LAROMA24.IT (Federico Baranello) – Il 26 luglio del 1921 nasce Amedeo Amadei, il primo ad essere insignito dell’appellativo di “Ottavo Re di Roma”.
Per capire cosa hanno significato, e significano ancora oggi, le sue gesta nella storia giallorossa mi basta ricordare il tono e l’espressione con cui mio padre snocciolava la formazione Campione d’Italia del ’42: il nome di Amadei veniva ripetuto due volte di seguito. La prima volta come logica conseguenza di una lista snocciolata a memoria accompagnata dall’enfasi tipica con cui si ricorda una squadra vincente. Poi una pausa e fissandoti negli occhi ripeteva il nome in maniera più lenta, muovendo il capo in segno di assenso come per dire “Che te sei perso!”.
L’ ”Ottavo Re di Roma” non giunge dopo un viaggio transoceanico ma arriva nella Capitale in bicicletta da Frascati per partecipare, ad insaputa della famiglia, alla leva annuale della Roma a Testaccio nel 1935. Il provino è positivo e la società giallorossa decide che necessita delle sue “gambe” proprio come il padre necessità invece delle sue “braccia” nel forno di famiglia a Frascati. Le sorelle riusciranno a convincere il padre a non impedire al giovane Amedeo la possibilità di far parte dei giovani della Roma accollandosi loro la parte di lavoro del “Fornaretto”.
Esordisce così in serie A il 2 maggio 1937 contro la Fiorentina (2-2): “Amadei è una ottima promessa, ha lavorato con volontà e precisione, e non si è emozionato. Certo manca di esperienza…” (Cit. Il Littoriale, 3 maggio 1937). Ha solo 15 anni, nove mesi e sette giorni ed è ancora oggi il più giovane esordiente nella massima serie. La settimana successiva i giallorossi vengono travolti dalla Lucchese 5-1 ma Amadei segna il primo dei suoi cento gol in campionato con la maglia della Roma e, vista la giovane età, anche questo è un record ancora imbattuto.
Nella sua storia giallorossa attraversa l’epopea di Testaccio, il primo scudetto della compagine giallorossa, la guerra e la Roma in crisi finanziaria del periodo post-bellico. Un autentico genio del calcio nostrano, dotato di un tiro devastante associato a rara velocità. Basti pensare che il suo movimento tipico è aggirare l’avversario toccando la palla a sinistra e scattando sulla destra per poi ricongiungersi con il pallone. La Roma crede in lui e lo manda a farsi “le ossa” con l’Atalanta in serie B. Poi torna e conquista il posto da titolare.
È l’autentico trascinatore, a soli vent’anni, della trionfale stagione dello scudetto del ’42: i compagni lo lanciano negli spazi e lui s’invola siglando 18 reti.
Durante la semifinale di Coppa Italia contro il Torino nel 1943 viene convalidato un gol molto dubbio ai granata. Ne segue una mischia e qualcuno colpisce il guardalinee. Ne farà le spese Amadei che viene squalificato a vita. Solo tempo dopo si saprà che fu Dagianti il colpevole. Nel 1944 godrà di un’amnistia ma nel frattempo è scoppiata la guerra. Il calcio nazionale si ferma e riprende su base locale e i calciatori per vivere si dividono parte degli incassi.
Nel dopoguerra la Roma ha nel solo Amadei l’unica fonte per fronteggiare la crisi e decide di venderlo, non prima di disputare e contribuire alla salvezza nel campionato 1947/48 con diciannove reti.
Viene ceduto all’Inter e poi al Napoli ma, con la Roma nel cuore, ogni volta puntualizza che potrà decidere di non scendere in campo contro la compagine giallorossa nel caso in cui quest’ultima sia in difficoltà di classifica: “Non potete pretendere che io pugnali mia madre”. Altro calcio, altri sentimenti.
Scontato il suo inserimento nella Hall of Fame giallorossa dopo 234 battaglie e 111 gol. E’ nella coreografia del derby dell’11 gennaio 2015 “Figli di Roma, capitani e bandiere, questo è il mio vanto che non potrai mai avere“.
Amadei…Amadei…papà l’ho detto due volte!