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“La Corea è uscita dalla scena salutata dagli applausi che toccano ai generosi”
Le parole di un attentissimo Giorgio Mottana, inviato de La Gazzetta dello Sport durante il Mondiale ’66, racchiudono la favola calcistica di una nazionale partita in sordina e diventata la rivelazione del torneo.
Perché la Corea del Nord di mister Myung, squadra tutta corsa e tenacia, era riuscita a spingersi verso gli impensabili e, all’inizio irraggiungibili, quarti di finale. La vittoria contro la deludente Italia, firmata da un bel destro di Pak Doo Ik, aveva aperto le porte dell’olimpo calcistico, spingendo gli asiatici accanto a potenze del calibro di U.R.S.S., Portogallo, Germania, Inghilterra, Uruguay, Argentina e Ungheria.
La favola era destinata a continuare, o almeno era questo il volere dei 50.000 di Goodison Park, ormai innamorati ed estasiati da una rivelazione che provocava stupore e ammirazione sportiva.
Eusebio e compagni, proiettati verso l’obiettivo della finale, rimasero fuori dall’impianto inglese per circa mezz’ora. Una compagine spaesata e letteralmente divorata dal pressing coreano, efficace in ogni zona del campo e pungente nelle ripartenze verso l’area portoghese. Chiedere all’estremo Jose Pereira, trafitto dopo appena un minuto dal bolide di Park Seung Zin e poi, in sequenza e nel giro di 25 minuti, da Li Dong Woon e Yang Seung Kook.
Una corsa sfrenata verso il successo, verso la gloria sportiva. Una corsa, però, un pò troppo forte per durare novanta minuti. Il Portogallo del brasiliano Gloria, infatti, riuscirà a ribaltare la partita grazie al suo fuoriclasse indiscusso, quell’Eusebio venuto dal Mozambico che sarà capace di siglare 4 gol tra il 27esimo ed il 59esimo. La cinquina verrà completata dal colpo di testa sotto misura di Josè Torres.
La favola della bellissima Corea del Nord finirà un giorno di Luglio di 55 anni fa, in una delle partite mondiali più belle di sempre.