo chi fosse, ci fecero giocare ugualmente, anche perché i palloni requisiti non sapevano più dove metterli (sorride). A Torino, invece, durante gli allenamenti al Filadelfia mio padre mi faceva mettere dentro la porta e non dietro, sfidando al contempo gli attaccanti a fare gol.
Un episodio che mi è rimasto sempre impresso fu quando dopo una partita fummo portati in trionfo dai tifosi, io e mio padre: mio padre aveva appena parato un rigore a Liedholm …Mio padre era un tipo molto spregiudicato: con la Sampdoria si presentò in allenamento con il suo Piper privato, aveva il brevetto di pilota. Continue erano le sue liti con gli allenatori. A Roma le sue economie ebbero un grande tracollo, in particolare per il fallimento di un Bar che aveva acquistato in Via del Corso. Terminò la sua carriera al Verona. Allenò poi come vice il Treviso, il Volpago per poi venire chiamato a Porto Sant’Elpidio, nelle Marche, per allenare il San Crispino in quarta serie. Tramite poi un suo conoscente, il Sig. Monaldi di Porto Recanati fu ingaggiato da una squadra tunisina, il Ebba Ksour e poi andò a Beja. Inutile dirvi quante porte bussò per poter lavorare in Italia. Morì nel 1974 di una malattia incurabile”.
Qui ovviamente Alberto si emoziona … Una pausa e riparte… “Prima di morire mi consegnò un quaderno, in cui raccolse tantissime firme di calciatori che lui raccolse in quell’anno che dovette sostituire suo malgrado Bacigalupo, durante i raduni di nazionale, in tournée in Sud America”.
Beh un quaderno fantastico… con gli autografi impressionanti … i calciatori della nazionale inglese del ’49, la Roma del 1953 in tournee a Caracas, ma anche Corinthias, Barcellona, Caracas, Cecoslovacchia, Svizzera, Austria, Fiorentina, Bologna, Inter, Venezia, Padova, Pro Patria, Lucchese, Torino, Milan, Sampdoria, Triestina, Atalanta, Lazio, Palermo, Juventus, Roma. Firme quali quelle di Meazza e Zamora… e molte altre …
Giuseppe Moro – Nazionale Italiana di Calcio – raccolta di firme autografe – 1949/1953 Quaderno a fogli bianchi con riportate molteplici firme autografe di calciatori di quegl’anni. Molte di queste suddivise per squadre di appartenenza e per incontri sportivi sia di club che di Nazionale. Incredibile raccolta di una vita dell’ex portiere di Treviso, Padova, Alessandria, Fiorentina, Torino, Lucchese, Sampdoria, Roma e Verona oltre che della Nazionale Italiana. Quaderno ottimamente conservato. 23 x 17 cm Provenienza: Famiglia Moro € 3.000 – 5.000
ASTA
Martedì 6 dicembre 2022, ore 14.30
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