GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimo Prati) – Prima di entrare nel merito dell’edizione di quella prestigiosa competizione, qualche annotazione in ordine sparso: 1) In quel periodo la Coppa Italia era un torneo strutturato a gironi che non prevedeva la disputa di una vera e propria finale: il trofeo era attribuito alla capolista del girone conclusivo. Quando il Torino vinse la Coppa Italia nel 1971, erano almeno tre o quattro anni che la conquista della coppa nazionale era così configurata. 2) Il Torino aveva perso la Coppa Italia nel 1970, perdendo la sfida finale con il Bologna. Parlo di finale perché quello fu il match decisivo. Ma, formalmente quello fu solo l’ultimo incontro di ritorno del girone finale.
Come ho appena spiegato, la competizione era strutturata a gironi e, secondo alcune ricostruzioni, i granata persero l’edizione del 1970 per una tattica eccessivamente prudente. In base alla loro posizione di primi in classifica, all’ultima di ritorno, il pareggio sarebbe andato loro bene. È questo il motivo per cui scelsero un’attitudine difensivista nel match decisivo a Bologna. Ma quella scelta non fu azzeccata e li portò alla sconfitta. Evidentemente, per loro, l’appuntamento con la storia era rimandato solo di un anno. E, nel 1971, la sorte arrise ai torinesi.
3) Quell’anno, in campionato il Torino arrivò solo ottavo, a pari punti con Varese, Verona e Vicenza. Ma, forse, questo gli permise paradossalmente di concentrarsi sull’obiettivo di Coppa Italia e soprattutto di arrivare all’ultima partita, tutto sommato, abbastanza fresco da un punto di vista fisico e psicologico. Cosa che non si può dire dei suoi rivali del Milan, i quali avevano tenuto la testa della classifica per buona parte della stagione e furono superati dall’Inter solo nelle ultime partite di campionato. Da campione d’inverno e squadra in fuga, i rossoneri furono costretti al ruolo di inseguitori, più o meno a partire dal mese di marzo e fino alla penultima di campionato, quando i milanisti persero definitivamente ogni speranza di recuperare lo svantaggio sui rivali cittadini. La dinamica di questi eventi comportò sicuramente un grande dispendio di energie che, probabilmente, influì negativamente anche sull’andamento finale dei rossoneri in Coppa Italia.
Fatte queste premesse, possiamo entrare nel merito di quelle vicende, con alcuni rapidi cenni allo svolgimento dei gironi d’eliminazione. Le sette migliori vincenti dei 9 gironi ebbero accesso direttamente ai quarti. I club in questione furono Cesena, Fiorentina, Livorno, Roma, Milan, Napoli e Torino. L’ottavo posto venne assegnato al Monza, in virtù della sua vittoria nello spareggio contro il Novara.
Al turno successivo arrivarono: Milan, Torino, Fiorentina e Napoli, che entrarono quindi a far parte del girone finale. Il girone a quattro vide un andamento altalenante. Alla prima giornata il Torino era primo, ma alla seconda perdeva ben quattro a zero dai viola. Alla terza giornata era il Milan ad essere in vetta. Mentre alla penultima troviamo in testa i viola a 6 punti sopra di un punto rispetto a Milan e Torino. E arriviamo dunque all’ultima giornata della competizione: i viola perdono, mentre Milan e Torino vincono entrambi, finendo primi con sette punti a pari merito. A questo punto, pur non essendo inizialmente prevista, la necessità di una finale si impone.
Lo spareggio per stabilire la vincitrice di Coppa Italia sarà dunque giocato nel campo neutro di Genova. I dati ufficiali parlano di circa 32.000 spettatori paganti. Ma, a giudicare dalle foto di quell’evento sportivo, il pubblico sembra ben più numeroso. La capienza del Ferraris, a quei tempi, superava la cifra di 55.000 spettatori e di spazi vuoti tra gli spalti, nella foto di quello spareggio, se ne vedono davvero pochi.
Per questa finale, giocata il 27 giugno del ’71, possiamo basarci sul resoconto di Ezio De Cesari, apparso su un quotidiano del giorno dopo e di cui propongo un riassunto. Ma prima di passare alla sintesi della partita fatta da quel giornalista, una mia ultima considerazione sulle assenze di quell’incontro: nel Milan mancarono Prati e Benetti, nel Toro Pulici e Bui. È mia personale opinione che le assenze penalizzarono più il Milan rispetto al Torino. Prati, allora venticinquenne, era già un attaccante esperto che quell’anno aveva segnato una ventina di gol. Pulici era un attaccante poco più che ventenne che nel campionato del ’71 era andato in rete solo tre volte.
Detto questo, secondo la ricostruzione di De Cesari la finale tra Milan e Torino fu povera di emozioni: specchio della porta non inquadrato, da entrambe le squadre, per tutto il primo tempo, a parte un tiro-cross di Rivera facilmente intercettato da Castellini. Insomma, pochi momenti degni di nota: un’azione offensiva del Milan al quindicesimo, con bello spunto personale di Biasiolo concluso però sterilmente dal rossonero e una risposta granata su iniziativa di Carlo Petrini, con un tiro potente che termina sopra la porta di poco. Poi, ancora, una pericolosa mischia nell’area del Milan, al 34′, con Trapattoni che libera provvidenzialmente. Dopo di che, dal taccuino del cronista, non risulta nessuna altra azione degna di una certa attenzione.
Il secondo tempo, se possibile, è ancora meno avvincente, perlomeno per quasi tutta la seconda frazione di gioco. Infatti, nei 45 minuti della ripresa si registra solo un’azione pericolosa per parte. Va anche detto che, a partire dall’82’, i torinisti sono virtualmente in inferiorità numerica, perché Puja è in serie difficoltà fisiche. Ma il cambio a disposizione del Toro è già stato effettuato e così il giocatore non può essere sostituito. Al 90′ occasione clamorosa, ed unica, vera, grande emozione dei tempi regolamentari. Combin, con un tiro da una decina di metri supera Castellini e coglie la parte interna del palo ma, per la gioia dei torinisti, la palla rimbalza verso l’esterno finendo tra le mani del portiere granata.
Si va dunque ai tempi supplementari. Al 5′, altra occasione del Milan che avrebbe anche segnato. Ma il gioco era già stato interrotto a causa di un fuorigioco apparso evidente. A parte un’altra azione del Milan, che non è stata ben finalizzata, il match non ha più niente da dire e ci si affida ai rigori. Il Torino, in termini di manovra, ha forse costruito di più (i corner sono stati 5 a 2 a favore del Toro), ma il Milan ha avuto sicuramente le occasioni più clamorose.
Nella lotteria dei rigori, i rossoneri partono bene, all’errore granata di Cereser, rispondono con la trasformazione di Gianni Rivera. E fino al terzo rigore sono ancora in vantaggio. A partire dalla seconda esecuzione, però, i granata si erano affidati a Maddé e fu lui l’artefice della rimonta, con cinque rigori realizzati su cinque. Mentre Gianni Rivera, nel prosieguo, ne sbaglierà due o, per essere più precisi, sarà Castellini a pararglieli, in particolare con una prodezza su uno dei due.
È così il Toro che aveva visto sfumare la Coppa Italia nel finale dell’edizione 1970, nel 1971 fu ricompensato dal destino con la vittoria maturata negli istanti finali dello spareggio al Ferraris.
P.S. Da tifoso genoano, mi piace sottolineare che due titolari del Toro quel giorno, Agroppi e Petrini, avevano vinto il torneo di Viareggio col Genoa nel 1965.
Migliori in campo (secondo De Cesari) Biasiolo del Milan e Ferrini del Torino. Buone anche le prestazioni di Rognoni e Zignoli per i rossoneri. Sottotono Rivera e Rampanti, rispettivamente di Milan e Torino.