GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Giovannone) – A dispetto di quanto sostiene qualcuno, il derby di Roma, non è mai stata una partita come tutte le altre. La città ha sempre vissuto con trepidazione gli incroci tra le due squadre capitoline: una, la Roma, che rappresenta il popolo, la passione della gente che popola i vecchi rioni, e che porta i colori della città stessa; mentre, un’altra, la Lazio, che incarna, invece, lo spirito delle élite, dei quartieri più altolocati, le tradizioni legate all’Impero, e il vanto di aver portato, prima di chiunque altro, il calcio nella capitale. Due rette parallele, insomma, che non si sono mai sfiorate, l’una con l’altra.
Storicamente, le stracittadine, vista la forte rivalità tra le due fazioni, sono quasi sempre incontri nervosi, equilibrati e raramente spettacolari, dove a farla da padrona è più la paura di perdere, che la voglia di superare l’avversario.
Il prezioso tagliando d’ingresso
Alla soglie degli anni duemila però, le cose cambiano, gli equilibri si spezzano, e la sequenza infinita di pareggi, che caratterizza i primi anni ’90, viene interrotta da alcune partite spettacolari, caratterizzate da risultati pirotecnici, complici, da una parte, la forte ascesa verso le posizioni di vertice in Italia, prima dei biancoazzurri di patron Cragnotti, e poi dei giallorossi, del compianto presidente Sensi, e, dall’altra, la presenza sulle panchine delle due squadre, di allenatori meno inclini alla tattica, e più votati allo spettacolo, rispetto al passato.
La stracittadina che va in scena il 21 novembre 1999 allo Stadio Olimpico di Roma, oltre a certificare il ritorno della Roma sui palcoscenici che contano, dopo anni trascorsi nelle retrovie, ad osservare le gesta dei cugini laziali, spesso in lotta per il titolo, viene ricordata, anche, come l’ultimo derby del millennio.
La Lazio e la Roma sono, come poche altre volte accaduto nella storia, compagini fortissime. Cragnotti e Sensi, allestiscono due squadre zeppe di campioni: Nesta, Simeone, Veron, Nedved, Salas, solo alcuni dei fuoriclasse a disposizione dell’allenatore svedese, della Lazio, Sven Goran Eriksson, mentre Aldair, Cafù, Candelà, Totti, Montella, sono, invece, solo alcuni di quelli a disposizione di Fabio Capello, quest’ultimo, alla sua prima annata, sulla panchina giallorossa, e chiamato a riportare, il prima possibile, i giallorossi, in vetta al campionato.
Di rado le due squadre capitoline si trovano a duellare per i vertici della classifica, sempre appannaggio della Juventus, e delle milanesi. Proprio per questo motivo, e per la storica rivalità cittadina, quel giorno all’Olimpico si registra il tutto esaurito, quasi 78.000 spettatori sugli spalti, atmosfera incredibile, e tifo nelle curve da lasciare senza fiato. Una menzione speciale merita quanto si vede nella curva Sud, quella romanista; forse, uno degli spettacoli più belli nella storia delle scenografie della stracittadina: un telone gigantesco, con lo sfondo bianco, su cui appare il disegno di un gruppo di guerrieri che si appresta a combattere, contornato da un mare di cartoncini gialli e rossi, e la frase impressa sullo striscione, alla base dell’enorme drappo, che recita: “Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma”, ispirata ad un verso del poeta Orazio Flacco Quinto (in latino “Possis nihil Urbe Roma visere maius”), che venne musicata anche da Puccini, e ripresa nelle strofe dell’Inno a Roma. Quella frase appare quasi profetica, perché è davvero difficile vedere qualcosa di più grande, e prorompente, della Roma scesa in campo, quel giorno, sul prato dell’Olimpico.
Nonostante la squadra di Eriksson preceda in classifica quella di Capello (Lazio capolista a più cinque punti sui giallorossi) e abbia i favori del pronostico, la Roma appare subito in palla ed in grado di sovvertirlo. I tre attaccanti della nazionale italiana, lì davanti, sono inarrestabili: il capitano Francesco Totti, (“Super”) Marco Delvecchio e Vincenzo Montella (alias “aeroplanino”), confezionano una delle migliori prestazioni corali, della loro carriera, in casacca giallorossa.
Non ci sono schermaglie, l’avvio della Roma è bruciante, e al 7’ minuto i giallorossi sono già in vantaggio, grazie a Marco Delvecchio che, servito da una perfetta verticalizzazione del prezioso, e mai giustamente apprezzato Cristiano Zanetti, batte il portiere laziale Marchegiani con un imprendibile sinistro a fil di palo. I biancazzurri accusano il colpo, abbozzano una timida reazione, ma passano solo altri quattro minuti e, questa volta, è “aeroplanino” Montella a punire ancora la Lazio, scattando sul filo del fuorigioco, e insaccando con un pallonetto di classe cristallina, la porta difesa dall’estremo difensore laziale, che si impegna, comunque, in una disperata, quanto vana, uscita.
I tifosi sugli spalti non credono ai loro occhi, sono solo trascorsi undici minuti e già il destino dell’incontro appare segnato: quelli giallorossi se li stropicciano, e pregustano già un lunedì mattina al bar, con colazione pagata e sfottò per i cugini, mentre quelli biancocelesti cominciano, invece, ad assaporare una giornata, ed una settimana a venire, tremendamente amara.
Sarebbe legittimo ipotizzare una reazione della fortissima, ed esperta, squadra di Eriksson, invece, sono i ragazzi di Capello che, pur amministrando la gara, sfiorano, al culmine di un’azione meravigliosa, la terza marcatura con l’indiavolato Delvecchio. Lui stesso, però, poco dopo, non sbaglia e, al minuto ventisei, riprendendo un pallone calciato da Totti, porta a tre le segnature della Roma. Il risultato maturato è così repentino ed eclatante, che neanche Marco ci crede e, durante i festeggiamenti per il goal, propone una strana esultanza, in cui simula, infatti, di prendersi a schiaffi da solo, e sembra voler dire … tutto troppo bello per essere vero!
Basterebbero già tre segnature per affossare l’avversario, ma, quel giorno, Vincenzo Montella non vuole essere da meno del suo compagno di reparto, già marcatore di due reti, e approfitta, quindi, della tenuta vacanziera della difesa laziale: trascorrono solo altri tre minuti, e lo scugnizzo di Pomigliano, sfruttando al massimo un rilancio lungo, e senza pretese, del difensore Mangone, brucia sullo scatto lo stordito Mihajlovic, dribbla il portiere biancazzurro, e insacca a porta vuota, ancora una volta.
Nonostante ci sia ancora un quarto d’ora circa, prima dell’intervallo, la Lazio riesce a non prendere altri goal, e la prima frazione di gioco si chiude quindi sul 4-0 per la Roma, risultato davvero clamoroso, a queste latitudini.
I biancoazzurri, nella ripresa, ci provano a riprendere le redini della partita, almeno per evitare punteggi tennistici, e salvare l’onore. La Lazio si fa quindi sotto e, al sesto minuto, l’arbitro concede ai ragazzi di Eriksson un rigore, per un fallo di mano in area di Aldair, che Sinisa Mihajlovic trasforma sotto la curva Sud romanista, nonostante il bravo Antonioli intuisca la traiettoria. I tifosi romanisti provano sulla pelle un piccolo brivido, e nell’anticamera del cervello di alcuni, i più pessimisti forse, comincia ad albergare un timore di rimonta, da parte degli odiati cugini.
Al 15′ è ancora il serbo a insidiare la porta giallorossa con una punizione, che il portiere giallorosso riesce miracolosamente a respingere, con l’ausilio del palo, e quindi a salvare. Forse è proprio in questa circostanza, che si spengono, definitivamente, le flebili speranze laziali di recuperare la partita.
La Lazio, nonostante tutto, continua a spingere, principalmente per onore di firma, ma la Roma vince, e i suoi tifosi possono cominciare a sognare, che il condottiero Fabio Capello, da Pieris, riporti nella capitale, sponda romanista, un tricolore che manca, ormai, da molti, troppi, lustri.
I biancazzurri, alla prima sconfitta in questo campionato, escono, comunque, demoralizzati e ridimensionati da questo Derby. In classifica, la compagine laziale viene così raggiunta a quota 21 punti dalla Juventus, mentre la Roma, salendo terza a 19 punti, propone fortemente anche la sua, di candidatura, per la vittoria finale del titolo.
Nonostante la sonora sconfitta, la Lazio riprende comunque il suo cammino virtuoso e cancella, almeno in parte, quanto accaduto. Alla fine dell’anno si toglie, infatti, la soddisfazione più grande, ovvero quella di laurearsi campione d’Italia a scapito della Juventus. La Roma, dovrà attendere, invece, un altro anno per portarsi a casa lo scudetto.
Mai come questa volta, chi vince una battaglia, non può certo raccontare di avere vinto la guerra.
Innamorato del calcio, tifoso della Roma e di professione bancario. Sono qui perché mi hanno sempre appassionato il giornalismo e la scrittura.
Ad maiora.