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23 MAGGIO 1991 -Il ‘Bruno Conti day’: in 80 mila per il saluto a Marazico

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LAROMA24.IT (Federico Baranello) – Per chi ha la Roma nel cuore il 23 maggio 1991 è una data davvero particolare. Ci si sveglia nello sconforto, nell’amarezza, nella delusione. Ci si sveglia sconfitti. La sera prima la Roma aveva giocato la gara di ritorno della sfida tutta italiana della finale di Coppa UEFA. La Roma vince 1-0 ma non basta per poter alzare al cielo la coppa visto il 2-0 della partita di andata a San Siro contro l’Inter. Ancora una finale europea persa e ancora tra le mura domestiche. Una sconfitta che fa ancora molto male. La sera dopo, però, il popolo giallorosso si ritrova di nuovo all’Olimpico, vincendo lo sconforto e raccogliendo l’invito di Bruno Conti per il suo “Granfinale”.

Titolo per questa celebrazione non poteva essere più giusto. In diretta Rai si affrontano la Roma Campione d’Italia ’83 e una selezione brasiliana. È l’occasione per rivedere gli eroi di quello splendido Scudetto, come Tancredi, Nela, Maldera, Righetti, Falcao, Giovannelli, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei, Ancelotti, Superchi, Faccini, Valigi, Nappi e Chierico.  

Sugli spalti ci sono oltre 80.000 tifosi giallorossi, tifosi di Bruno Conti. Fumogeni, bandierine, sciarpe: lo stadio è in piedi per accogliere e ringraziare i suoi campioni. I campioni d’Italia, chiamati uno ad uno, fanno il loro ingresso. In sottofondo l’inconfondibile “musichetta” dello spot della Barilla. Poi l’ingresso in campo del folletto di Nettuno e l’abbraccio di tutto il pubblico giallorosso.

Poco dopo il calcio d’inizio Prohaska butta fuori la palla, il gioco si ferma. “Marazico” si dirige verso la Tribuna d’Onore e regala a Flora Viola la sua maglia. Un gesto di affetto e di riconoscenza nel ricordo dell’Ing. Viola.

Termina la partita, finisce 4-3 per la Roma del secondo scudetto e inizia uno dei viaggi più intensi nel sentimento giallorosso. Il numero 7 è visibilmente commosso, il viso solcato dalle lacrime. Al grido di “Un Bruno Conti, c’è solo un Bruno Conti”, alternato a “Bruno Conti sindaco de Roma“, l’Olimpico si accende di migliaia di luci e bandierine con il suo volto. Lui, accompagnato dai figli, fa il giro di campo e dispensa saluti e baci. Poi arriva sotto la Sud, si mette in ginocchio così come aveva fatto in occasione di alcune reti. Probabilmente in questo momento scorre tutta la sua vita giallorossa dinanzi i suoi occhi. Si sfila lo scarpino sinistro, il mancino magico, e ne fa dono alla sua gente. Nello stadio riecheggia solo il suo nome.

Lascia il calcio giocato un pezzo di storia giallorossa: sedici anni, 401 presenze nelle diverse manifestazioni in cui la Roma è stata impegnata e 47 gol. Ma soprattutto sono indelebili le sue corse con i capelli al vento, i suoi repentini dribbling e cambi improvvisi e geniali di direzione che ubriacavano gli avversari di turno, le sue gesta funamboliche e il suo modo di giocare con il pallone “come fa un gatto con il gomitolo”, come scrisse in quel periodo Gianni Brera.

“Le lacrime del Granfinale resteranno scolpite nella mente di chi ha voluto essere lì, sugli spalti dell’Olimpico – si legge sulle pagine della rivista ufficiale “La Roma” del giugno del ’91 – A salutare il campione che lasciava; ad abbracciare i beniamini d’un tempo, quelli che otto anni fa avevano regalato al popolo giallorosso il sogno del secondo scudetto; a festeggiare la Roma di ieri e quella di oggi, cioè i ragazzi del ’90 che ventiquattro ore prima erano stati beffati dall’Inter nella finale di Coppa UEFA”.

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