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23 giugno 1982: l’Italia affronta il Camerun nella terza giornata dei Mondiali 

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23 giugno 1982: l’Italia affronta il Camerun nella terza giornata dei Mondiali

Il 23 giugno 1982 ultima partita del primo eliminatorio dei mondiali. Di scena Italia e Camerun. Ma un passo indietro: il 22 giugno apre la terza e conclusiva tornata Polonia-Perù.

Il 5-1 finale a favore della squadra dell’Europa orientale si commenta da solo: la Polonia semplicemente ha surclassato i peruviani.

Tutti e sei gol nel secondo tempo: al 55’ Smolarek porta in vantaggio la Polonia, dopo un errore difensivo avversario; al 58’ Lato raddoppia dopo che i sudamericani sbagliano i tempi per eseguire il fuorigioco; al 61’ Boniek segna il suo primo gol mondiale; al 68’ Buncol porta a 4 le reti polacche al termine di un contropiede iniziato da Lato; al 76’ Ciolek ancora su contropiede, avviato ancora dall’ottimo Lato, fa centro; al 83’ La Rosa segna per i peruviani.

Una gara che avrebbe potuto contare più reti, considerate due traverse, una per parte. E viene spezzata tutta quella serie di pareggi che avevano fatto del girone A il raggruppamento più sciatto e scialbo dei 6 previsti per le eliminatorie.

La vittoria polacca con quello scarto non arride all’Italia, che se vuole classificarsi come prima piazzata ed evitare il Brasile e l’Argentina nel secondo turno, deve fare la goleada. Ma in quei frangenti di tensione della vigilia all’Italia interessa intanto passare il turno; al resto si sarebbe pensato cammin facendo. Il 23 giugno, come detto, è il giorno in cui si gioca Italia-Camerun.

O dentro o fuori. Come promesso dal CT all’interessato nei frangenti della sua sostituzione durante la partita con il Perù, l’Italia rischiera Rossi. Al riguardo, Bearzot continua per la propria strada, malgrado tutte le critiche, ripetendo, con i dovuti adattamenti dettati dalla particolare circostanza, un concetto già ribadito: “Contro il Perù Paolo è andato in crisi come succede a tutti i grandi giocatori, avrà l’occasione per prendersi una rivincita. Solo giocando può migliorare.

Non mettiamo in piedi un processo per favore. Contro la Polonia aveva giocato alla grande e sono convinto di fare il bene di Rossi e della nazionale facendolo giocare. Il problema della condizione fisica con lui non c’è”. Così, nei confronti di Rossi richiama il detto di Gipo Viani: “la classe alla lunga non tradisce mai”.

Ma con Franco Mentana della “Gazzetta dello Sport” il 23 giugno 1982 il CT azzurro scende nei particolari, al di là delle posizioni di principio, spiegando come contro il Camerun – ritenuto sì compatto, capace di chiudersi bene in difesa e abile a non sciupare energie, ma, al contempo, per mancanza di esperienza internazionale, fondamentalmente debole nella stessa struttura difensiva – gli servissero l’agilità e la rapidità di Rossi, combinate con la forza d’urto di Graziani, al fine di aggirare il muro avversario (quella contro il Camerun era ritenuta, dunque, da Bearzot la partita adatta per Rossi).

Per cui, la squadra africana bisogna aggirarla con la velocità prima che si asserragli, altrimenti sarebbe difficile sorprenderla. Per Bearzot, inoltre, è necessaria razionalità di piani e non attacchi allo sbaraglio, con veloci manovre difesa-offesa in modo da non fare ragionare il Camerun; inoltre affida Milla, il più pericoloso attaccante avversario, a Collovati.

Rispetto alla formazione che ha giocato con il Perù, si nota un solo cambiamento: Oriali al posto di un acciaccato Marini. La vigilia è tesa: lo confermano a “Sfide” del 12 luglio 2013 Zoff, che testimonia che la tensione, la paura di sbagliare era tanta, e Tardelli, che riferisce che era rimasto realmente impressionato nel vedere nel sottopassaggio dello stadio i camerunensi con le radioline cantare, suonare e ballare con nonchalance, assolutamente tranquilli.

Questo particolare dello stato d’animo degli africani è confermato anche da Gentile, che a sua volta nota le medesime scene negli spogliatoi e rimane colpito e forse anche preoccupato dalla strana e per noi inusuale e inspiegabile euforia degli avversari, e da Cabrini, che conferma, altresì, che in quel tipo di competizione non vi erano più squadre materasso.

D’altronde, non doveva lasciar sereni il fatto di rischiare di essere eliminati da una squadra che non era esattamente quotata come il Brasile del ’70.

La tensione deve aver toccato, almeno in parte, anche Bearzot, che alla vigilia della partita non si è soffermato con i giocatori per fornire disposizioni tattiche, come già occorso nelle due partite precedenti, ma si è intrattenuto con gli stessi, per chiedere come stessero, volendoli rassicurare ed essere assicurato.

Però, i giocatori non esternano sensazioni di paura, circostanza che il CT ha potuto evincere già guardandoli negli occhi. Anzi, Graziani ha potuto azzardare che se si fosse sfondato nei primi minuti, si sarebbe potuto fare la goleada (più o meno identico il pensiero di Conti, l’italiano più temuto dall’allenatore del Camerun).

Riguardo ai camerunensi, N’Kono ha successivamente affermato che sentiva che avrebbero perso. Tant’è. Comunque, Bearzot ufficialmente all’esterno mostra sicurezza, se è vero che già a Franco Mentana della “Gazzetta dello Sport” fa presente la propria fiducia, invitando a preparare le valigie per Barcellona (per il secondo turno.) Il CT non avrebbe mancato di scherzare con Gentile, che è nato in Libia, chiedendogli se fosse stata sua intenzione fare qualche favore ai suoi “cugini” africani.

Ma senza dubbio le certezze di Bearzot non venivano fatte proprie da quei giornalisti che in quel contesto pubblicavano titoli come “Il Camerun ci fa neri?”, “L’Italia vede nero”, “È ora abbiamo una fifa nera”.

Oppure “La Corea siamo noi”, in cui tra l’altro si polemizzava in questi termini: “Noi ci alleniamo per tre ore al giorno non più di quattro volte la settimana, e solo i ladri riescono a guadagnare i nostri soldi lavorando di meno”.

Tosatti con un articolo uscito nel “Corriere dello Sport-Stadio” lo stesso giorno della partita, il 23, è impietoso e sferzante. Titolo: “Dopo il risveglio polacco si aspetta il nostro”. Vi è scritto: “Così oggi l’Italia (al settimo posto fra i paesi più industrializzati del mondo, al sesto nella classifica dei successi olimpici con 329 medaglie, al terzo dopo Brasile e Germania nella storia del calcio mondiale, all’avanguardia in quasi tutti gli sport alla cui crescita ha dato un formidabile impulso di tecnica e di campioni) assiste tremebonda all’incontro della sua nazionale con quella del Camerun (sei milioni di abitanti, una sola medaglia d’argento con un pugile alle Olimpiadi del ’68, nessun titolo sportivo in campo mondiale, meno di diecimila calciatori contro i nostri ottocentomila e passa).

Un Paese calcisticamente così arretrato da dover importare allenatori dall’estero sia per le squadre di club che per la nazionale. Vincent, il francese che guida attualmente i “leoni del Camerun”, li ha presi in consegna due mesi prima dei mondiali: eppure è riuscito a dar loro un gioco e schemi assai più lucidi e precisi di quelli approntati da Bearzot in anni di lavoro.

Basterebbero questi dati a dire in quale grottesca situazione ci abbiano condotto le incertezze e gli errori del CT, il dilettantismo e l’improvvisazione dei dirigenti, la presunzione e la labilità caratteriale di giocatori incapaci di capire i propri limiti e di porvi rimedio”.

Parole che suonavano come mazzate. Gli azzurri vivevano questa situazione in uno stato particolare, come fossero accerchiati da truppe ostili: Causio, che in quei giorni difendeva a spada tratta la squadra (non mancava di dire che il meglio del calcio italiano stava lì, in Spagna) e le scelte di Bearzot, lamentava, tra l’altro, che “mi sto accorgendo che c’è diversa gente che si augura che noi non arriviamo a Barcellona e questo mi fa imbestialire” (Gazzetta dello Sport del 23 giugno 1982).

Detto questo, si potrebbe dire che il Camerun aveva il vantaggio di non aver niente da perdere (a differenza dell’Italia, che in caso di sconfitta, era meglio, per dirla con Gentile, non rientrare in patria – altro che pomodori!).

Ma non vi sarebbe stato il fattore sorpresa perché già il Camerun era sufficientemente conosciuto nei suoi pregi e difetti. L’Italia poteva avere dalla sua il fatto di essere teoricamente più forte e di poter disporre di due risultati su tre: il Camerun per passare il turno doveva vincere; quindi doveva attaccare e scoprirsi.

Il che poteva agevolare il piano di Bearzot che si basava sulla velocità delle ripartenze e sull’agilità di Rossi. E adesso la partita. Si dica da subito che non è stata una bella gara. È già dai primi minuti Nando Martellini nella sua telecronaca segnala come le squadre apparissero contratte, segno di tensione, data la posta in palio; il che condannava a ritmi non elevati.

L’Italia attacca in tutto il primo tempo, crea occasioni (almeno 5) e dopo pochi minuti dall’inizio, a seguito di un cross di Gentile, Graziani di testa manda di poco al lato. Al 10’ Antognoni su punizione serve Conti, che, solo davanti a N’Kono – con la difesa avversaria ferma forse perché crede vi sia un fuorigioco, inesistente –, spara incredibilmente a lato (Conti dirà che avrebbe voluto fare un preziosismo alla Maradona, tirando di esterno sinistro, con il risultato che ne era venuto fuori uno schifo).

Al 16’ Rossi non riesce a girarsi per battere in rete un pallone interessante. Successivamente Cabrini, servito da Conti, impegna di testa severamente N’Kono. E Collovati colpisce la traversa di testa dopo un calcio d’angolo di Conti.

Nella ripresa l’Italia al 61’ segna: traversone di Rossi, colpo di testa di Graziani e gol, con N’Kono che non può arrivarci perché nell’occasione scivola. Un minuto dopo, il pareggio camerunense.

L’azione non viene seguita bene dalle telecamere: si vede solo la fine, con Abega che manda la palla al centro, tocco di Kunde e poi M’Bida, che sigla la rete, con la difesa italiana che pare essere stata colta in contropiede.

Qualche protesta di Zoff, che ritiene ci fosse stato un fuorigioco (credo a ragione). Dopo, di rilevante solo una punizione di Antognoni, che offre la possibilità a Graziani di un colpo di testa che N’Kono respinge.

Ma la partita incredibilmente scorre letteralmente nel nulla, con l’Italia che non riesce a ideare alcunché di realmente menzionabile e degno di considerazione, oltre che veramente insidioso nei confronti degli avversari: Conti vive una giornata no (l’unica capitatagli nel Mundial), gli incursori Tardelli e Cabrini non brillano, con il primo, forse stanco, che solo poche volte preme e con il secondo che, mentre in funzione difensiva controlla agevolmente Tokoto, come ala, a sua volta, viene neutralizzato egregiamente dal predetto avversario, come da consegna da parte del trainer Vincent.

Graziani qualcosa fa vedere, ma non sarebbe stata certamente questa la sua migliore partita. Rossi nel secondo tempo evidenzia qualche segnale di ripresa, ma ancora non è arrivato il giorno ottimale.

Per il resto, buona la difesa, in particolare con Collovati che annulla Milla. Buona prova di Oriali che controlla Abega e tiene il centrocampo in maniera egregia. Sufficiente Antognoni, anche se è andato a corrente alternata, con qualche punizione imprecisa, inframezzata a qualche bel cross.

Il Camerun a un certo punto non incalza e non si mostra più in avanti, forse per stanchezza, forse per limiti tecnici, e dà l’impressione di accontentarsi del pareggio. Sarebbe tornato a casa senza nessuna sconfitta, il che può essere considerato come un trionfo per una debuttante.

Ma il suo attendismo, il suo non giocare, il suo essere rinunciatario danno immediatamente la stura a qualche sospetto. L’Italia, senza gloria, come commentato da Martellini e come rilevato dai giornali, va avanti, unica squadra qualificata senza aver vinto una partita.

Qualificazione ingloriosa quanto si vuole, ma raggiunta, e questo per intanto basta. Bearzot, comunque, difende la propria squadra e non accetta il commento di qualificazione “vergognosa” (del resto, De Gaudio se la prende con i giornalisti dai titoli sempre “esagerati”).

Fa presente che con il Camerun avrebbe voluto vincere (5 punti complessivi erano stati programmati), sperando che questi attaccassero per liberare spazi a Rossi (comunque, fa presente come fossero state colpite tre traverse, due con Collovati e una con Tardelli).

Non è d’accordo con chi definisce precaria la condizione fisica degli azzurri. Non accetta le critiche a Conti, che, a detta dei giornalisti, da destra non sarebbe in grado di crossare o non sa crossare punto, perché mancino: secondo il CT Conti è ambidestro; e certamente cambiandogli posizione non avrebbe risolto i problemi.

Per Bearzot la partita contro il Camerun è stata condotta con intelligenza e, a un certo punto, non sarebbe stato necessario o opportuno esporsi più di tanto: sufficiente essersi qualificati. Si sarebbe cercato di migliorare in futuro.

Del resto, ripete che con le squadre meno famose, che non è detto fossero meno subdole di quelle più blasonate, si fa presto a fare brutte figure. Il CT ribadisce, inoltre, che non avrebbe cambiato tanti giocatori: perché, anche se qualcuno non giocava bene, comunque gli avversari se ne preoccupavano lo stesso.

E questo vale anche per Rossi, visto più reattivo e pronto. Il CT non si impensieriva neanche del fatto che contro il Camerun si fossero fallite ben 6 punizioni: sarebbe andato meglio la volta successiva, e, comunque, chi li tirava era lo specialista.

Come non era spaventato Bearzot di fronte all’idea di giocare contro Argentina (che non era stata brillante contro El Salvador – solo qualche giocatore era da seguire con più attenzione) e Brasile (definito un gran collettivo da affrontare con opportuni accorgimenti): e non lo era neanche Tardelli, che si diceva sicuro che sarebbe andata in semifinale l’Italia.

Egli racconterà: “Stavamo bene, non avevamo niente da perdere. Ci conoscevamo, ci si proteggeva l’uno con l’altro. Fu Bearzot a cementare il gruppo.

Lui ha sempre creduto in noi, ma anche noi credevamo nelle nostre possibilità. Sapevamo di essere una grande squadra, una squadra di corsa.

Non ci mancava niente.” Rossi affermava che contro l’Argentina aveva sempre giocato bene. Oriali era sereno: di occasioni ne erano state create.

Graziani ammetteva che dopo il pari camerunense si era perso di lucidità. Cabrini valutava positivamente la partita e metteva in chiaro che contro le sudamericane vi sarebbe stato il vantaggio di giocare di rimessa.

L’allenatore del Camerun non aveva nulla da recriminare: la difesa italiana era forte; la propria squadra antecedentemente avrebbe dovuto battere la Polonia. Ma il 24 giugno, come nei giorni immediatamente successivi, prima delle vittorie con le due squadre sudamericane, la stampa avrebbe stroncato il cammino sin lì percorso dagli azzurri.

Alla squadra veniva imputata povertà di idee, mancanza di schemi, scarsa preparazione atletica. Emblematico per dare un’idea del discredito che ormai avvolgeva la nostra nazionale l’articolo del 24 giugno di Ezio De Cesari del “Corriere dello Sport-Stadio” dal titolo “Graziani su papera di N’Kono poi M’bida (e paura)” .

De Cesari scriveva: “Rossi, sì, dalla paura e dalla sofferenza per non dire dalla… vergogna. Abbiamo dovuto aspettare l’ultimo fischio dell’arbitro con il cuore in gola (dopo esserci messi a perdere tempo nei minuti finali) per il timore che il Camerun ci combinasse un brutto scherzo e ci strappasse anche quel punticino che bene o male (più male che bene), ci ha mandato a Barcellona”. “La Gazzetta dello Sport” con Gianni de Felice (titolo dell’articolo “Un confronto”) il 24 faceva un impietoso confronto tra il primo turno della nazionale italiana in Spagna e quello in Argentina 4 anni prima.

Il giornalista sottolineava come la promozione si fosse concretizzata senza “lo squillo di un’impresa: come per esempio quella con cui la Polonia s’è riscattata di fronte ai peruviani. Non siamo riusciti a realizzarla neanche contro un Camerun che non azzardava, che si dimostrava stranamente pago del pareggio rinunciando all’azione con passaggi al portiere anche nel finale”. (…)

Abbiamo anzi tremato, via via che trascorreva il tempo, al cospetto che i temuti “leoni” potessero improvvisamente svegliarsi dal letargo. Mancano 30 secondi… 25…10’: scandiva drammaticamente il telecronista Martellini”. (…)

Andiamo a Barcellona a incontrare argentini e brasiliani nel più titolato raggruppamento che la storia dei mondiali annoveri (…) Ma siamo i parenti poveri e decaduti del sontuoso banchetto. Corriamo poco, ci lasciamo anticipare, sbagliamo passaggi e tiri sotto porta: in nazionale come in campionato. L’abbiamo visto anche ieri.

Il confronto col Camerun ci ha aperto la via alla qualificazione alla seconda fase ma ci ha anche ricordato che “il caso Italia” resta”. Forse ancora più critico il “Corsera” con Bugialli, sempre il 24, che esplicitamente diceva che avevamo evitato un’altra Corea solo perché il Camerun non aveva un vero attaccante.

Ma, in generale, abbondavano le critiche a Bearzot, a Rossi, a questo o quell’aspetto del gioco, a tutto, si potrebbe dire: ormai ci davano per spacciati, dato che i futuri avversari erano Brasile e Argentina (nella migliore delle ipotesi si concedeva a Bearzot la speranza che il confronto con squadre così blasonate potesse solleticare prove d’orgoglio).

Speranza che però veniva accantonata come sogno, tanta la scarsa fiducia di cui si nutriva nei confronti degli azzurri. In quei frangenti trovare articoli di giornale che immaginassero anche lontanamente qualcosa di ottimistico (meglio dire qualcosa che non fosse tanto profondamente e irrimediabilmente nero) era cosa ardua; praticamente erano inesistenti.

Forse quello più “ottimista” poteva essere quello di Raffaello Paloscia de “La Nazione” di Firenze, datato 25 giugno, dal titolo “È dura, ma sperare non è proibitivo”. Nello stesso il giornalista così si pronunciava: “Certamente la squadra vista nelle ultime partite del primo turno non sarebbe in grado di opporsi con possibilità di successo alle due grandi rappresentanti del calcio sudamericano. (…)

Nonostante tutto continuiamo a sperare nel risveglio di Paolo Rossi, nell’abilità di Conti, nella compattezza del blocco difensivo della Juventus, nell’accoppiata Tardelli-Antognoni al centrocampo”, (lette con il senno di poi, queste parole prefiguravano tutte le condizioni che permetteranno all’Italia di vincere il mondiale; ma ipotizzare tutto questo in quel momento sarebbe apparso utopia a tutti gli addetti ai lavori…. tranne che a Bearzot, che aveva preventivato la figuraccia del primo turno, che era convinto che il vento potesse girare e che nel chiuso degli allenamenti vedeva come i propri giocatori non fossero da buttare via, come poteva sembrare).

Ma a parte questo articolo, che regalava qualche chance agli azzurri, il resto quando non era pessimista era scettico; al massimo venivano espressi voti a che l’Italia almeno si potesse destare, per un motivo o per un altro, dal torpore del primo turno, o che potesse sfruttare e capitalizzare le proprie capacità difensive.

Un articolo che esortava gli italiani a scuotersi era quello di Ludovico Maradei del 25 giugno, pubblicato da “La Gazzetta dello Sport”. Il titolo era chiaro: “Perché il girone di ferro può scuotere gli azzurri”. Il passaggio fondamentale è questo: “Contro Brasile e Argentina, non avendo proprio nulla da perdere, da questo momento possiamo solo cominciare a guadagnare qualcosa. (…)

Responsabilità non ne abbiamo più, Rossi può uscire dall’incubo, una partita “straordinaria” la si può sempre inventare”. Questo articolo centrava un bersaglio: Bearzot, che studiava attentamente gli avversari, avrebbe inventato non una partita “straordinaria” ma tutte le altre 4.

Ne era in grado. Ma quelli non erano frangenti in cui venivano riconosciuti capacità di inventiva a un bistrattato Bearzot. Non gli si riconosceva capacità, e basta. Basti vedere un articolo come quello di Tosatti del “Corriere dello Sport-Stadio” del 25 giugno (“Incapaci di vincere possiamo far meglio giocando per non perdere”) che, al riguardo della convocazione di Rossi, si domandava “quali conoscenze di sport abbia gente convinta di poter utilizzare Bettega pochi giorni dopo che gli è stato tolto il gesso e di poter cavare qualcosa da un atleta ridotto nelle condizioni di Rossi”, (ovvero con tre menischi rotti, due anni di inattività e più di 2 chili in meno). “Lui stesso, povera anima, non merita di essere esposto, per testardaggine, a figure così misere: ha un nome, un prestigio, un futuro da difendere”.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)

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