GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimiliano Morelli) – Quella del 1990 per il calcio italiano fu una benedetta primavera. Mentre l’Italia pallonara freme in attesa di poter sbarrare gli occhi insieme a Totò Schillaci nelle splendide notti magiche del nostro Mundial, le sue compagini di club si guadagnano la scena europea a suon di trionfi. Uno dopo l’altro. Il 9 Maggio la Samp del profeta Vujadin aveva scaldato i cuori vichinghi della gelida Goteborg con gli epici supplementari, che avevano portato sotto la Lanterna la compianta Coppa delle Coppe. Di par loro, Juve e Fiorentina si erano contese in un indimenticabile passo a due, e tra mille polemiche, una Coppa Uefa, quell’anno tutta italiana. E ciliegina sulla torta, il solito Milan pane e tulipani, aveva bissato il trionfo sul trono più alto d’Europa, illuminando Vienna, e rovinando la festa a Eriksson e al suo Benfica.
Ma quell’anno, altri biancorossi, dal pedigree assai meno scintillante dei Lusitani di Svengo, si inventarono un’Europa che non avrebbero rivisto mai più.
C’è una parola qui a Bari che fa parte dell’immaginario collettivo popolare. Quasi come la fcazz (focaccia) e u’pulp (il polpo). È la Mitropa Cup. Quella coppa gigantesca, dal nome improbabile, che sa di guerra fredda e almanacchi Panini, è entrata nel cuore e nei racconti dei baresi, una calda sera di quella primavera europea. Era di maggio. Il 21 maggio di trenta anni fa. Quella sera, la città accende per l’ultima volta l’impianto di illuminazione e la grande storia del Della Vittoria, stadio epico già nel nome. Per l’inattesa notte di gala, primo appuntamento internazionale di una storia assai travagliata, i baresi affollano il vecchio stadio e sognano che l’Europa sia pronta ad aggiungere un posto a tavola. Da qualche anno, ed ancora per quel poco che le resta da vivere, la Coppa della Mitteleuropa, la più antica tra i trofei Europei per club, è diventata una sorta di Coppa dei Campioni di Serie B, aperta ai vincitori dei campionati cadetti dell’Europa Centrale. Per un calcio che ancora non è soffocato dall’overdose delle pay-tv, non fa differenza. Quello è un appuntamento da onorare. Che merita anche una diretta RAI, affidata all’allora giovane voce di Jacopo Volpi.
In campo, per la verità, di squadre italiane ce ne sono due. Strappo alla regola. La stagione precedente i Galletti di Salvemini si erano contesi spalla a spalla la vittoria tra i cadetti con il Genoa di Scoglio, finendo appaiati e guadagnandosi un doppio accesso alla Mitropa. Si gioca in Italia, come spesso accade in quel decennio, e i buoni uffici di Matarrese in FIGC portano a Bari la manifestazione. L’intenzione, a dire il vero, era che quella finale tirasse su il sipario, in diretta nazionale, sul fiore all’occhiello dei Kennedy di Puglia, quello stadio-gioiello, il San Nicola, pronto ad ospitare le Notti Mondiali. Ma in Italia, si sa, le cose non vanno mai come ci si aspetta. La creatura di Renzo Piano, a meno di un mese dal Mondiale, ha ancora bisogno di qualche ritocco, così per quella sera, il Della Vittoria val bene una Mitropa.
Bari e Genoa sono reduci entrambe da un’ottima annata, nella serie A che ha visto trionfare il Napoli di Maradona parte II. I Grifoni, guidati dalle prodezze sotto porta di “Fontolino” Fontolan e dal vulcanico “rombo” dell’indimenticato Professore, hanno conquistato una lusinghiera undicesima posizione. Ancor meglio hanno fatto i Baresi, tra le sorprese del campionato, con un decimo posto a soli tre punti dalla UEFA.
In un clima storico da tutti a casa, le avversarie delle due italiane hanno poco da far valere. Sino a quella finale, il Bari ha fatto fuori, e senza colpo ferire, i magiari del Pécsi e il Radnicki, club che batteva ancora orgogliosa bandiera jugoslava, prima che la storia spezzasse in mille frammenti l’Europa dell’Est. Il Genoa, di par suo, aveva onorato la trasferta pugliese, e s’era fatto strada sbarazzandosi degli slavi dell’Osijek e del glorioso Slavia Praga, a quel tempo cimelio di una Cecoslovacchia ancora unita, e veterana della Coppa.
La formazione biancorossa scesa in campo contro il Genoa (foto La Gazzetta del Mezzogiorno.it)
Il Bari si affaccia all’appuntamento con la storia presentandosi in assetto sperimentale. Salvemini è costretto a lasciare a casa alcuni dei titolari, reduci dalle fatiche della stagione appena trascorsa. Ma tra gli undici che scendono in campo trovano posto tanti degli idoli di casa. C’è il portierone Mannini, alla sua ultima presenza tra i pali dei Galletti. Ci sono Carbone, Brambati, e Lorenzo Amoruso (pronto a subentrare), tre giovani promesse che vestiranno poi casacche gloriose. Ci sono i due brasiliani veri, Gerson e Joao Paulo, che Janich ha portato in Puglia, scovandoli in contesti da Maracanà di Banfiana memoria, su consiglio di quel mago di Altafini. Manca però il più brasiliano di tutti, Pietro Maiellaro, lo Zar, assente quella sera, ma protagonista di una splendida stagione, costellata di colpi di prestigio, che hanno fatto spellare le mani alla Curva Nord. Altro grande assente Di Gennaro, il capitano, ex-nazionale e faro del Verona dei miracoli di Bagnoli. E manca pure Nestor Lorenzo, libero argentino incompreso e impacciato al centro della difesa biancorossa, ma aggregato alla Seleccion di Bilardo in partenza per il mondiale. Nessun problema. Al suo posto ecco un brillante escamotage tirato fuori dal cilindro magico di un regolamento che non peccava certo di fantasia. In sostituzione dei giocatori in ritiro con le nazionali, le partecipanti al trofeo possono farsi “prestare” qualche giocatore da altre società. Il Bari, tra l’imbarazzo dei suoi fan, pesca proprio nell’odiata Lecce la pedina di ricambio, e piazza al centro della difesa Ubaldo Righetti, col “bene placet” di Mimmo Cataldo, DS volpone giallorosso che già pensa di sistemarlo a Bari per la stagione che viene. Ma non se ne farà nulla e quella sarà l’unica esperienza di Righetti in biancorosso, prima di riabbracciare Mazzone a Pescara.
Il prezioso tagliando della partita (Collezione Museo del Bari)
Quella resterà agli annali come la serata di un altro grande idolo del Bari di fine ’80. È la maglia numero 7 marchiata Sud Leasing di Carletto Perrone, a prendersi la scena. Sono passati appena 14 minuti, quando il talentuoso furetto biancorosso, imbeccato da Terracenere, si invola sulla destra in un contropiede di quelli che si facevano ancora, e si fa beffa di Braglia, e della sguarnita difesa rossoblù. Con un tocco sotto che qualche anno più tardi avrebbero chiamato cucchiaio, Perrone si prende lo stadio per mano e fa un gesto di stizza alla sorte e ad un tremendo infortunio, patito in Coppa Italia, complice la rude caviglia del napoletano Renica, che quell’anno, l’ultimo in biancorosso, lo avevano tenuto per lungo tempo lontano dal campo.
Nulla può la flebile risposta dei genoani, quella è la sera di Perrone e di Joao, simboli di un Bari tutta fantasia che ha dato filo da torcere alle grandi del campionato. Bujica fischia la fine, Jacopo Volpi racconta agli italiani della quarta coppa europea alzata al cielo in un mese, e il Della Vittoria si congeda con i ricordi indelebili di un calcio che non c’è più, salutando nel modo più bello i suoi Galletti. Perrone e compagni scrivono a grandi lettere il nome del Bari nell’albo d’oro della gloriosa e nostalgica Mitropa Cup, accanto quelli di Bologna, Fiorentina, Pisa, Udinese, Milan e Ascoli, che già avevano portato in Italia “la nonna della Champions”, nelle passate edizioni di una lunga storia.
Bari e i Matarrese sognano un futuro radioso e internazionale nella neonata astronave pronta ad attenderli. Presto la Coppa sparirà misteriosamente dalla già scarna bacheca biancorossa. E con essa il sogno, ancora disatteso, di rivedere il Bari in Europa.
Carlo Perrone e Vincenzo Matarrese sollevano la Mitropa Cup appena conquistata (foto it.wikipedia.org)
A tal proposito, la scomparsa della Coppa, il Museo del Bari, nella persona di Franco Egidio, ci ha rilasciato questa dichiarazione: “Sin dalla nascita del Museo del Bari uno dei primi obiettivi che ci siamo posti era, ed è, quello di ritrovare l’unico trofeo importante vinto dal Bari: la Mitropa Cup. Un trofeo miseramente svanito a causa anche di ben quattro cambi di presidenza e tre fallimenti negli ultimi sei anni. Non sarà facile ma ci stiamo lavorando, così come stiamo pensando a soluzioni alternative ma non sveliamo nulla. Una cosa e’ certa… ci saranno delle sorprese…”. Noi de GliEroidelCalcio saremo qui a raccontarvele…
Classe 1981, biologo e ricercatore del CNR, con la testa. Con il cuore, tante altre cose. Scrittore dilettante, appassionato di calcio e di un colore, il biancorosso, che lo accompagna dal primo vagito, emesso quando sulla panchina sedeva Catuzzi, e il Bari giocava il calcio più bello d’Italia. Sarà stato quell’imprinting a farlo innamorare del pallone e delle sue storie. Oggi è curatore della pagina Facebook “Una storia chiamata Bari”.