GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimo Prati) – Per prima cosa, penso sia utile e doveroso segnalare una serie di dati contrastanti sulla data del decesso dell’allenatore del Genoa. Su internet, a secondo di post, articoli e fonti varie, si fa riferimento almeno a cinque giorni differenti: 7, 21, 22, 24 e 27 luglio.
Ho avuto modo di leggere un articolo de “L’Unità” che parla di questo tragico evento. Si tratta di un’edizione del 23 luglio del 1964. Ma l’articolo pubblicato in quella edizione, che parla dell’incidente mortale riferendosi ad esso come “avvenuto il giorno prima”, è datato 22 luglio. Stessa cosa per “La Gazzetta dello Sport”. Del decesso di Santos si parla nel numero uscito il 23 luglio, ma anche in quel caso l’articolo è datato 22 luglio e in esso si dice che l’incidente mortale risale al giorno prima. Per questi motivi, direi che il tragico incidente automobilistico è da considerarsi avvenuto il 21 luglio del 1964.
L’articolo de “L’Unità”, dopo avere precisato che nell’incidente sono rimaste coinvolte anche la moglie Liana e le giovani figlie Merilde e Nicoletta (si ristabiliranno tutte e tre), fornisce ulteriori dettagli sui risvolti di quella tragica vicenda, ricostruendo al contempo il profilo biografico dell’allenatore argentino.
Dopo avere lavorato come fornaio in giovane età nella bottega del padre, Santos si era dedicato al calcio affermandosi come mezzala nel Rosario Central. A 25 anni si trasferì a Torino, nel periodo immediatamente successivo alla tragedia di Superga.
In seguito giocò anche nel Pro Patria dove, terminata la carriera di calciatore, quattro o cinque anni dopo iniziò anche quella di allenatore. Da allenatore tornò anche a far parte della squadra granata. E, dopo l’esperienza granata, fu la volta del Genoa. Tra i giocatori da lui valorizzati, nell’arco della sua intera carriera, troviamo Vieri, Ferrini, Rosato, Fossati e Meroni. E proprio nel passaggio di guida tecnica dal Toro al Grifone, Beniamino Santos si era portato con sé un po’ dei giocatori che aveva avuto con i granata: Fossati, Locatelli e Piaceri.
Uomo di carattere mite, attento ai rapporti umani con giocatori e addetti ai lavori, Santos aveva saputo convincere e trasmettere il suo credo alla squadra senza forzature e cattiverie. E il suo lavoro aveva indiscutibilmente dato dei buoni riscontri: dopo quasi vent’anni di “bassa marea”, il Genoa era tornato a navigare in acque più che tranquille. Meroni, invece, che Santos aveva trovato al Genoa, alla fine era destinato a muoversi in direzione contraria: dal Genoa al Torino. E, in qualche modo, furono proprio le vicende legate al trasferimento di Gigi Meroni a determinare involontariamente le cause dell’incidente mortale di Santos.
La cessione del fuoriclasse aveva creato fortissimi malumori tra i tifosi del Genoa, ma aveva anche fruttato un buon capitale. Santos, in quei giorni di vacanza in Galizia, era stato richiamato d’urgenza dalla dirigenza del Genoa per programmare adeguatamente gli acquisti imminenti e provare a calmare una tifoseria in piena contestazione. In effetti, il giorno dell’incidente, l’allenatore stava viaggiando con moglie e figlie in direzione della capitale spagnola proprio per rientrare in aereo in Italia.
Purtroppo il destino, sotto forma di un malore a sua moglie, mentre era alla guida dell’auto su cui la famiglia Santos viaggiava, portò ad un tragico epilogo. Un epilogo segnato dalla morte del mister argentino.
Anche la già citata “Gazzetta dello Sport” rende conto della tragica morte dell’allenatore genoano con due articoli. In uno si ricostruisce il profilo biografico del Mister argentino e nell’altro si forniscono ulteriori dettagli sull’incidente mortale.
Secondo il corrispondente della Gazzetta in Spagna, inizialmente le maggiori preoccupazioni erano state per la moglie di Santos (frattura di una spalla) e, soprattutto, per la figlia minore che aveva subito una lesione cranica. Beniamino Santos aveva dapprima prestato i primi soccorsi e poi, dopo che la moglie e la figlia minore erano state ricoverate, si era occupato della figlia maggiore che era l’unica persona uscita illesa dall’incidente. Ma, poco dopo, Santos sbiancò in volto e cadde improvvisamente a terra. Il medico lì presente non poté fare altro che constatare il decesso.
Per ciò che riguarda gli aspetti biografici atletico-sportivi di Santos, nell’altro articolo, la “rosea” precisa che, dopo la tragedia di Superga, la dirigenza del Torino si era concentrata immediatamente sulla ricostruzione della squadra, puntando all’acquisto di Di Stefano dal River Plate. Con il club argentino, però, non si era trovato l’accordo economico ed era stato lo stesso presidente del River, Antonio Liberti, a consigliare a quello granata, Ferruccio Novo, l’acquisto di Beniamino Santos, che era uno dei più prolifici goleador argentini di quel periodo.
Santos giunse quindi in Italia nel giugno del 1949. Nel Torino si impose come giocatore dal tiro potente e come rigorista infallibile, capace di giocare mezzala destra e mezzala sinistra, ottenne anche la fascia di capitano. Ma, un grave strappo muscolare prima e un infortunio poi, misero fine alla sua carriera.
Nel frattempo aveva avuto modo di militare nel Pro Patria e nel Deportivo La Coruña. A Busto Arsizio, Santos tornò nel 1957 come allenatore delle giovanili. Stesso incarico che ebbe due anni dopo col Toro. Ma negli anni immediatamente seguenti, il tecnico argentino divenne l’allenatore della prima squadra granata, incarico che mantenne fino al suo esonero nella stagione 1963-1963.
Secondo “La Gazzetta dello Sport”, un gruppo di soci granata non aveva perdonato a Santos il suo utilizzo di Peirò come ala sinistra, utilizzo che, tra l’altro, fu avallato da tutti gli allenatori a lui succeduti. La “rosea” sottolinea anche che l’esonero di Santos fu per certi aspetti sconcertante e paradossale. In effetti, avvenne dopo una vittoria esterna per tre a uno ai danni della Sampdoria. Nell’articolo commemorativo del quotidiano sportivo si legge infatti: “Santos è stato forse l’unico allenatore al mondo licenziato dai suoi dirigenti dopo una clamorosa vittoria su un difficile campo esterno”.
La “rosea” continua dicendo che nel 1964 Santos arriva al Genoa, ricostruisce pazientemente la squadra, lancia giovani fino ad allora ignorati come Bagnasco e Rivara e valorizza definitivamente Colombo e Meroni. Sempre secondo quanto scritto in quell’articolo, Santos ricevette il premio INA calcio come migliore allenatore straniero (una specie di Panchina d’Oro dell’epoca).
C’è anche un altro pezzo de “La Gazzetta dello Sport” che merita di essere ricordato. Si intitola “Come Genova ha reagito”. Ecco un estratto di questo articolo:
“In piazza De Ferrari i capannelli di tifosi si sono riformati. Ma l’assembramento della folla genovese non ha più nulla di scomposto, al contrario di sette giorni fa quando occorreva l’intervento delle Forze dell’Ordine per tenere a freno gli scalmanati che protestavano per la cessione di Gigi Meroni. La gente ‘genoana’ sosta in mesto silenzio sotto il Circolo rossoblù, alle cui finestre sono esposte le bandiere a mezz’asta della società. La morte improvvisa di Beniamino Santos ha annichilito Genova […]
[…] Alberto Lievore, General-Manager del Genoa e amico fraterno del tecnico scomparso non sa esprimere il suo doloroso stupore: ‘La sua migliore virtù era quella di saper creare i calciatori: Vieri, Buzzacchera, Poletti, Rosato, Ferrini, Cella, Albrigi, Crippa, Da Pozzo, Bagnasco, Fossati, Bassi, Rivara e Meroni, e forse ne dimentico qualcuno, devono a lui buona parte della carriera che stanno percorrendo oggi con autorità. Alla vigilia della conclusione della campagna acquisti gli avevano promesso che Meroni non sarebbe stato ceduto. In Spagna seppe poi che il suo ‘scugnizzo’ era servito a sanare il bilancio della società. In un primo tempo minacciò le dimissioni, poi ritornò ad essere quello di sempre. Disse che ci voleva pazienza e si ripromise di continuare a soffrire’.
‘Santos sarebbe stato il Garbutt degli anni Sessanta -dice l’Ing. Bottaro- dai tempi del tecnico britannico, infatti, un allenatore del Genoa non veniva così applaudito sulla panchina di Marassi’.
‘Sono un vecchio giocatore -afferma Pantaleoni- e posso dire che per la squadra ha fatto più Santos in un anno che i suoi predecessori in dieci. Era un uomo di grande sensibilità e di incredibile temperamento nonostante le apparenze’ […]
[…] Locatelli che a Santos deve tutto della sua carriera è ammutolito dalla costernazione “.
A quanto scritto negli articoli appena citati, vorrei aggiungere alcune considerazioni personali: come abbiamo appena visto, il tecnico argentino era arrivato a Genova l’anno prima dell’incidente mortale. In qualità di allenatore aveva dato un assetto stabile alla difesa del Genoa (quello fu l’anno del record d’imbattibilita di Da Pozzo), non disdegnando però di curare la fase offensiva che anzi, come già detto, aveva portato alla definitiva affermazione di Gigi Meroni.
Nella stagione 1963-64, il Genoa aveva finito il campionato con un più che onorevole ottavo posto e, nell’estate del 1964 (tre settimane prima dell’incidente di Santos in Galizia) aveva vinto la Coppa delle Alpi al Wankdorfstadion di Berna, in una competizione che aveva visto la partecipazione, tra gli altri, di Servette, Zurigo, Basilea e Roma.
Il Genoa, dunque, nonostante la cessione di Gigi Meroni, sotto la guida di Santos si apprestava a iniziare una nuova stagione con moderato ottimismo. Invece, nella stagione 64-65 finì terzultimo e retrocedette in serie B. È lecito pertanto pensare che, senza la tragica morte dell’allenatore argentino, le cose sarebbero potute andare diversamente.
Nella foto. Beniamino Santos con moglie e figlie nella sua casa in riviera. Fonte: Camillo Arcuri e Edilio Pesce, “Genoa and Genova. Una Squadra. Una Città. Cento Anni Insieme”, Ggallery, 1992.